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Annibale Zucchini – 1891-1970 Sculture
Le qualità umane e plastiche delle sculture di Zucchini, che gli valgono la stima di artisti come Tosi, De Pisis, Bartolini, Mafai, Pirandello eccetera, raggiungeranno presto un profondo riconoscimento. Le sue teste sono pezzi da collezione… Chi ha la ventura di possedere qualche suo pezzo sa che si può guardare a lungo e che lo si ama.
Comunicato stampa
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“Le qualità umane e plastiche delle sculture di Zucchini, che gli valgono la stima di artisti come Tosi, De Pisis, Bartolini, Mafai, Pirandello eccetera, raggiungeranno presto un profondo riconoscimento. Le sue teste sono pezzi da collezione… Chi ha la ventura di possedere qualche suo pezzo sa che si può guardare a lungo e che lo si ama.” Così scriveva Gio Ponti nel 1942 su “Stile”, la rivista che aveva fondato dopo aver lasciato la direzione di “Domus”. Al testo si affiancavano alcune pagine concepite come un mosaico fotografico le cui tessere erano piccole riproduzioni di teste di terracotta, tantissime, fortemente espressive. Un modo veramente nuovo per l’epoca di presentare un artista e che infatti suscitò scalpore ed indusse diversi appassionati a cercare un contatto con l’autore di quella suggestiva galleria di ritratti, uno scultore ferrarese sconosciuto ai più, ma, si scoprì in quell’occasione, amatissimo da artisti e letterati importanti, tutti pronti a scommettere su di lui e sul suo sicuro successo.
La piccola folla d’argilla che tanto piaceva a Filippo De Pisis, Roberto Melli, Giuseppe Capogrossi e Fausto Pirandello, i “volti di piccole donne insignificanti, vedove e zitelle” di “ragazzi intristiti da una pubertà precoce” cari a Giorgio Bassani tornano ora a mostrarsi in una esposizione allestita da Ricerca d’Arte, galleria romana che alla valorizzazione e riscoperta della scultura figurativa italiana del ’900 dedica larga parte della sua attività.
Al di là delle aspettative, la grande notorietà non arrivò mai per Annibale Zucchini, né avrebbe potuto essere altrimenti visti il pudore e l’infinita timidezza dell’uomo, caratteristiche in lui così radicate da tradursi in un inevitabile condizionamento per lo sviluppo della sua carriera. Scrive Carlo Bassi, architetto e intellettuale ferrarese tra i primi a tentare una ricostruzione della figura di Zucchini, che il filo rosso della sua vita fu la ricerca dell’isolamento. Zucchini rifuggeva gli aspetti pratici e competitivi della vita e certamente non era né predisposto, né realmente interessato a scendere in campo per ottenere quei riconoscimenti che in molti pensavano gli spettassero. La sua ritrosia lo indusse a bruciare parecchie delle favorevoli opportunità per lui periodicamente create dai suoi inteneriti sostenitori. Ne rimpianse una sola: la possibilità offertagli da Gio Ponti di lavorare all’interno della sua casa milanese utilizzando il piccolo studio che un tempo aveva ospitato Arturo Martini. Paradossalmente, però, la propensione di Zucchini all’isolamento non ne faceva un isolato. La solitudine che si costruiva attorno era in realtà un microcosmo tutto orientato verso l’esterno, pronto a captare tanto le novità del pensiero e delle arti, quanto gli umori e i fremiti, la piccola poesia della vita di tutti i giorni.
Figlio di un agiato argentiere, aveva scelto di abitare nella cantina della dimora di famiglia, un notevole palazzo estense posto al centro di Ferrara. L’abbondante aneddotica fiorita intorno al “Professore”, lo chiamavano così anche se si era laureato in Architettura, vuole che tutti gli altri locali dell’edificio fossero occupati da inquilini restii a pagare la pigione quasi quanto lui era timoroso di chiederla. Le sue operose giornate erano equamente divise tra il disegno, la scultura, la lettura e la corrispondenza. Scriveva verso sera, poi, dopo una scarna cena a base di pane e latte, inforcava la bicicletta ed andava ad imbucare le lunghissime lettere che gli consentivano di mantenere stretti rapporti con gli artisti ed i letterati che amava. Uno dei meriti ascrivibili alla mostra curata da Marialivia Brunelli è proprio quello di aver ricostruito, con il contributo di Carlo Bassi, questo prezioso carteggio: una fitta rete di relazioni epistolari che permise a Zucchini di mantenersi costantemente aggiornato su quanto accadeva a Roma, Milano e Parigi.
