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Daniele Contavalli
Il conio del termine “estetica”, codificato nel 1750 dal filosofo tedesco Baumgarten, sancisce la definitiva acquisizione del concetto di autonomia dell’arte. L’arte, intesa in una accezione ampia e multidisciplinare, in cui pittura e scultura si sommano alla letteratura ed alla poesia, nella forma dei componimenti sia di breve che di ampio respiro, già codificati nell’antichità classica
Comunicato stampa
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L’arte, intesa in una accezione ampia e multidisciplinare, in cui pittura e scultura si sommano alla letteratura ed alla poesia, nella forma dei componimenti sia di breve che di ampio respiro, già codificati nell’antichità classica da Aristotele con le categorie logistiche della retorica e della poetica, sancisce la sua separazione definitiva dagli altri aspetti fondanti lo scibile umano, in particolar luogo la scienza, dotandosi di regole autonome formali ed interpretative ed iniziando ad intraprendere il cammino che, più di due secoli dopo, la farà approdare alla condizione di contemporaneità, meglio sarebbe dire post modernità, che caratterizza la nostra epoca. Tuttavia “estetica” assume un senso più ampio di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Andando ad indagare l’etimologia del termine, cosa che è sempre utile fare per meglio comprendere il significato delle cose, possiamo verificare come il Baumgartern si fosse ispirato ad una radice verbale greca, “aisth”, legata all’idea del sentire, ma non con il cuore ed il sentimento, come era tipico nell’interpretazione settecentesca dell’arte, bensì con i sensi, con la rete delle percezioni fisiche. Non a caso, infatti, la radice opposta è “an – estesia”, cioè l’annullamento temporaneo delle nostre facoltà sensoriali – percettive. Quindi, senza nulla togliere all’importanza di questa categoria culturale, è opportuno sottolineare l’opportuna desacralizzazione, in termini di inacessibilità apparente, dell’estetica. Questo tipo di esperienza è in realtà alla portata di ognuno di noi nell’ambito della sua quotidianità, poiché coinvolge sia il fruitore che il produttore dell’evento, e non investe solo il pur prioritario ambito delle arti, ma anche qualunque cosa sia utile per accrescere la nostra qualità di vita. Concludendo questa introduzione sottolineo come anche la parola arte abbia un’origine in apparenza insospettabile, appartenente all’ambito della cultura “materiale” e non “ideale”, derivando dal termine greco “techne” ed al successivo vocabolo latino “ars”, il cui significato è “tecnica”, qualcosa che ha a che fare prima di tutto con una manualità dal sapore artigianale. Le riflessioni precedenti si confanno, da un lato, alle caratteristiche del lavoro di Daniele Contavalli, dall’altro si prestano come ausilio ad una non semplice interpretazione della scena artistica contemporanea, di cui Contavalli è tra i giovani protagonisti più interessanti, una scena complessa e fluttuante ma che comunque sta decisamente assumendo caratteristiche “diverse” da quelle che l’avevano connotata dopo il 1975, a seguito della crisi del Concettuale, soprattutto in relazione alla situazione degli anni ’90, in Italia particolarmente confusa e contraddittoria, anche a causa di limiti congeniti, da me più volte denunciati, del nostro “sistema” artistico. Una definizione di arte come esperienza polisensoriale in grado di coinvolgere al pari artefice e fruitore ed una ridefinizione del ruolo dell’artista come “operatore estetico” si adattano ad un corretto inquadramento del lavoro di Daniele Contavalli, coerentemente evolutosi nel corso degli ultimi anni fino ad approdare ad una definitiva maturazione. Come dall’artista stesso sottolineato in alcuni suoi scritti, infatti Contavalli è anche valente sperimentatore della scrittura nonché impegnato sul fronte delle nuove sonorità , spesso usate a contorno ed integrazione delle sue installazioni, il suo obiettivo è di dare vita ad una esperienza estetica allargata, in grado di connettersi elettivamente alla