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Mario Merz
Il Castello di Rivoli, la GAM e la Fondazione Merz dedicano un’ampia retrospettiva a Mario Merz (Milano, 1925 – 2003), una delle personalità artistiche più rilevanti dell’arte italiana e internazionale. La rassegna vuol essere un omaggio al grande artista recentemente scomparso e preannunciare l’apertura della fondazione a lui dedicata che verrà ufficialmente inaugurata nel 2005.
Comunicato stampa
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Il Castello di Rivoli, la GAM e la Fondazione Merz dedicano un’ampia retrospettiva a Mario Merz (Milano, 1925 - 2003), una delle personalità artistiche più rilevanti dell’arte italiana e internazionale. La rassegna vuol essere un omaggio al grande artista recentemente scomparso e preannunciare l’apertura della fondazione a lui dedicata che verrà ufficialmente inaugurata nel 2005.
Mario Merz esordisce nel 1953, autodidatta, con una pittura di segno astratto-espressionista e, successivamente, con un trattamento informale del dipinto. E’ presente dalle prime mostre dell’Arte Povera, tendenza di cui diventerà uno dei protagonisti. L’abbandono della pittura fa spazio all’uso dell’installazione e alla sperimentazione con materiali naturali o tecnologici come i tubi di neon luminoso, tracce di energia pura, che inserisce negli oggetti più comuni. Dal 1968 indaga su strutture archetipiche come l’igloo, che realizza nei più diversi materiali. Usa e interpreta la progressione numerica di Fibonacci come emblema dell’energia insita nella materia, collocando le cifre realizzate al neon sia sulle proprie opere sia negli ambienti espositivi, come nel 1971 lungo la spirale del Guggenheim Museum di New York, nel 1984 sulla Mole Antonelliana di Torino e nel 1990 sulla Manica Lunga del Castello di Rivoli. Dal 1976 lavora alla figura simbolica della spirale che successivamente viene associata a quella, altrettanto ricorrente, del tavolo, sulle cui superfici vengono disposti frutti che, lasciati al loro decorso naturale, introducono nell’opera la dimensione del tempo reale
Alla fine degli anni Settanta Merz recupera la figurazione, delineando grandi immagini di animali di sapore ancestrale, “preistorici” come li definiva l’artista. Il rilievo che l’opera di Merz ha raggiunto nel corso degli anni è documentato dalle prestigiose rassegne a cui ha partecipato, quali la Biennale di Venezia e Documenta a Kassel, o che gli sono state dedicate dai più importanti musei del mondo. Fra questi ricordiamo, il Walker Art Center di Minneapolis nel 1972, la Kunsthalle di Basilea nel 1981, il Moderna Museet di Stoccolma nel 1983, il Museum of Contemporary Art di Los Angeles e il Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 1989, la Fundació Antoni Tàpies di Barcellona nel 1993, il Castello di Rivoli e il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato nel 1990, la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento nel 1995, la Fundação de Serralves di Porto nel 1999, il Carré d’Art di Nîmes nel 2000, la Fundación Proa di Buenos Aires nel 2002. Nel 2003 gli è stato conferito il Premium Imperiale dall’Imperatore del Giappone. Muore a Milano nel novembre 2003.
La mostra alla GAM, curata da Pier Giovanni Castagnoli, intende offrire testimonianza della vasta e sfaccettata produzione artistica di Mario Merz partendo dalle opere che hanno segnato il suo esordio quando, negli anni Cinquanta, è apparso sulla scena torinese con la sua prima mostra personale alla galleria La Bussola.
