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13
marzo 2014
Dalla pastasfoglia alla gelatina
altrecittà
Ecco chi sono i Gelitin e da dove nasce la loro voglia di fare tutto con il culo. Li abbiamo visti l'ultima volta a Milano quasi un anno fa con il loro "Ritratto Analitico" per la Fondazione Trussardi in occasione di Miart. Oggi tornano da Massimo de Carlo con (un altro) “Buco”. E informiamo i gentili lettori che ogni riferimento scurrile e volgare che si troverà nell'articolo sarà voluto e desiderato
Conosciuti come il boy-group dell’arte, i Gelitin, Gelatin, Gilitin a seconda delle fasi, sono, a oggi, il gruppo di artisti che riesce a far parlare di sé sempre e comunque, nel bene o nel male.
“Più che essersi formati per scelta, i Gelitin sono stati abbandonati. Sono stati piantati in asso e gettati in una situazione di possibilità provocata da una mancanza, più che un eccesso, di intenzioni.” Questo quello che si legge nel testo redatto dall’artista Liam Gillick in occasione del catalogo Gelatin – Loch 2013. Nati, per l’appunto, dagli avanzi di un gruppo sfasciatosi come la pastasfoglia che lo componeva, i Gallettene (che prendevano il nome dal dolce francese Galette de Rois, quello in cui si trova la coroncina di carta), i Gelitin sono un collettivo artistico completamente autogestito. Non ci sono autorità, non ci sono ruoli. Non c’è nemmeno progresso e non c’è evoluzione; c’è invece quel concetto di ‘gruppo’ che permette di postulare “quel ruolo che si colloca tra la esplicita affermazione dell’identità individuale e il potenziale di evasione del gruppo”.
Conosciutisi a Vienna durante gli anni ’80 come membri del gruppo “dei dolci”, i Gelitin hanno intrapreso la loro nuova attività da solisti dalla metà degli anni Novanta. Associati a un Azionismo Viennese nel quale non si ritrovano poi così tanto, i quattro membri dei Gelitin (Tobias Urban, Ali Janka, Wolfgang Gantner e Florian Reither) fanno parlare di sé per i loro atti provocatori, per performance contraddistinte dall’eccesso, dall’esuberanza, dalla sregolatezza, amati e odiati per quella “informe libertà” che rappresentano e con cui riescono a mettere a disagio qualunque essere vivente che viva secondo delle regole sociali all’interno di una collettività. Se lo scopo della provocazione dell’Azionismo Viennese era quello di portare a una catarsi, una purificazione dell’io, i Gelitin non hanno obiettivi (o almeno così dicono). Fondamentalmente non gliene frega niente di quello che fanno. Lo fanno e basta. La provocazione non è l’oggetto della loro ricerca né, tanto meno, il punto di partenza dei loro progetti. Secondo loro, è la scossa, lo choc, a essere fondamentale nell’opera d’arte ed è quella che riesce a far cambiare il modo di vedere le cose e il mondo. Come tutto, però, l’impressione, la stangata, non arriva a comando, si raggiunge solo con una buna opera d’arte e sono solo i “i bravi artisti che risultano scioccanti”.
Il rapporto con il pubblico è fondamentale per i Gelitin e, infatti, è sempre l’audience a essere messa a dura prova dalle loro performance. Sebbene non rivelino alcuna ambizione sociale o di cambiamento attraverso le loro azioni, è il lascito nel pubblico, forse, a essere il vero prodotto dell’arte del gruppo. La provocazione non si manifesta tanto nel gesto in sé, quanto nello smuovere delle reazioni all’interno di coloro che assistono. Azioni che nessuna persona normale riuscirebbe a mettere in scena neanche nell’intimità dell’angolino più recondito di casa propria, non solo vengono realizzate in pubblico, senza riserbo e soggezione, ma diventano progetti veri e propri per un atto di creazione artistica. È rendere normale tutto quello che noi crediamo sia vietato, a essere il potere di questo gruppo, il tutto, tra l’altro, giustificato con la scusa di essere il risultato di un processo artistico senza filtri.
Ma facciamo esempi concreti. Prendiamo Ritratto (Ana)litico, (www.youtube.com/watch?v=0n-2ZrCn9O0) spettacolo teatrale messo in scena in occasione di Miart 2013 al Teatro Arsenale in collaborazione con la Fondazione Trussardi.
