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Renato Tomassi – Ritratti e Vedute
Ma chi era Renato Tomassi? A questo interrogativo tentano di rispondere Cinzia Virno e Riccardo Rosati, rispettivamente curatrice ed organizzatore di una mostra che, a partire da venerdì 19 novembre, proporrà all’attenzione del pubblico romano una serie di ritratti e vedute
Comunicato stampa
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Il mondo del collezionismo conosce bene il fenomeno di certi artisti sui quali poco o nulla si sa, ma le cui opere, spesso rare, sono di qualità talmente elevata da trovare una facile collocazione sul mercato anche a cifre considerevoli.
Va puntualmente così per i raffinati ritratti eseguiti nella prima metà del ’900 da Renato Tomassi, nome al centro di un episodio che, solo qualche giorno fa, ha elettrizzato il gossip degli appassionati di antiquariato. A nessuno dei presenti all’inaugurazione della rassegna “Arte e collezionismo a Palazzo Venezia” è infatti sfuggito l’interesse dimostrato dal Presidente del Consiglio per uno splendido nudo femminile di sapore fortemente secessionista. Dopo un paio di giorni il dipinto è stato ritirato dall’esposizione, segno inequivocabile di una vendita effettuata. Lo firmava il misterioso Tomassi.
Ma chi era Renato Tomassi? A questo interrogativo tentano di rispondere Cinzia Virno e Riccardo Rosati, rispettivamente curatrice ed organizzatore di una mostra che, a partire da venerdì 19 novembre, proporrà all’attenzione del pubblico romano una serie di ritratti e vedute eseguiti da Tomassi tra il 1916 ed il 1946. Bisogna precisare che l’iniziativa, pur essendo ospitata da una galleria privata, la Pegaso di Via Giulia, non ha scopo di lucro, ma vuole segnalare l’avvio di un lavoro di ricerca finalizzato alla pubblicazione di un catalogo generale. Un compito arduo, considerando la predilezione di Tomassi per il ritratto, un genere destinato alla parcellizzata dispersione presso le famiglie dei committenti, nel caso specifico non soltanto italiani. La prima sorpresa della mostra è infatti la scoperta di un artista attivo a livello internazionale e, segnatamente, in ambito mitteleuropeo.
“Tomassi chi, quello che non ha mai tempo?” diceva di lui Hermann Göring. All’epoca, presso l’aristocrazia e l’alta borghesia tedesche farsi fare il ritratto dal brillante italiano andava di moda. Ne avrebbe voluto avere uno anche il vanitoso gerarca, ma Tomassi si sottrasse alla sua richiesta inventando un mucchio di scuse. Né miglior sorte toccò al Duce. Mussolini aveva in animo di farsi ritrarre a Palazzo Venezia, ma, imprudentemente, impose una lunga anticamera all’artista che, spazientito, se ne andò. Tomassi non aveva alcuna soggezione dei potenti, era abituato a trattare con loro.
La nonna paterna, Mariannina, apparteneva ad una nobilissima famiglia romana di origine genovese, quella dei principi Giustiniani. La nobildonna aveva sposato il figlio di Cesare Tomassi, ricco latifondista di Subiaco, ma, soprattutto, personaggio eccentrico ed ex rivoluzionario condannato a morte in contumacia dai Papalini. Da questo singolare intreccio familiare nasce Renato: elegante, amante delle belle donne, appassionato di caccia ed ottimo tiratore, il tipico gentiluomo di campagna insomma. L’evento che cambia il suo destino è un torneo di tiro, durante il quale incontra il pittore ungherese Roberto Wellmann. E’ proprio il nuovo amico a scoprire l’eccezionale ed inaspettata predisposizione per il disegno del giovane Tomassi. La cui vita prende un indirizzo imprevisto: messi da parte gli originari progetti di carriera militare, si trasferisce a Roma dove frequenta per due anni l’Accademia. Fondamentalmente, però, è un autodidatta portato a rifiutare qualsiasi forma di alunnato, un outsider premiato da un immediato successo di critica e di vendite. Propone, nel 1905, alla mostra della Secessione Romana nove dipinti per la selezione? Glieli accettano tutti e nove! In giuria c’è Otto Greiner, il celebre allievo di Klinger, che lo prende sotto la sua protezione. Frequenta anche la scuola di pittura aperta a Via Margutta da Sigmund Lipinsky, luogo di incontro fra artisti italiani e mitteleuropei e sceglie le sue amicizie nell’ambito della colonia germanica presente nella capitale. Da questo ambiente scaturisce un’altra decisiva opportunità per la sua carriera: una mecenate tedesca, dopo aver invano conteso a Vittorio Emanuele III un quadro firmato dal talento emergente, offre la stessa somma che avrebbe sborsato per l’opera al suo autore, affinché la utilizzi per un soggiorno di studio a Berlino. Inizia così la lunga serie dei viaggi e dei soggiorni nei paesi del Nord Europa sino alla Scandinavia, durante i quali si confronterà con le suggestioni del realismo simbolico e della Nueue Sachlichkeit, accolte nella sua pittura attraverso una personalissima rielaborazione che tiene conto di altri spunti non meno importanti: quelli desunti dall’osservazione della pittura rinascimentale, pierfrancescana soprattutto.
