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Francesco Fedeli (1911 – 1998)
La mostra presenta venti dipinti grazie ai quali si può comprendere, almeno in parte, il percorso stilistico-espressivo dell’artista, dal periodo degli anni 40/50 (dipinti ad olio realizzati in ambito prettamente figurativo) a quello degli anni 70/80.
Comunicato stampa
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Giovedì 4 novembre 2004 alle 18, alla Galleria Ponte Rosso (via Brera 2, Milano), si inaugura la mostra personale del pittore Francesco Fedeli. La mostra presenta venti dipinti grazie ai quali si può comprendere, almeno in parte, il percorso stilistico-espressivo dell’artista, dal periodo degli anni 40/50 (dipinti ad olio realizzati in ambito prettamente figurativo) a quello degli anni 70/80, periodo della maturità dell’artista in cui Fedeli sviluppa una forma espressiva assolutamente personale (dipinti polimaterici e murali).
Francesco Fedeli è nato a Milano il 19 marzo 1911. E’ stato allievo di Pasquale Bossi e Umberto Lilloni all’Accademia di Brera. Ha iniziato ad esporre nel 1931.
Negli anni precedenti la guerra partecipa a numerose mostre nazionali ordinate dalla Società Permanente di Milano. Nel 1942 viene inviato sul fronte russo come pittore-corrispondente di guerra. Nello stesso anno partecipa alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma.
Per dodici anni è stato titolare della cattedra di pittura e composizione alla Scuola Superiore d’Arte del Castello di Milano.
“Il canto delle cose” di FLAMINIO GUALDONI
Nasce e si radica in una cultura milanese non banale, ancorché minoritaria, la prima lunga stagione del lavoro di Francesco Fedeli. E’, per intenderci, quella d’un figurare scarnito e intelligente, che declina la visione domestica, il ‘basso’ esistenziale, prosciugando il figurare sino a renderlo una sorta di scrittura primaria e intensiva, ad alta gradazione emotiva. Si può dire di primitivismo o primordialismo, ma a patto d’intendere che Fedeli lavora entro il perimetro d’una sua appartatezza rimuginante, poco propenso, ora come in seguito, a contaminarsi con le ragioni mondane dell’essere artista, e soprattutto dei gusti decennali.
E’ da tale posizione di preservata distanza che l’artista, dalla metà degli anni Cinquanta, volge il proprio corso elaborante verso le acquisizioni nuove dell’art autre: ecco dunque che quel suo appropriarsi delle cose come per concussione affettiva e sensuosa si ritrova nelle distanze ravvicinatissime, spinte sino alla tattilità fastosa dello sguardo, che Tàpies e soprattutto Fautrier vanno declinando.
Pittura materica viene definito correntemente tale approccio: e non necessariamente spinta all’informe, come ben testimonia il tentativo di coagulo, del quale Fedeli è sodale, d’un gruppo d’arte materica – siamo all’avvio dei Sessanta – intorno alla galleria Schettini. Fedeli assume, di quella vicenda, non il portato sperimentale e neppure le implicazioni forti d’esistenziale. Libera piuttosto, in modo definitivo e struggente, una sorta di virile e ruvido intimismo, e la possibilità di possesso delle cose attraverso il corpo stesso della pittura.
La sua è ora, sì, una riduzione della forma sensibile a clausola convenzionale: quei frutti, quei pesci, si fanno sigla e impronta, a cadenzare il lavorio delle hautes pâtes dalla consistenza d’intonaco, le cui tonalità sommesse fanno da continuo a quelle sagome dorate d’umore medievale. Fedeli lavora per spalti di materia forte, della quale avverti il peso stesso, commessi e articolati dall’architettura umile d’un graffito che corre, segna, ritma, definisce. Lavora, soprattutto, ben interpretando il retaggio d’una nozione d’arte concettualmente non racchiudibile entro i confini angusti della tela da cavalletto, a riportare tali pitture entro le misure espressive d’un decorare che abbia per luogo naturale il contesto architettonico: la partitura grande, con iterazioni e variazioni, quantità e accenti.
Ecco, allo sguardo d’oggi non può intendersi il valore di queste opere se non si pon mente alla loro congeneità all’idea stessa di pittura architettonica; un’esperienza che, tra anni Cinquanta e Sessanta, proprio a Milano vide riformarsi solidarietà antiche tra pittore e architetto.
