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Jimmie Durham – Le ragioni della leggerezza
Tutto il lavoro di Jimmie Durham è teso in primo luogo ad attaccare in maniera ironica la persistente struttura coloniale tuttora alla base della nostra cultura. Anche questa mostra si avvale prevalentemente dell’uso di materiali naturali o di recupero
Comunicato stampa
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Giovedì 18 novembre alle ore 18 inaugurerà con la presenza dell’artista la personale di Jimmie Durham Le ragioni della leggerezza, a cura di Roberto Pinto, in cui presenterà una serie di installazioni, fotografie e disegni recenti.
Tutto il lavoro di Jimmie Durham è teso in primo luogo ad attaccare in maniera ironica la persistente struttura coloniale tuttora alla base della nostra cultura. Anche questa mostra si avvale prevalentemente dell’uso di materiali naturali o di recupero, per esempio una vecchia ape sormontata da un grande masso, oppure delle semplici pietre sia esposte all’interno della galleria (in combinazioni con altri oggetti) sia facenti parte di una installazione site specific a Palazzolo Vercellese, di cui si possono vedere le testimonianze fotografiche in galleria.
In febbraio verrà inoltre proiettato a Torino La poursuite du Bonheur, prodotto dalla Fondazione Zerynthia.
Cherokee nato in Arkansas (USA) nel 1940, Jimmie Durham è poeta, scrittore e artista visivo. Negli anni Settanta è stato attivista dell’American Indian Movement.
Durham ha partecipato alle maggiori rassegne internazionali, tra cui Documenta, Kassel e le Biennali di Venezia, Sidney, Gwangju e del Whitney Museum. Attualmente vive a Berlino.
È uscito da poche settimane una monografia sull’artista (edizioni Charta, Milano, www.chartaartbooks.it) in occasione del Corso Superiore di Arti Visive organizzato dalla Fondazione Antonio Ratti
Jimmie Durham:
Le ragioni della leggerezza
Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire.
— Italo Calvino Lezioni americane
Potrebbe sembrare un paradosso usare il titolo Le ragioni della leggerezza per una mostra di un’artista che ha preso un piccolo camioncino Ape e lo ha schiacciato con un enorme masso, ha utilizzato una scrivania sostituendone il piano di lavoro con una pesante lastra di marmo; oppure, che ha realizzato dei disegni con una procedura quasi automatica, mediante la caduta di pesanti pietre. Dietro questa apparenza in cui si ostenta la vittoria della forza di gravità sulla nostra vita quotidiana, credo però che si possa proprio cogliere una leggerezza del pensiero in linea con le idee espresse in modo così raffinato da Calvino nelle sue Lezioni americane.
Forzando un po’ il ragionamento si potrebbe addirittura affermare che la ricerca della leggerezza sia una parte integrante, se non il fine ultimo, di tutto il lavoro di Jimmie Durham che si fonda su una costante e progressiva sottrazione di peso ai concetti, alle strutture e ai pregiudizi che spesso fondano la nostra cultura e la nostra idea dell’arte. “I try not have a point”, affermava recentemente in una conferenza pubblica, e anche questa dichiarazione va intesa come necessità di rifiutare l’idea di basarsi su un’ideologia quanto di arroccarsi in una posizione stabile e precisa, che, se da una parte ci può dare sicurezza, dall’altra confina con il pregiudizio e sicuramente impedisce alla curiosità, all’incontro, alla contraddizione, di farci procedere in direzioni diverse da quelle note. Il suo lavoro è anche un modo di contraddire il potere costituito sia esso politico, economico ma anche semplicemente costituito del peso della tradizione.
Non definirei, tuttavia, il suo un discorso nichilista; mi pare piuttosto che Durham parta dall’impossibilità di accettare le cose passivamente e dalla necessità di fare uno sforzo per osservarle, leggerle, ridiscuterle. Leggerezza, quindi, di chi tenta di
liberarsi da pesanti stereotipi dimostrandoci che “esiste una leggerezza della pensosità”.