Presentando esperimenti pittorici strettamente legati agli elementi naturali (in mostra: La foglia, 1952, Albero, 1953, Foglia a spirale, 1955), Mario Merz si affaccia al panorama dell’arte con una pittura nuova e imprevedibile, che prende spunto dall’immagine naturale, disgregandone le forme, in un approdo informale con cadenze espressioniste, in cui si rintracciano influenze della pittura di artisti della generazione precedente, come Pinot Gallizio, Spazzapan e Mattia Moreni. A partire dal 1965 Merz abbandona la pittura per realizzare opere oggettuali e ambientali, nelle quali ricorre l’utilizzo del tubo al neon come elemento strutturale che trapassa le forme; inizialmente la tela (Nella strada, 1967) e poi gli oggetti (Bicchiere trapassato, 1967 e Bicchiere e bottiglia trapassati, 1968), dando vita alla feconda avventura dell’Arte Povera, testimoniata in mostra da un gruppo di opere significative del triennio 1966-1968 come Ombrello del 1967, Sitin del 1968 e Igloo - Mai alzato pietra su pietra del 1968.
Al Castello di Rivoli il percorso espositivo inizia con la grande stagione creativa della fine degli anni Sessanta contraddistinta dagli igloo. Nella mostra, curata da Ida Gianelli, vengono presentati tra gli altri, Igloo di Giap, 1968; Igloo con albero, 1969; Objet cache-toi, 1968; Igloo nero, 1967-79; (Igloo) Tenda di Gheddafi, 1968-81. L'igloo è una forma archetipica nata dallo sviluppo in tre dimensioni di una spirale, forma in cui Merz riconosce l’energia "strutturale" della natura e attraverso cui crea uno "spazio esterno" che è "misura di uno spazio interno” (Mario Merz, Mazzotta, Milano, 1983) e che replica la forma del mondo a cui appartiene. Degli anni Settanta vengono presentate le installazioni che vedono la comparsa degli animali “preistorici” come Iguana del 1971 o l’utilizzo di materiali che vanno a formare strutture complesse a spirale realizzate con tubolari in ferro, cristallo, pietre, neon, fascine, ortaggi, frutta, giornali come in Tavolo a spirale in tubolare di ferro per festino di giornali datati il giorno del festino, 1976. Saranno inoltre presenti opere che testimoniano, sul finire degli anni Settanta, il rinato interesse da parte dell’artista per la pittura e la figurazione, alla base delle complesse installazioni degli anni Ottanta e Novanta. In queste opere compaiono animali primordiali come coccodrilli, zebre, tigri o chiocciole (replica dell'interesse per la forma a spirale e l'avvolgersi del tempo su se stesso) che divengono il soggetto di tele e installazioni che tendono a coinvolgere in modo sempre più vasto e potente lo spazio espositivo.
Mario Merz esordisce nel 1953, autodidatta, con una pittura di segno astratto-espressionista e, successivamente, con un trattamento informale del dipinto. E’ presente dalle prime mostre dell’Arte Povera, tendenza di cui diventerà uno dei protagonisti. L’abbandono della pittura fa spazio all’uso dell’installazione e alla sperimentazione con materiali naturali o tecnologici come i tubi di neon luminoso, tracce di energia pura, che inserisce negli oggetti più comuni. Dal 1968 indaga su strutture archetipiche come l’igloo, che realizza nei più diversi materiali. Usa e interpreta la progressione numerica di Fibonacci come emblema dell’energia insita nella materia, collocando le cifre realizzate al neon sia sulle proprie opere sia negli ambienti espositivi, come nel 1971 lungo la spirale del Guggenheim Museum di New York, nel 1984 sulla Mole Antonelliana di Torino e nel 1990 sulla Manica Lunga del Castello di Rivoli. Dal 1976 lavora alla figura simbolica della spirale che successivamente viene associata a quella, altrettanto ricorrente, del tavolo, sulle cui superfici vengono disposti frutti che, lasciati al loro decorso naturale, introducono nell’opera la dimensione del tempo reale
Alla fine degli anni Settanta Merz recupera la figurazione, delineando grandi immagini di animali di sapore ancestrale, “preistorici” come li definiva l’artista. Il rilievo che l’opera di Merz ha raggiunto nel corso degli anni è documentato dalle prestigiose rassegne a cui ha partecipato, quali la Biennale di Venezia e Documenta a Kassel, o che gli sono state dedicate dai più importanti musei del mondo. Fra questi ricordiamo, il Walker Art Center di Minneapolis nel 1972, la Kunsthalle di Basilea nel 1981, il Moderna Museet di Stoccolma nel 1983, il Museum of Contemporary Art di Los Angeles e il Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 1989, la Fundació Antoni Tàpies di Barcellona nel 1993, il Castello di Rivoli e il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato nel 1990, la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento nel 1995, la Fundação de Serralves di Porto nel 1999, il Carré d’Art di Nîmes nel 2000, la Fundación Proa di Buenos Aires nel 2002. Nel 2003 gli è stato conferito il Premium Imperiale dall’Imperatore del Giappone. Muore a Milano nel novembre 2003.