Lo scenario è questo: un pubblico, un palco con sopra delle sedie e ben disposti per terra tutti gli strumenti necessari a fare un vero e proprio ritratto. Dove sta la provocazione? L’azione consiste nel fare ritratti alle persone del pubblico col culo! E proprio in senso letterale! Cioè con un pennello infilato nel didietro. Del resto lo diceva anche il titolo, eravamo stati avvisati (ma poi non dimentichiamoci che certe cose le avevamo già viste, pensiamo al Vagina Painting di Shigeko Kubota). A ogni modo, dove sta la ragione nel farlo? Beh, secondo i Gelitin il nostro corpo è ingabbiato in rigide convenzioni sociali che hanno portato a privatizzare parti del corpo che sono invece, per natura, centrali all’interno dei meccanismi di comunicazione. Per i Gelitin il sedere è uno di questi. Dagli animali il didietro è sempre stato utilizzato per entrare in contatto, per comunicare, per stabilire un legame. Del resto è vero. Avete mai visto come comunica un cane con i suoi simili? Ecco, i Gelitin erano gelosi di come i cani riuscissero ancora a utilizzare una parte del corpo che gli uomini aveva dimenticato da tempo e, così, hanno deciso di riprenderne il possesso attivo. Rientrano in contatto con il loro corpo, lo esplorano fino in fondo e lo rendono centro di propagazione della loro energia creativa. Il sedere, proprio punto centrale dell’uomo, diventa la connessione con la parte bestiale del proprio essere da dove possa essere sprigionata quella forza produttrice e creativa in grado di fare arte. È in questi casi che viene citata la parentela del gruppo col femminismo di Carolee Schneemann e di Valie Export, che hanno cambiato la percezione del corpo (femminile), attribuendogli una valenza attiva e smuovendolo da una condizione di passività. In questo mood l’arte diventa un atto di volontà attivo, che agisce nella costruzione di una realtà esclusiva.
Ed è con questo concetto che ci ricolleghiamo al progetto dei Gelitin in mostra da Massimo de Carlo a Milano, ancora per pochissimi giorni.
Buco (www.massimodecarlo.com/exhibitions/view/11943?&lang=ita), ora vi abbiamo sicuramente messo delle pulci nell’orecchio per interpretare liberamente il titolo, è un progetto sviluppatosi in 6 giorni di performance continua nel Museo di arte contemporanea di Vienna, Buco-Hole-Loch (www.gelitin.net/projects/loch/) e consiste nello scavare, svuotare, modificare e manipolare un blocco di polistirolo alto 6 metri, posto all’interno della sala centrale del museo. Grazie al sostegno del pubblico e di un intero team amico che ha partecipato all’azione durante tutti i 6 giorni, improvvisando anche concerti e momenti di festa, il blocco di polistirolo è stato via via smantellato e corroso in un processo di trasformazione organica (vimeo.com/71020890).
Dalla continua erosione del blocco sono state create sculture, gettando cemento e gesso sopra ogni tipo di oggetto. Sedie, tavoli, cassette e ogni esempio di arredo sono stati congelati in sculture domestiche, visionarie e surreali. Ma più che il risultato è il processo, ancora una volta, a risultare fondamentale. Il buco diventa la caverna filosofica di Platone, l’anfratto in cui rimanere passivi, a osservare delle ombre indistinguibili, mentre l’aggressione del monolite diventa la volontà di azione, di reazione, attiva e cosciente. Il blocco diventa perciò il simbolo di ogni possibile scultura che si traduce nella costruzione cosciente di una realtà personale e propria. All’interno della performance la produzione dell’oggetto diventa anche associata a un grado di casualità e determinazione. La fine dell’azione di uno diventava la costruzione della realtà di un altro, in un continuo susseguirsi di scarto e produzione, di casualità e volontà determinatrice.
E questa è la produzione artistica dei Gelitin, fatta non solo da sederi che dipingono o da sculture filosofiche ma anche da conigli giganteschi (www.gelitin.net/projects/hase/) che si degradano al passare del tempo o a balconi costruiti fuori dalle Torre Gemelle pochi giorni prima che crollassero (www.gelitin.net/projects/b-thing/) .
Un repertorio dissacrante, provocatorio e irriverente, che ci sciocca perché parla di qualcosa di cui noi non riusciamo a parlare, ma che ci piace perché parla esattamente di noi.
*tutte le immagini: Caterina Failla
La provocazione effettuata con parti del corpo umano sublimate fa parte della comunicazione infantile.La così detta fase anale.Poi si supera nel processo di evoluzione. Bene! siamo tornati alla fase anale. Non è interessante e vedere persone che dipingono con il sedere … bèh è solo patetico. veramente oggi l’essere umano non sa andare oltre del suo stato primitivo ed animale. Un bel processo involutivo. Daltronte l’essere umano oggi non ha proprio più nulla da dire che non sia già stato già detto.O perlomeno così si sente. E questo è grave. Molto grave. Siamo al “REDDE RATIONEM”?
La vera domanda è: come mai note gallerie riprendono un modulo delle feci? Pescano dentro il culo come l’ape nella bocca dei fiori. La differenza è che l’ape realizza capolavori di piaceri, questi producono ovvietà loffie! Lo stesso corpo o buco del culo adoperato, non ha niente di sovversivo, di scandaloso, di naturale, di istintivo di animale etc.., se non un senso di colpa di coloro che si illudono di creare su un pubblico amorfo una scossa “elettrica”. Meglio uno sfolgorante e terribile fulmine che queste innocue cagate!