Ultimamente protagoniste dei lavori di Jimmie Durham sono le pietre, con la loro semplicità, con la loro somiglianza l’una all’altra, con la loro unicità. Usate come utensili o come fastidiosi intralci naturali, come elementi costruttivi o come materia prima per la nostra “mania” di fare arte, le pietre ci ignorano dall’alto della loro posizione di oggetti molto più vecchi del genere umano, elementi destinati a sopravvivere alla nostra scomparsa. Jimmie le adopera per il loro peso e per la loro storia, per la possibilità di essere usate come strumento di lavoro e per la loro atavica e affascinante bellezza. Parallelamente esprime tutto il rispetto possibile nei loro confronti mostrandocele in tante differenti situazioni, dando ascolto alla loro voce di primo utensile dell’uomo e allo stesso tempo di elementi autonomi e distanti da noi. Il peso di questi sassi non ci comunica quindi la sicurezza della solidità così come la loro antichità non ci trasmette l’imperturbabilità allo scorrere del tempo, ma al contrario sono fragilità e leggerezza ad emergere da questo confronto. Viene il dubbio allora che usare le pietre sia per l’artista un gioco di specchi, una regola che ci pone davanti per contraddire le caratteristiche che le pietre stesse sembrano portare con loro: fissità per esprimere rapidità, unicità per esprimere molteplicità, casualità per esprimere esattezza, nascondimento per esprimere visibilità. Le pietre sembrano quasi una regola ferrea autoimposta, una autodisciplina che funziona in modo simile ai meccanismi assolutamente perfetti dei romanzi di Perec. E ancora una volta ci viene incontro Calvino: “Per sfuggire all’arbitrarietà dell’esistenza, Perec come il suo protagonista ha bisogno di imporsi delle regole rigorose (anche se queste regole sono a loro volta arbitrarie). Ma il miracolo è che questa poetica che si direbbe artificiosa e meccanica dà come risultato una libertà e una ricchezza inventiva inesauribile”.
Surely we will be confused era il titolo del workshop che Durham ha condotto quest’estate alla Fondazione Ratti, ma anche in questo caso, attraverso le sue stesse opere, il dubbio, la confusione, l’incertezza, rimangono i valori necessari e fondanti per un demistificatore di professione, per un artista che ha saputo trovare un equilibrio assolutamente unico tra intelligenza e capacità evocativa, tra libertà e possibilità comunicativa.
Roberto Pinto
Tutto il lavoro di Jimmie Durham è teso in primo luogo ad attaccare in maniera ironica la persistente struttura coloniale tuttora alla base della nostra cultura. Anche questa mostra si avvale prevalentemente dell’uso di materiali naturali o di recupero, per esempio una vecchia ape sormontata da un grande masso, oppure delle semplici pietre sia esposte all’interno della galleria (in combinazioni con altri oggetti) sia facenti parte di una installazione site specific a Palazzolo Vercellese, di cui si possono vedere le testimonianze fotografiche in galleria.
In febbraio verrà inoltre proiettato a Torino La poursuite du Bonheur, prodotto dalla Fondazione Zerynthia.
Cherokee nato in Arkansas (USA) nel 1940, Jimmie Durham è poeta, scrittore e artista visivo. Negli anni Settanta è stato attivista dell’American Indian Movement.
Durham ha partecipato alle maggiori rassegne internazionali, tra cui Documenta, Kassel e le Biennali di Venezia, Sidney, Gwangju e del Whitney Museum. Attualmente vive a Berlino.
È uscito da poche settimane una monografia sull’artista (edizioni Charta, Milano, www.chartaartbooks.it) in occasione del Corso Superiore di Arti Visive organizzato dalla Fondazione Antonio Ratti
Jimmie Durham:
Le ragioni della leggerezza
Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire.
— Italo Calvino Lezioni americane
Potrebbe sembrare un paradosso usare il titolo Le ragioni della leggerezza per una mostra di un’artista che ha preso un piccolo camioncino Ape e lo ha schiacciato con un enorme masso, ha utilizzato una scrivania sostituendone il piano di lavoro con una pesante lastra di marmo; oppure, che ha realizzato dei disegni con una procedura quasi automatica, mediante la caduta di pesanti pietre. Dietro questa apparenza in cui si ostenta la vittoria della forza di gravità sulla nostra vita quotidiana, credo però che si possa proprio cogliere una leggerezza del pensiero in linea con le idee espresse in modo così raffinato da Calvino nelle sue Lezioni americane.