In pochi erano ammessi nel suo studio che, pure, a partire dalla metà degli anni Venti, cominciò ad affollarsi di personaggi: un popolo di terracotta forgiato per testimoniare il suo amore per la gente comune. Modellò centinaia di ritratti, persone conosciute o semplici passanti, quelli che non gli piacevano li ammucchiava in un cortile del suo palazzo. Florestano Vancini esordì come regista realizzando un documentario su Zucchini e volle riprenderlo anche così: tutto concentrato a scartare le sculture e a buttarle nel mucchio. La tenera solidarietà verso gli esclusi dalle grandi pagine della storia è certo la chiave di lettura più esplicita della sua arte e della sua vita. Che modellasse teste futuriste simili ad elmi medioevali od offrisse una sua originale interpretazione del primitivismo di Arturo Martini, che si avvicinasse all’espressionismo della “Scuola Romana” o prendesse contatti con i milanesi raccolti attorno alla rivista “Corrente”, il soggetto era sempre quello: la gente comune. Persino le prime sperimentazioni astratte della fine degli anni Cinquanta si rivelano, ad una più attenta analisi, modulazioni in chiave geometrica del solito tema. Così profondamente sentito da indurlo, in pieno regime fascista, a dichiararsi socialista. Con candido coraggio spiegava che non avrebbe potuto essere di nessun altro convincimento “perché tutta la gente più umile è quella che amo mettere nelle mie sculture”.
Il suo alter ego letterario era Corrado Covoni, l’intenso poeta padano che aveva voluto a tutti i costi conoscere (lui così timido!) dopo essersi innamorato delle sue poesie. Le suggestioni letterarie (era un lettore accanito) sono d’altronde l’altra importante chiave d’interpretazione del suo lavoro.
Non volle mai gettarsi nella mischia, nonostante ciò ebbe una carriera espositiva di tutto rispetto. Dal 1935 al 1957 partecipò ad ogni edizione della Quadriennale e le più prestigiose gallerie romane e milanesi gli dedicarono mostre sempre accolte con entusiasmo dalla critica. Verso la fine della vita espose a più riprese a Parigi sollecitando ancora una volta l’interesse dei più grandi: “Zucchini ha quel senso del meraviglioso e del sacro che sembra far difetto alla maggior parte degli artisti del suo tempo.” Sono parole di Waldemar George, il maestro dei critici francesi. Come al solito, il cantore della gente comune aveva conquistato gli intellettuali.
La piccola folla d’argilla che tanto piaceva a Filippo De Pisis, Roberto Melli, Giuseppe Capogrossi e Fausto Pirandello, i “volti di piccole donne insignificanti, vedove e zitelle” di “ragazzi intristiti da una pubertà precoce” cari a Giorgio Bassani tornano ora a mostrarsi in una esposizione allestita da Ricerca d’Arte, galleria romana che alla valorizzazione e riscoperta della scultura figurativa italiana del ’900 dedica larga parte della sua attività.
Al di là delle aspettative, la grande notorietà non arrivò mai per Annibale Zucchini, né avrebbe potuto essere altrimenti visti il pudore e l’infinita timidezza dell’uomo, caratteristiche in lui così radicate da tradursi in un inevitabile condizionamento per lo sviluppo della sua carriera. Scrive Carlo Bassi, architetto e intellettuale ferrarese tra i primi a tentare una ricostruzione della figura di Zucchini, che il filo rosso della sua vita fu la ricerca dell’isolamento. Zucchini rifuggeva gli aspetti pratici e competitivi della vita e certamente non era né predisposto, né realmente interessato a scendere in campo per ottenere quei riconoscimenti che in molti pensavano gli spettassero. La sua ritrosia lo indusse a bruciare parecchie delle favorevoli opportunità per lui periodicamente create dai suoi inteneriti sostenitori. Ne rimpianse una sola: la possibilità offertagli da Gio Ponti di lavorare all’interno della sua casa milanese utilizzando il piccolo studio che un tempo aveva ospitato Arturo Martini. Paradossalmente, però, la propensione di Zucchini all’isolamento non ne faceva un isolato. La solitudine che si costruiva attorno era in realtà un microcosmo tutto orientato verso l’esterno, pronto a captare tanto le novità del pensiero e delle arti, quanto gli umori e i fremiti, la piccola poesia della vita di tutti i giorni.
