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Sylvie Auvray – Broom
La serie di scope, composte di ceramica, fibre, tessuti e metalli, riflette lo sguardo obliquo che l’artista rivolge alla dimensione quotidiana per mirare alla potenza dell’oggetto. I manici di queste sculture senza base quasi ne impediscono la presa come a trattenere l’elettricità di una danza.
Comunicato stampa
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Martina Simeti inaugura la programmazione della sua galleria in via Tortona 4 a Milano con BROOM, prima mostra personale in Italia dell’artista Sylvie Auvray.
Dopo una preview lo scorso settembre e una serie di lavori di ristrutturazione, volti anche alla creazione di un’area per residenze, lo spazio espositivo e progettuale di Martina Simeti inviterà artisti, designer e altri autori della scena nazionale e internazionale a esplorare e a “confondere” le distinzioni tra arte concettuale e applicata, artigianato e design.
Parigina, classe 1974, Auvray da tempo si confronta con immagini e forme che attraversano la sua vita ed evocano il nostro rapporto con la realtà. La sua serie di scope, composte di ceramica, fibre vegetali, tessuti e metalli, riflette lo sguardo obliquo che l’artista rivolge alla dimensione quotidiana, per mirare alla potenza dell’oggetto. Le ‘bestioles’ che le abitano provocano sottilmente lo spazio domestico portando la malizia e il gioco negli angoli dove di solito le cose si assopiscono.
C’era un uomo in un piccolo paese vicino a Marfa (Texas) da cui Auvray si recava a bere il the. Raccoglieva scheletri di cactus e li trasformava in manici per le sue scope: legno leggero e rinsecchito, disseminato di macchie scure, come fossero stigmate lasciate delle spine. Mentre parlavano, l’uomo legava il manico all’arbusto con dei nodi lenti, facendo ruotare questi oggetti modesti, dalla natura sospesa, ma già in movimento.
Così i manici delle scope di Sylvie Auvray sono diventati dei colli, alcuni molto lunghi, altri molto corti, che sostengono dei volti dall’aria beffarda in terracotta e smalto. Pesanti e troppo vivi, quasi ‘imprendibili’, sembrano contenere l’elettricità di una danza. Punite in un angolo le ballerine di Degas. Come se avessero abbandonato la disciplina per indossare gonne di paglia, di filo di lino e di piuma di tacchino e trasformarsi in scopa, o in strega.
Come i piatti di Sylvie Auvray sono dei dipinti, le sue scope sono sculture a cui basta un angolo per stare in piedi, senza bisogno di una base. Sono delle presenze in attesa, o in sospeso, come le sedie e gli oggetti degli Shakers inglesi, appesi ai muri forse per fare più spazio alla danza e al trans. O forse hanno inghiottito Legba, divinità Vodoo, paragonata al diavolo da alcuni antropologi, che discretamente smuove l’ordine dato agli oggetti portando il caos.
Testo di Sarah Holveck
Sylvie Auvray, nata nel 1974, ha studiato all’École des Beaux Arts di Montpellier e alla City & Guilds di Londra. Inizia a lavorare in parallelo nel mondo della moda con Sonia Rykiel e Martine Sitbon e in quello dell’arte, esponendo nei primi anni 2000 con la Galleria Jean Brolly e poi in numerose mostre con importanti gallerie private e in ambito museale, tra cui si segnalano: South Willard, Los Angeles, 2019, CAC Brétigny, 2019, FRAC ChampagneArdenne Reims, 2018; Gagosian, Ginevra, 2018; Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 2017 ; Galérie Laurent Godin, Parigi, 2016; Chantal Crousel, Parigi, 2013; Mamco, Ginevra, 2012; Le Consortium, Digione, 2011.
Dopo una preview lo scorso settembre e una serie di lavori di ristrutturazione, volti anche alla creazione di un’area per residenze, lo spazio espositivo e progettuale di Martina Simeti inviterà artisti, designer e altri autori della scena nazionale e internazionale a esplorare e a “confondere” le distinzioni tra arte concettuale e applicata, artigianato e design.
Parigina, classe 1974, Auvray da tempo si confronta con immagini e forme che attraversano la sua vita ed evocano il nostro rapporto con la realtà. La sua serie di scope, composte di ceramica, fibre vegetali, tessuti e metalli, riflette lo sguardo obliquo che l’artista rivolge alla dimensione quotidiana, per mirare alla potenza dell’oggetto. Le ‘bestioles’ che le abitano provocano sottilmente lo spazio domestico portando la malizia e il gioco negli angoli dove di solito le cose si assopiscono.
C’era un uomo in un piccolo paese vicino a Marfa (Texas) da cui Auvray si recava a bere il the. Raccoglieva scheletri di cactus e li trasformava in manici per le sue scope: legno leggero e rinsecchito, disseminato di macchie scure, come fossero stigmate lasciate delle spine. Mentre parlavano, l’uomo legava il manico all’arbusto con dei nodi lenti, facendo ruotare questi oggetti modesti, dalla natura sospesa, ma già in movimento.
Così i manici delle scope di Sylvie Auvray sono diventati dei colli, alcuni molto lunghi, altri molto corti, che sostengono dei volti dall’aria beffarda in terracotta e smalto. Pesanti e troppo vivi, quasi ‘imprendibili’, sembrano contenere l’elettricità di una danza. Punite in un angolo le ballerine di Degas. Come se avessero abbandonato la disciplina per indossare gonne di paglia, di filo di lino e di piuma di tacchino e trasformarsi in scopa, o in strega.
Come i piatti di Sylvie Auvray sono dei dipinti, le sue scope sono sculture a cui basta un angolo per stare in piedi, senza bisogno di una base. Sono delle presenze in attesa, o in sospeso, come le sedie e gli oggetti degli Shakers inglesi, appesi ai muri forse per fare più spazio alla danza e al trans. O forse hanno inghiottito Legba, divinità Vodoo, paragonata al diavolo da alcuni antropologi, che discretamente smuove l’ordine dato agli oggetti portando il caos.
Testo di Sarah Holveck
Sylvie Auvray, nata nel 1974, ha studiato all’École des Beaux Arts di Montpellier e alla City & Guilds di Londra. Inizia a lavorare in parallelo nel mondo della moda con Sonia Rykiel e Martine Sitbon e in quello dell’arte, esponendo nei primi anni 2000 con la Galleria Jean Brolly e poi in numerose mostre con importanti gallerie private e in ambito museale, tra cui si segnalano: South Willard, Los Angeles, 2019, CAC Brétigny, 2019, FRAC ChampagneArdenne Reims, 2018; Gagosian, Ginevra, 2018; Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 2017 ; Galérie Laurent Godin, Parigi, 2016; Chantal Crousel, Parigi, 2013; Mamco, Ginevra, 2012; Le Consortium, Digione, 2011.
26
marzo 2019
Sylvie Auvray – Broom
Dal 26 marzo al 17 maggio 2019
arte contemporanea
arti decorative e industriali
arti decorative e industriali
Location
MARTINA SIMETI
Milano, via Tortona, 4, (Milano)
Milano, via Tortona, 4, (Milano)
Orario di apertura
Martedì-Venerdì 14.00-18.00
Vernissage
26 Marzo 2019, h 18.30
Autore