Fedeli lavora con occhio e mano umili e potenti d’artigiano, in questi lavori, per ritrovare l’arte: un’arte necessaria, un’arte capace ancora di valori non transitori.
Francesco Fedeli è nato a Milano il 19 marzo 1911. E’ stato allievo di Pasquale Bossi e Umberto Lilloni all’Accademia di Brera. Ha iniziato ad esporre nel 1931.
Negli anni precedenti la guerra partecipa a numerose mostre nazionali ordinate dalla Società Permanente di Milano. Nel 1942 viene inviato sul fronte russo come pittore-corrispondente di guerra. Nello stesso anno partecipa alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma.
Per dodici anni è stato titolare della cattedra di pittura e composizione alla Scuola Superiore d’Arte del Castello di Milano.
“Il canto delle cose” di FLAMINIO GUALDONI
Nasce e si radica in una cultura milanese non banale, ancorché minoritaria, la prima lunga stagione del lavoro di Francesco Fedeli. E’, per intenderci, quella d’un figurare scarnito e intelligente, che declina la visione domestica, il ‘basso’ esistenziale, prosciugando il figurare sino a renderlo una sorta di scrittura primaria e intensiva, ad alta gradazione emotiva. Si può dire di primitivismo o primordialismo, ma a patto d’intendere che Fedeli lavora entro il perimetro d’una sua appartatezza rimuginante, poco propenso, ora come in seguito, a contaminarsi con le ragioni mondane dell’essere artista, e soprattutto dei gusti decennali.
E’ da tale posizione di preservata distanza che l’artista, dalla metà degli anni Cinquanta, volge il proprio corso elaborante verso le acquisizioni nuove dell’art autre: ecco dunque che quel suo appropriarsi delle cose come per concussione affettiva e sensuosa si ritrova nelle distanze ravvicinatissime, spinte sino alla tattilità fastosa dello sguardo, che Tàpies e soprattutto Fautrier vanno declinando.
Pittura materica viene definito correntemente tale approccio: e non necessariamente spinta all’informe, come ben testimonia il tentativo di coagulo, del quale Fedeli è sodale, d’un gruppo d’arte materica – siamo all’avvio dei Sessanta – intorno alla galleria Schettini. Fedeli assume, di quella vicenda, non il portato sperimentale e neppure le implicazioni forti d’esistenziale. Libera piuttosto, in modo definitivo e struggente, una sorta di virile e ruvido intimismo, e la possibilità di possesso delle cose attraverso il corpo stesso della pittura.
La sua è ora, sì, una riduzione della forma sensibile a clausola convenzionale: quei frutti, quei pesci, si fanno sigla e impronta, a cadenzare il lavorio delle hautes pâtes dalla consistenza d’intonaco, le cui tonalità sommesse fanno da continuo a quelle sagome dorate d’umore medievale. Fedeli lavora per spalti di materia forte, della quale avverti il peso stesso, commessi e articolati dall’architettura umile d’un graffito che corre, segna, ritma, definisce. Lavora, soprattutto, ben interpretando il retaggio d’una nozione d’arte concettualmente non racchiudibile entro i confini angusti della tela da cavalletto, a riportare tali pitture entro le misure espressive d’un decorare che abbia per luogo naturale il contesto architettonico: la partitura grande, con iterazioni e variazioni, quantità e accenti.
Ecco, allo sguardo d’oggi non può intendersi il valore di queste opere se non si pon mente alla loro congeneità all’idea stessa di pittura architettonica; un’esperienza che, tra anni Cinquanta e Sessanta, proprio a Milano vide riformarsi solidarietà antiche tra pittore e architetto.
Fedeli lavora con occhio e mano umili e potenti d’artigiano, in questi lavori, per ritrovare l’arte: un’arte necessaria, un’arte capace ancora di valori non transitori.
04
novembre 2004
Francesco Fedeli (1911 – 1998)
Dal 04 al 21 novembre 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA PONTE ROSSO
Milano, Via Brera, 2, (Milano)
Milano, Via Brera, 2, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10-12.30 e 15.30-19 / domenica 15.30-19
Vernissage
4 Novembre 2004, ore 18 presentazione di FLAMINIO GUALDONI
Autore