Nel corso della sua lunga carriera espone moltissimo: alle mostre degli Amatori e Cultori di Roma, alle Biennali romane, alla Biennale di Venezia, alle Quadriennali di Roma e alle esposizioni del Sindacato laziale fascista. La buona società ed il mondo della cultura accorrono alle sue personali, ad esempio quella allestita nel ’23 dall’Architetto Del Debbio nel foyer del Teatro Nazionale di Roma e quella, non meno prestigiosa, curata nel ’38 da una delle più importanti gallerie berlinesi: la Gurlitt. Tutti vogliono quei suoi ritratti in bilico tra modernità secessionista ed equilibrio quattrocentesco, ineccepibile resa formale e forte connotazione psicologica dell’effigiato. Lui, quando può scegliere, si concentra soprattutto sulle belle donne e bellissime sono le protagoniste dei ritratti esposti in Via Giulia: la moglie Musi, la figlia Enza, le nipotine Gloria e Nadia, le modelle Ellade e Marulla (immortalata nel ’22 con esiti di sorprendente modernità) ed un grande amore di gioventù: l’incantevole Irene Ibsen, nipote del drammaturgo norvegese.
Purtroppo un cospicuo numero delle sue opere più importante è andato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Tra quelle superstiti alcune sono conservate presso prestigiose istituzioni museali (in Italia la Gnam, la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Palazzo Braschi, la Galleria Corsini e la Biblioteca Vaticana di Roma, la Galleria degli Uffizi di Firenze, la Galleria Comunale di Napoli). Altre si trovano presso collezioni private, mai smembrate, in Italia, Germania, Grecia, Svizzera e nei Paesi Scandinavi. Per queste ragioni, sottolinea Cinzia Virno in catalogo, le sue opere compaiono solo episodicamente sul mercato e quel nome, un tempo tanto famoso, oggi è pressoché dimenticato.
Intendiamoci, non che l’artista fosse realmente interessato ad incrementare il successo piovutogli addosso con tanta facilità. Al vecchio Solomon Guggenheim, che lo invita a New York dicendogli: “Venga a trovarmi, La farò ricco e famoso”, risponde declinando l’invito: “Non potrei mangiare più di una bistecca per volta”.
Roma, 9 novembre 2004
Va puntualmente così per i raffinati ritratti eseguiti nella prima metà del ’900 da Renato Tomassi, nome al centro di un episodio che, solo qualche giorno fa, ha elettrizzato il gossip degli appassionati di antiquariato. A nessuno dei presenti all’inaugurazione della rassegna “Arte e collezionismo a Palazzo Venezia” è infatti sfuggito l’interesse dimostrato dal Presidente del Consiglio per uno splendido nudo femminile di sapore fortemente secessionista. Dopo un paio di giorni il dipinto è stato ritirato dall’esposizione, segno inequivocabile di una vendita effettuata. Lo firmava il misterioso Tomassi.
Ma chi era Renato Tomassi? A questo interrogativo tentano di rispondere Cinzia Virno e Riccardo Rosati, rispettivamente curatrice ed organizzatore di una mostra che, a partire da venerdì 19 novembre, proporrà all’attenzione del pubblico romano una serie di ritratti e vedute eseguiti da Tomassi tra il 1916 ed il 1946. Bisogna precisare che l’iniziativa, pur essendo ospitata da una galleria privata, la Pegaso di Via Giulia, non ha scopo di lucro, ma vuole segnalare l’avvio di un lavoro di ricerca finalizzato alla pubblicazione di un catalogo generale. Un compito arduo, considerando la predilezione di Tomassi per il ritratto, un genere destinato alla parcellizzata dispersione presso le famiglie dei committenti, nel caso specifico non soltanto italiani. La prima sorpresa della mostra è infatti la scoperta di un artista attivo a livello internazionale e, segnatamente, in ambito mitteleuropeo.
“Tomassi chi, quello che non ha mai tempo?” diceva di lui Hermann Göring. All’epoca, presso l’aristocrazia e l’alta borghesia tedesche farsi fare il ritratto dal brillante italiano andava di moda. Ne avrebbe voluto avere uno anche il vanitoso gerarca, ma Tomassi si sottrasse alla sua richiesta inventando un mucchio di scuse. Né miglior sorte toccò al Duce. Mussolini aveva in animo di farsi ritrarre a Palazzo Venezia, ma, imprudentemente, impose una lunga anticamera all’artista che, spazientito, se ne andò. Tomassi non aveva alcuna soggezione dei potenti, era abituato a trattare con loro.
