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06
dicembre 2013
Ritratto del curatore da giovane
rubrica curatori
di Manuela Valentini
Intervista a Chiara Ianeselli, curatrice giovanissima che dimostra di muoversi nel suo settore lentamente, ma cercando di non sbagliare un colpo. Il curriculum è notevole e i progetti in corso ancora di più. Con riferimenti in Roberto Pinto e Hans Ulrich Obrist
Intervista a Chiara Ianeselli, curatrice giovanissima che dimostra di muoversi nel suo settore lentamente, ma cercando di non sbagliare un colpo. Il curriculum è notevole e i progetti in corso ancora di più. Con riferimenti in Roberto Pinto e Hans Ulrich Obrist
Di dove sei, quanti anni hai, dove vivi e lavori?
«Sono nata tra le incantevoli valli del Trentino 24 anni fa. Al momento vivo e lavoro a Trento».
Vorrei farti una domanda che probabilmente tutti gli aspiranti curatori vorrebbero porti: Come si fa ad affermarsi nel tuo lavoro, specie a livello internazionale?
«Non penso di essere affermata a livello internazionale, sono molto giovane e credo ci sia ancora molto lavoro da fare. In ogni caso non c’è sicuramente un’unica strada da seguire, i curatori ad oggi internazionalmente riconosciuti hanno avuto dei percorsi molto differenti tra loro. Avere una buona preparazione può aiutare molto, ma altrettanto valgono curiosità, sensibilità e la capacità di sviluppare un proprio senso critico: il lavoro sul campo è indubbiamente fondamentale. Ho avuto la possibilità di studiare con un docente come Roberto Pinto, che ha sempre insistito per una formazione sulle opere e sugli scritti di artisti e curatori. Opere viste sempre nei contesti delle mostre, cui ha dedicato una parte importante della sua ricerca».
E come è continuata la tua formazione?
«È stata sicuramente rilevante l’esperienza nel dipartimento curatoriale a dOCUMENTA (13), come anche il lavoro all’ultima Biennale come assistente producer di Francesca Bertolotti, per il Padiglione condiviso di Lituania e Cipro, curato da Raimundas Malašauskas. Il lavoro ad Artissima Lido nel 2012 mi ha fatto avvicinare alla fiera torinese: penso che la possibilità di vivere le diverse prospettive abbia permesso una forte crescita nel mio percorso. Anche gli artisti con cui mi sono confrontata hanno sicuramente influito notevolmente, contribuendo a definire anche il mio interesse».
Quali letture credi siano imprescindibili per la formazione di un curatore? Quali sono i testi che secondo te costituiscono le basi? Tu per esempio al momento cosa stai leggendo?
«Non penso che per questo lavoro ci siano dei testi fondamentali, imprescindibili. Ovviamente è importante avere delle conoscenze basilari, che si possono acquisire tramite lo studio dei manuali accademici tradizionali come per esempio Arte dal 1900 di Hal Foster, Rosalind Krauss, Yve-Alain Bois, Benjamin H.D. Buchloh e molti altri; tuttavia, per la formazione di un curatore di arte contemporanea, è sicuramente importante lo studio della storia delle mostre, ma anche i cataloghi o ancora meglio la documentazione originale di artisti e curatori. Non penso ci si dovrebbe mai allontanare troppo dalle opere stesse. Mi interessa molto anche il rapporto dei curatori con istituzioni, fiere e biennali, sono in atto dei cambiamenti molto importanti in questo ambito. Per comprendere meglio la visione della curatela ad oggi suggerirei di considerare Ten Fundamental Questions of Curating, edito da Mousse. Al momento sto rileggendo Breve storia della curatela di Obrist e una pubblicazione di Vessel: Not (Yet) A Manifesto».
La riapertura della Galleria Civica di Trento è stata un successo per la tua città. Cosa ne pensi?