Figlio di un agiato argentiere, aveva scelto di abitare nella cantina della dimora di famiglia, un notevole palazzo estense posto al centro di Ferrara. L’abbondante aneddotica fiorita intorno al “Professore”, lo chiamavano così anche se si era laureato in Architettura, vuole che tutti gli altri locali dell’edificio fossero occupati da inquilini restii a pagare la pigione quasi quanto lui era timoroso di chiederla. Le sue operose giornate erano equamente divise tra il disegno, la scultura, la lettura e la corrispondenza. Scriveva verso sera, poi, dopo una scarna cena a base di pane e latte, inforcava la bicicletta ed andava ad imbucare le lunghissime lettere che gli consentivano di mantenere stretti rapporti con gli artisti ed i letterati che amava. Uno dei meriti ascrivibili alla mostra curata da Marialivia Brunelli è proprio quello di aver ricostruito, con il contributo di Carlo Bassi, questo prezioso carteggio: una fitta rete di relazioni epistolari che permise a Zucchini di mantenersi costantemente aggiornato su quanto accadeva a Roma, Milano e Parigi.
In pochi erano ammessi nel suo studio che, pure, a partire dalla metà degli anni Venti, cominciò ad affollarsi di personaggi: un popolo di terracotta forgiato per testimoniare il suo amore per la gente comune. Modellò centinaia di ritratti, persone conosciute o semplici passanti, quelli che non gli piacevano li ammucchiava in un cortile del suo palazzo. Florestano Vancini esordì come regista realizzando un documentario su Zucchini e volle riprenderlo anche così: tutto concentrato a scartare le sculture e a buttarle nel mucchio. La tenera solidarietà verso gli esclusi dalle grandi pagine della storia è certo la chiave di lettura più esplicita della sua arte e della sua vita. Che modellasse teste futuriste simili ad elmi medioevali od offrisse una sua originale interpretazione del primitivismo di Arturo Martini, che si avvicinasse all’espressionismo della “Scuola Romana” o prendesse contatti con i milanesi raccolti attorno alla rivista “Corrente”, il soggetto era sempre quello: la gente comune. Persino le prime sperimentazioni astratte della fine degli anni Cinquanta si rivelano, ad una più attenta analisi, modulazioni in chiave geometrica del solito tema. Così profondamente sentito da indurlo, in pieno regime fascista, a dichiararsi socialista. Con candido coraggio spiegava che non avrebbe potuto essere di nessun altro convincimento “perché tutta la gente più umile è quella che amo mettere nelle mie sculture”.
Il suo alter ego letterario era Corrado Covoni, l’intenso poeta padano che aveva voluto a tutti i costi conoscere (lui così timido!) dopo essersi innamorato delle sue poesie. Le suggestioni letterarie (era un lettore accanito) sono d’altronde l’altra importante chiave d’interpretazione del suo lavoro.
Non volle mai gettarsi nella mischia, nonostante ciò ebbe una carriera espositiva di tutto rispetto. Dal 1935 al 1957 partecipò ad ogni edizione della Quadriennale e le più prestigiose gallerie romane e milanesi gli dedicarono mostre sempre accolte con entusiasmo dalla critica. Verso la fine della vita espose a più riprese a Parigi sollecitando ancora una volta l’interesse dei più grandi: “Zucchini ha quel senso del meraviglioso e del sacro che sembra far difetto alla maggior parte degli artisti del suo tempo.” Sono parole di Waldemar George, il maestro dei critici francesi. Come al solito, il cantore della gente comune aveva conquistato gli intellettuali.
12
ottobre 2004
Annibale Zucchini – 1891-1970 Sculture
Dal 12 ottobre al 06 novembre 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA RICERCA D’ARTE
Roma, Via Di Monserrato, 121/a, (Roma)
Roma, Via Di Monserrato, 121/a, (Roma)
Orario di apertura
10.30-13.00 / 16.30 – 20.00
Chiuso il lunedì mattina e nei giorni festivi
Vernissage
12 Ottobre 2004, dalle ore 18.30
Curatore