La mostra alla GAM, curata da Pier Giovanni Castagnoli, intende offrire testimonianza della vasta e sfaccettata produzione artistica di Mario Merz partendo dalle opere che hanno segnato il suo esordio quando, negli anni Cinquanta, è apparso sulla scena torinese con la sua prima mostra personale alla galleria La Bussola.
Presentando esperimenti pittorici strettamente legati agli elementi naturali (in mostra: La foglia, 1952, Albero, 1953, Foglia a spirale, 1955), Mario Merz si affaccia al panorama dell’arte con una pittura nuova e imprevedibile, che prende spunto dall’immagine naturale, disgregandone le forme, in un approdo informale con cadenze espressioniste, in cui si rintracciano influenze della pittura di artisti della generazione precedente, come Pinot Gallizio, Spazzapan e Mattia Moreni. A partire dal 1965 Merz abbandona la pittura per realizzare opere oggettuali e ambientali, nelle quali ricorre l’utilizzo del tubo al neon come elemento strutturale che trapassa le forme; inizialmente la tela (Nella strada, 1967) e poi gli oggetti (Bicchiere trapassato, 1967 e Bicchiere e bottiglia trapassati, 1968), dando vita alla feconda avventura dell’Arte Povera, testimoniata in mostra da un gruppo di opere significative del triennio 1966-1968 come Ombrello del 1967, Sitin del 1968 e Igloo - Mai alzato pietra su pietra del 1968.
Al Castello di Rivoli il percorso espositivo inizia con la grande stagione creativa della fine degli anni Sessanta contraddistinta dagli igloo. Nella mostra, curata da Ida Gianelli, vengono presentati tra gli altri, Igloo di Giap, 1968; Igloo con albero, 1969; Objet cache-toi, 1968; Igloo nero, 1967-79; (Igloo) Tenda di Gheddafi, 1968-81. L'igloo è una forma archetipica nata dallo sviluppo in tre dimensioni di una spirale, forma in cui Merz riconosce l’energia "strutturale" della natura e attraverso cui crea uno "spazio esterno" che è "misura di uno spazio interno” (Mario Merz, Mazzotta, Milano, 1983) e che replica la forma del mondo a cui appartiene. Degli anni Settanta vengono presentate le installazioni che vedono la comparsa degli animali “preistorici” come Iguana del 1971 o l’utilizzo di materiali che vanno a formare strutture complesse a spirale realizzate con tubolari in ferro, cristallo, pietre, neon, fascine, ortaggi, frutta, giornali come in Tavolo a spirale in tubolare di ferro per festino di giornali datati il giorno del festino, 1976. Saranno inoltre presenti opere che testimoniano, sul finire degli anni Settanta, il rinato interesse da parte dell’artista per la pittura e la figurazione, alla base delle complesse installazioni degli anni Ottanta e Novanta. In queste opere compaiono animali primordiali come coccodrilli, zebre, tigri o chiocciole (replica dell'interesse per la forma a spirale e l'avvolgersi del tempo su se stesso) che divengono il soggetto di tele e installazioni che tendono a coinvolgere in modo sempre più vasto e potente lo spazio espositivo.
12
gennaio 2005
Mario Merz
Dal 12 gennaio al 28 marzo 2005
arte contemporanea
Location
GAM – GALLERIA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
Torino, Via Magenta, 31, (Torino)
Torino, Via Magenta, 31, (Torino)
Orario di apertura
aperto la domenica di Pasqua, 27 marzo e il lunedì di Pasquetta, 28 marzo
Autore
Curatore