«Sono molto curiosa di conoscere la programmazione delle prossime attività, sarebbe interessante vedere artisti provenienti da realtà italiane e straniere confrontarsi con questo spazio e la città. Non mi preoccupa un’eventuale distanza rispetto alla collettività trentina, credo sia un processo lungo e non per forza destinato a trovare un punto di contatto».
Per quanto riguarda la tua ricerca curatoriale, segui dei modelli in particolare? Per esempio il modo di lavorare di Obrist o magari di altri critici famosi?
«Anche in questo caso non c’è un modello cui mi ispiro direttamente, penso siano più influenze sottili, magari impercettibili che emergono poi nel mio lavoro e nella mia ricerca in maniera autonoma. Mi interessa capire come le mostre nascano, crescano, comunichino concetti e sentimenti altrimenti non esprimibili. Sicuramente preferisco portare avanti pochi progetti, impegnati ed impegnativi: mi piace vedere come le cose si muovano in corso d’opera, quando il percorso individuale di un artista viene percepito come universale, proprio in questa fase il mio lavoro di curatore inizia ad assumere importanza.
Penso che la figura di Obrist sia particolarmente influente per il suo metodo di lavoro, caratterizzato dalla vicinanza all’artista e all’opera evidente in tutte le fasi della mostra. Le sue interviste sono solo parte di un processo più ampio che consente di cogliere la sua particolare sensibilità verso la storia individuale umana dell’artista».
A cosa ti stai dedicando al momento?
«Il 25 ottobre scorso ha inaugurato da Boccanera la prima personale italiana di Lutyens. Si tratta di un’esposizione co-curata con Kristupas Sabolius, una sorta di scrittura espositiva di un più ampio studio relativo alle forme di comunicazione e interazione. Sto portando avanti anche delle ricerche tramite delle interviste ad alcuni artisti e sto lavorando a dei progetti con Koen Vanmechelen, Myriam Lefkowitz e Christian Fogarolli».
Ma quale curatrice. Questa è un’assistente di galleria e a documenta faceva la stagista. Eravate ubriachi quando avete deciso di intervistarla?
Bella la sua prima risposta: ..non credo di essere affermata a livello internazionale…Ma in Italia chi la conosce? Ma non avevate nessuno da intervistare?
Gentile Maria, le spiego subito perchè ho scelto di intervistare Chiara. Forse non sa che uno degli obiettivi della mia rubrica è offrire visibilità non solo a giovani curatori già abbastanza affermati, ma anche a coloro che dimostrano di avere buone potenzialità per diventarlo. Certo Chiara non avrà curato un quantitativo enorme di mostre, ma solo il fatto che ne abbia curata una (vedi, tra le altre, la personale di Marcos Lutyens alla Galleria Boccanera)la inserisce a pieno titolo nel mondo della curatela. Buona giornata! Manuela
critiche sterili e poco acute di gente evidentemente invidiosa. bravi a dare spazio ai giovani talentuosi come chiara invece.
Per affermarsi nell’ambito curatoriale si deve conoscere la gente giusta e si devono fare le esperienze di tirocinio giuste, come ha fatto Chiara, putroppo per la maggior parte degli altri apprendisti curatori non è concessa questa opportunità.
a mio modo di vedere il mestiere di curatore come mestiere non può esistere per via della sua eccezionalità e episodicità, mi fa specie parlare di mestiere in questo ambito dove bisogna dire qualcosa solo quando se ne sente effettivamente l’urgenza.
non sono d’accordo con Iperarte, se di mestiere si deve trattare non può essere sufficiente “conoscere le persone giuste”, non stiamo mica parlando di fare la comparsata a XFactor… lo trovo agghiacciante: bisognerà avere esperienza, cultura, acume critico.. no?
L’impressione è che forse sarebbe meglio avere
più medici che curatori.
non è agghiacciante il mio pensiero, è agghiacciante il mondo come va oggi. Chi pensa che veramente basta essere preparati e lavorare duro per fare i curatori sbaglia di grosso. Questo ovviamente non toglie il merito ad alcuni talentuosi che hanno i giusti agganci, spesso degni di nota.