Forzando un po’ il ragionamento si potrebbe addirittura affermare che la ricerca della leggerezza sia una parte integrante, se non il fine ultimo, di tutto il lavoro di Jimmie Durham che si fonda su una costante e progressiva sottrazione di peso ai concetti, alle strutture e ai pregiudizi che spesso fondano la nostra cultura e la nostra idea dell’arte. “I try not have a point”, affermava recentemente in una conferenza pubblica, e anche questa dichiarazione va intesa come necessità di rifiutare l’idea di basarsi su un’ideologia quanto di arroccarsi in una posizione stabile e precisa, che, se da una parte ci può dare sicurezza, dall’altra confina con il pregiudizio e sicuramente impedisce alla curiosità, all’incontro, alla contraddizione, di farci procedere in direzioni diverse da quelle note. Il suo lavoro è anche un modo di contraddire il potere costituito sia esso politico, economico ma anche semplicemente costituito del peso della tradizione.
Non definirei, tuttavia, il suo un discorso nichilista; mi pare piuttosto che Durham parta dall’impossibilità di accettare le cose passivamente e dalla necessità di fare uno sforzo per osservarle, leggerle, ridiscuterle. Leggerezza, quindi, di chi tenta di
liberarsi da pesanti stereotipi dimostrandoci che “esiste una leggerezza della pensosità”.
Ultimamente protagoniste dei lavori di Jimmie Durham sono le pietre, con la loro semplicità, con la loro somiglianza l’una all’altra, con la loro unicità. Usate come utensili o come fastidiosi intralci naturali, come elementi costruttivi o come materia prima per la nostra “mania” di fare arte, le pietre ci ignorano dall’alto della loro posizione di oggetti molto più vecchi del genere umano, elementi destinati a sopravvivere alla nostra scomparsa. Jimmie le adopera per il loro peso e per la loro storia, per la possibilità di essere usate come strumento di lavoro e per la loro atavica e affascinante bellezza. Parallelamente esprime tutto il rispetto possibile nei loro confronti mostrandocele in tante differenti situazioni, dando ascolto alla loro voce di primo utensile dell’uomo e allo stesso tempo di elementi autonomi e distanti da noi. Il peso di questi sassi non ci comunica quindi la sicurezza della solidità così come la loro antichità non ci trasmette l’imperturbabilità allo scorrere del tempo, ma al contrario sono fragilità e leggerezza ad emergere da questo confronto. Viene il dubbio allora che usare le pietre sia per l’artista un gioco di specchi, una regola che ci pone davanti per contraddire le caratteristiche che le pietre stesse sembrano portare con loro: fissità per esprimere rapidità, unicità per esprimere molteplicità, casualità per esprimere esattezza, nascondimento per esprimere visibilità. Le pietre sembrano quasi una regola ferrea autoimposta, una autodisciplina che funziona in modo simile ai meccanismi assolutamente perfetti dei romanzi di Perec. E ancora una volta ci viene incontro Calvino: “Per sfuggire all’arbitrarietà dell’esistenza, Perec come il suo protagonista ha bisogno di imporsi delle regole rigorose (anche se queste regole sono a loro volta arbitrarie). Ma il miracolo è che questa poetica che si direbbe artificiosa e meccanica dà come risultato una libertà e una ricchezza inventiva inesauribile”.
Surely we will be confused era il titolo del workshop che Durham ha condotto quest’estate alla Fondazione Ratti, ma anche in questo caso, attraverso le sue stesse opere, il dubbio, la confusione, l’incertezza, rimangono i valori necessari e fondanti per un demistificatore di professione, per un artista che ha saputo trovare un equilibrio assolutamente unico tra intelligenza e capacità evocativa, tra libertà e possibilità comunicativa.
Roberto Pinto
18
novembre 2004
Jimmie Durham – Le ragioni della leggerezza
Dal 18 novembre 2004 al 22 gennaio 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA FRANCO SOFFIANTINO
Torino, Via Gioachino Rossini, 23, (Torino)
Torino, Via Gioachino Rossini, 23, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a sabato 14.00 - 19.00
Vernissage
18 Novembre 2004, ore 18
Autore
Curatore