tradizione delle origini per poi contestualizzarsi con incisività estrema all’interno della contemporaneità a noi più vicina, in un cortocircuito temporale in grado di dar vita alla rappresentazione di una sorta di “futuro anteriore”. Contavalli adopera la tecnologia, per sua stessa ammissione, come pura coestensione dell’atto creativo, gesto di potenza in grado di amplificare la portata dell’intuito poetico e di ampliarne la diffusione col tramite di una fruizione dinamicamente estesa e non inerte ad osservare l’opera da un solo punto di vista, in omaggio al superamento, ormai storicamente consolidato, della dimensione puntativa tipica dell’inquadramento prospettico. L’opera di Contavalli è dunque una sapiente miscellanea di manualità dall’impianto solidamente artigianale, che si connette ad un sagace utilizzo delle tecnologie digitali a loro volta collegate con suggestioni tratte dagli universi della musica, del cinema, della letteratura, ed uno stile che, formalmente parlando, oscilla tra la bidimensione e l’installazione spazialmente estesa. Le sue sono icone tratte dal mondo mediale, simulacri prelevati dalla realtà ed elevati ad un ambito di ritualità sacrale, al di là di facili e banali “sociologismi”. Tornando in sintesi ad una definizione della scena artistica attuale, che l’opera di Contavalli ben rappresenta come autentica “parte per il tutto”, atto di parola che contribuisce all’evoluzione della lingua, appare chiaro come ci si trovi di fronte ad una mutazione. La post modernità sinonimo di citazione sta fuoriuscendo dalle secche dell’epigonismo manierista degli anni ’90 per approdare verso la ricerca di una “nuova immagine” in grado di mutare il concetto di esperienza estetica tramite una evidente contaminazione tra i generi, una loro ridefinizione. Qualcuno ha coniato un appellativo come “neobarocco” per simboleggiare questo stato d’animo, il sottoscritto sta riflettendo su di un termine come “nuova contemporaneità” per indicare una evidente volontà di riprendere il cammino interrotto dall’irrompere del lungo “fine secolo” novecentesco in direzione di una rinnovata sperimentazione in grado di approdare davvero a quel concetto di “estetica allargata” introdotto per la prima volta dalle avanguardie storiche. Per tornare a Daniele Contavalli, la sua mostra presso Fiorile Arte, cui farà seguito, il prossimo 12 novembre, un’altra personale presso la Fusion Art Gallery di Torino, da un lato conferma la vocazione della galleria bolognese, pur nella sua apparente ristrettezza spaziale, ad ospitare installazioni dalla forte valenza scenografica, dall’altro rappresenta una perfetta sintesi della sua poetica. Contavalli realizza una sintetica ed incisiva visione d’insieme del tema più scottante e controverso che il mondo occidentale sta attualmente vivendo, il rapporto e l’irrisoluta dialettica dialogo/conflitto con l’Islam. La visione dell’artista romano, al consueto, si avventura in controversi fatti di storia e di cronaca con delicato senso poetico, con rara capacità evocativa congiunta ad un’immagine forte e dai contorni chiari e definiti. Contavalli ricostruisce un interno dal gusto mediorientale, con una prevalenza di toni chiaroscurali dove si notano un tappeto, una serie di opere a parete ed, a suolo, dei software e due altoparlanti. La simbologia è evidentemente ispirata alla tragedia della guerra in Iraq e l’iconografia è conseguente, strumenti di guerra e celebrazioni di morte fanno da scenario alla composizione, con un equilibrato contraltare di simboli di speranza come il quadro intitolato “La sposa araba”. L’insieme è di forte impatto visivo ed è in grado di far riflettere al pari, se non meglio, del più riuscito dei “reportage”.
Edoardo Di Mauro, ottobre 2004.
Edoardo Di Mauro, ottobre 2004.
23
ottobre 2004
Daniele Contavalli
Dal 23 ottobre al 18 novembre 2004
arte contemporanea
Location
FIORILE ARTE
Bologna, Via Nosadella, 37/D, (Bologna)
Bologna, Via Nosadella, 37/D, (Bologna)
Orario di apertura
mercoledi e giovedi dalle 10 alle 12 venerdi e sabato dalle 17 alle 19
Vernissage
23 Ottobre 2004, ore 18