La nonna paterna, Mariannina, apparteneva ad una nobilissima famiglia romana di origine genovese, quella dei principi Giustiniani. La nobildonna aveva sposato il figlio di Cesare Tomassi, ricco latifondista di Subiaco, ma, soprattutto, personaggio eccentrico ed ex rivoluzionario condannato a morte in contumacia dai Papalini. Da questo singolare intreccio familiare nasce Renato: elegante, amante delle belle donne, appassionato di caccia ed ottimo tiratore, il tipico gentiluomo di campagna insomma. L’evento che cambia il suo destino è un torneo di tiro, durante il quale incontra il pittore ungherese Roberto Wellmann. E’ proprio il nuovo amico a scoprire l’eccezionale ed inaspettata predisposizione per il disegno del giovane Tomassi. La cui vita prende un indirizzo imprevisto: messi da parte gli originari progetti di carriera militare, si trasferisce a Roma dove frequenta per due anni l’Accademia. Fondamentalmente, però, è un autodidatta portato a rifiutare qualsiasi forma di alunnato, un outsider premiato da un immediato successo di critica e di vendite. Propone, nel 1905, alla mostra della Secessione Romana nove dipinti per la selezione? Glieli accettano tutti e nove! In giuria c’è Otto Greiner, il celebre allievo di Klinger, che lo prende sotto la sua protezione. Frequenta anche la scuola di pittura aperta a Via Margutta da Sigmund Lipinsky, luogo di incontro fra artisti italiani e mitteleuropei e sceglie le sue amicizie nell’ambito della colonia germanica presente nella capitale. Da questo ambiente scaturisce un’altra decisiva opportunità per la sua carriera: una mecenate tedesca, dopo aver invano conteso a Vittorio Emanuele III un quadro firmato dal talento emergente, offre la stessa somma che avrebbe sborsato per l’opera al suo autore, affinché la utilizzi per un soggiorno di studio a Berlino. Inizia così la lunga serie dei viaggi e dei soggiorni nei paesi del Nord Europa sino alla Scandinavia, durante i quali si confronterà con le suggestioni del realismo simbolico e della Nueue Sachlichkeit, accolte nella sua pittura attraverso una personalissima rielaborazione che tiene conto di altri spunti non meno importanti: quelli desunti dall’osservazione della pittura rinascimentale, pierfrancescana soprattutto.
Nel corso della sua lunga carriera espone moltissimo: alle mostre degli Amatori e Cultori di Roma, alle Biennali romane, alla Biennale di Venezia, alle Quadriennali di Roma e alle esposizioni del Sindacato laziale fascista. La buona società ed il mondo della cultura accorrono alle sue personali, ad esempio quella allestita nel ’23 dall’Architetto Del Debbio nel foyer del Teatro Nazionale di Roma e quella, non meno prestigiosa, curata nel ’38 da una delle più importanti gallerie berlinesi: la Gurlitt. Tutti vogliono quei suoi ritratti in bilico tra modernità secessionista ed equilibrio quattrocentesco, ineccepibile resa formale e forte connotazione psicologica dell’effigiato. Lui, quando può scegliere, si concentra soprattutto sulle belle donne e bellissime sono le protagoniste dei ritratti esposti in Via Giulia: la moglie Musi, la figlia Enza, le nipotine Gloria e Nadia, le modelle Ellade e Marulla (immortalata nel ’22 con esiti di sorprendente modernità) ed un grande amore di gioventù: l’incantevole Irene Ibsen, nipote del drammaturgo norvegese.
Purtroppo un cospicuo numero delle sue opere più importante è andato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Tra quelle superstiti alcune sono conservate presso prestigiose istituzioni museali (in Italia la Gnam, la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Palazzo Braschi, la Galleria Corsini e la Biblioteca Vaticana di Roma, la Galleria degli Uffizi di Firenze, la Galleria Comunale di Napoli). Altre si trovano presso collezioni private, mai smembrate, in Italia, Germania, Grecia, Svizzera e nei Paesi Scandinavi. Per queste ragioni, sottolinea Cinzia Virno in catalogo, le sue opere compaiono solo episodicamente sul mercato e quel nome, un tempo tanto famoso, oggi è pressoché dimenticato.
Intendiamoci, non che l’artista fosse realmente interessato ad incrementare il successo piovutogli addosso con tanta facilità. Al vecchio Solomon Guggenheim, che lo invita a New York dicendogli: “Venga a trovarmi, La farò ricco e famoso”, risponde declinando l’invito: “Non potrei mangiare più di una bistecca per volta”.
Roma, 9 novembre 2004
18
novembre 2004
Renato Tomassi – Ritratti e Vedute
Dal 18 novembre al 09 dicembre 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA PEGASO
Roma, Via Giulia, 114, (Roma)
Roma, Via Giulia, 114, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato 16.00-19.30
Vernissage
18 Novembre 2004, ore 18
Editore
PALOMBI
Ufficio stampa
SCARLETT MATASSI
Autore
Curatore