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Luigi Bartolini – Linee di libertà. Incisioni 1915-1936
Tra i maggiori incisori italiani del ‘900, a Luigi Bartolini (Cupramontana, 1892 – Roma, 1963) l’Accademia di Belle Arti di Roma dedica una mostra pensata per gli spazi dell’Aula Colleoni. In tutto 23 incisioni, realizzate tra il 1915 e il 1936, che il professor Giuseppe Modica, nel ruolo di curatore, e la signora Luciana Bartolini, figlia dell’artista, hanno selezionato e disposto lungo un percorso ragionato, tra assonanze tematiche e linee cronologiche
Comunicato stampa
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Tra i maggiori incisori italiani del ‘900, Luigi Bartolini (Cupramontana, 1892 – Roma, 1963) divide questo
unanime riconoscimento con un gigante del calibro di Giorgio Morandi. Un marchigiano e un emiliano, che
insieme a pochi altri scrissero la storia della grafica d’arte novecentesca, nel segno dell’innovazione, di un
linguaggio indipendente e di un’urgenza poetica capace di surclassare il virtuosismo tecnico.
A Bartolini l’Accademia di Belle Arti di Roma dedica una mostra pensata per gli spazi dell’Aula Colleoni. In
tutto 23 incisioni, realizzate tra il 1915 e il 1936, che il professor Giuseppe Modica, nel ruolo di curatore, e
la signora Luciana Bartolini, figlia dell’artista, hanno selezionato e disposto lungo un percorso ragionato,
tra assonanze tematiche e linee cronologiche.
La poesia resta, nel percorso di Bartolini, una nota costante e squillante. Tanto che lui stesso definì quelle sue
geniali esplorazioni grafiche della natura come “deformazioni liriche suggerite dalla mia estrosità poetica”,
non certo delle “affrettate annotazioni“. Mentre Carlo Bo amò tributarlo come “il più felice degli inventori,
uno degli uomini più toccati dalla grazia poetica”. Il segno nervoso graffiava il foglio non immacolato, oltre
ogni anelito di purezza e di perfezione, quasi in accordo col temperamento passionale, con l’indole ironica e
dissacrante, con la vivacità di pensiero e di sguardo. L’incisione (l’acquaforte in particolare, tra “maniera
bionda" e "maniera nera") era per lui luogo di sperimentazione: un vis à vis non convenzionale con le
superfici duttili, con gli inchiostri e i torchi, ma soprattutto con quei soggetti che – oltre l’estetizzante eredità
simbolista, oltre il paesaggismo accademico o la schietta critica realista, e senza piegarsi alla radicalità delle
Avanguardie – egli trasformava in apparizioni fugaci, vibranti, aggraziate, impetuosamente pittoriche. Non
scontate, se pur nutrite di un costante studio della tradizione.
“Gli stessi ricordi”, scrive in catalogo il critico Giuseppe Appella, “si perdono tra passaggi e velature, si
fondono – fantasmi ricacciati nel profondo e subito riapparsi – nelle nervature dei segni, vibrano sul
fondino giallo che esalta gli spazi”. Ne deriva un intreccio di segni veloci, di bianchi e neri profondi, ma
anche di forme lievi, a raccontare una natura poetica al limite dell'incanto. Opere pervase – dice ancora
Appella – “dal sottile sentimento fattoriano (il rispetto e l’ammirazione di Bartolini per Fattori sono
ricordati in molti scritti) al grande amore per Goya, al sapiente e violento chiaroscuro di Rembrandt”.
Formatosi all'Accademia di Belle Arti di Roma - città nella quale ha insegnato e dove è stato, come sottolinea
la Direttrice Tiziana d'Acchille, “un punto di riferimento per le giovani generazioni che a Roma
trovavano un luogo di formazione” - Bartolini non fu solo un poeta del segno. Fu autore di versi, testi critici,
romanzi (su tutti “Ladri di biciclette”, da cui fu tratto il celebre film di De Sica), con oltre 70 pubblicazioni
all’attivo. E fu fortemente critico nei confronti del regime fascista: accusato di mantenere segreti rapporti
epistolari con i fuoriusciti, venne confinato a Merano e poi a Roma. Non sottoscrisse dunque – al contrario di
molti intellettuali dell’epoca – il “Manifesto della razza” del 1938 e riuscì anche a salvare nel ’44 una famiglia
ebrea di Königsberg, nascondendola nel suo appartamento per una decina di giorni e così sottraendola a
un’operazione di rastrellamento. Un uomo dalla forte statura morale e intellettuale, oltre che dalla profonda
umanità, a cui lo straordinario talento artistico procurò importanti partecipazioni istituzionali (incluse
numerose edizioni della Biennale di Venezia, a cui fu invitato quasi ininterrottamente dal 1928 al 1962) e vari
prestigiosi riconoscimenti, dall’ex equo con Morandi alla Mostra dell’Incisione Italiana di Firenze, nel 1932,
ai premi per la Quadriennale di Roma nel 1935 e per la Mostra Internazionale dell’Incisione di Lugano, nel
1950.
unanime riconoscimento con un gigante del calibro di Giorgio Morandi. Un marchigiano e un emiliano, che
insieme a pochi altri scrissero la storia della grafica d’arte novecentesca, nel segno dell’innovazione, di un
linguaggio indipendente e di un’urgenza poetica capace di surclassare il virtuosismo tecnico.
A Bartolini l’Accademia di Belle Arti di Roma dedica una mostra pensata per gli spazi dell’Aula Colleoni. In
tutto 23 incisioni, realizzate tra il 1915 e il 1936, che il professor Giuseppe Modica, nel ruolo di curatore, e
la signora Luciana Bartolini, figlia dell’artista, hanno selezionato e disposto lungo un percorso ragionato,
tra assonanze tematiche e linee cronologiche.
La poesia resta, nel percorso di Bartolini, una nota costante e squillante. Tanto che lui stesso definì quelle sue
geniali esplorazioni grafiche della natura come “deformazioni liriche suggerite dalla mia estrosità poetica”,
non certo delle “affrettate annotazioni“. Mentre Carlo Bo amò tributarlo come “il più felice degli inventori,
uno degli uomini più toccati dalla grazia poetica”. Il segno nervoso graffiava il foglio non immacolato, oltre
ogni anelito di purezza e di perfezione, quasi in accordo col temperamento passionale, con l’indole ironica e
dissacrante, con la vivacità di pensiero e di sguardo. L’incisione (l’acquaforte in particolare, tra “maniera
bionda" e "maniera nera") era per lui luogo di sperimentazione: un vis à vis non convenzionale con le
superfici duttili, con gli inchiostri e i torchi, ma soprattutto con quei soggetti che – oltre l’estetizzante eredità
simbolista, oltre il paesaggismo accademico o la schietta critica realista, e senza piegarsi alla radicalità delle
Avanguardie – egli trasformava in apparizioni fugaci, vibranti, aggraziate, impetuosamente pittoriche. Non
scontate, se pur nutrite di un costante studio della tradizione.
“Gli stessi ricordi”, scrive in catalogo il critico Giuseppe Appella, “si perdono tra passaggi e velature, si
fondono – fantasmi ricacciati nel profondo e subito riapparsi – nelle nervature dei segni, vibrano sul
fondino giallo che esalta gli spazi”. Ne deriva un intreccio di segni veloci, di bianchi e neri profondi, ma
anche di forme lievi, a raccontare una natura poetica al limite dell'incanto. Opere pervase – dice ancora
Appella – “dal sottile sentimento fattoriano (il rispetto e l’ammirazione di Bartolini per Fattori sono
ricordati in molti scritti) al grande amore per Goya, al sapiente e violento chiaroscuro di Rembrandt”.
Formatosi all'Accademia di Belle Arti di Roma - città nella quale ha insegnato e dove è stato, come sottolinea
la Direttrice Tiziana d'Acchille, “un punto di riferimento per le giovani generazioni che a Roma
trovavano un luogo di formazione” - Bartolini non fu solo un poeta del segno. Fu autore di versi, testi critici,
romanzi (su tutti “Ladri di biciclette”, da cui fu tratto il celebre film di De Sica), con oltre 70 pubblicazioni
all’attivo. E fu fortemente critico nei confronti del regime fascista: accusato di mantenere segreti rapporti
epistolari con i fuoriusciti, venne confinato a Merano e poi a Roma. Non sottoscrisse dunque – al contrario di
molti intellettuali dell’epoca – il “Manifesto della razza” del 1938 e riuscì anche a salvare nel ’44 una famiglia
ebrea di Königsberg, nascondendola nel suo appartamento per una decina di giorni e così sottraendola a
un’operazione di rastrellamento. Un uomo dalla forte statura morale e intellettuale, oltre che dalla profonda
umanità, a cui lo straordinario talento artistico procurò importanti partecipazioni istituzionali (incluse
numerose edizioni della Biennale di Venezia, a cui fu invitato quasi ininterrottamente dal 1928 al 1962) e vari
prestigiosi riconoscimenti, dall’ex equo con Morandi alla Mostra dell’Incisione Italiana di Firenze, nel 1932,
ai premi per la Quadriennale di Roma nel 1935 e per la Mostra Internazionale dell’Incisione di Lugano, nel
1950.
28
marzo 2019
Luigi Bartolini – Linee di libertà. Incisioni 1915-1936
Dal 28 marzo al 16 aprile 2019
disegno e grafica
Location
ACCADEMIA DI BELLE ARTI
Roma, Via Di Ripetta, 222, (Roma)
Roma, Via Di Ripetta, 222, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato, h. 10-18
Vernissage
28 Marzo 2019, h 18
Autore
Curatore