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11
maggio 2014
Fino al 18.V.2014 Li Wei, Peace Primo Marella Gallery Milano
milano
Come raccontare il cambiamento della Cina negli ultimi trent’anni? Attraverso l’uomo. Ma osservando le opere, la questione è transnazionale: chi controlla il destino degli umani? -
Per capire la mostra personale di Li Wei, nato nel 1981 e cresciuto a Pechino, ospitata nella galleria Primo Marella a Milano, a cura di Jiang Jiehong, dobbiamo partire da questa domanda di non semplice soluzione. Qui non c’è nulla da dire, sta tutto nelle opere esposte da guardare con distacco come lo spettacolo della condizione umana.
Vi accoglie nella prima sala della galleria minimalista l’installazione Aiuto (2013-2014): un manichino dalla corporatura esile, realizzato in cera e resine plastiche, in divisa da lavoro, dal volto impietrito dalla miseria e con gli occhi chiusi, in bilico tra il presente e il futuro, aggrappato con le due mani a una trave di un ponteggio fittizio, simile a un cantiere di lavoro, per non precipitare nel vuoto. Questa opera è un pugno allo stomaco, e Li Wei è più cinico di Duane Hanson (1925-1996), maestro dell’iperrealismo americano degli anni’70, o del suo erede Ron Mueck (1958).
Le sue opere sono volutamente scioccanti e la protagonista è la vita sospesa a un filo di speranza. Anche la scatola contenete un Ratto (2013) che sembra morto, ma potrebbe essere ancora vivo con altri reperti organici, solleva questioni sul significato dell’esistenza umana, compresa tra la vita e morte. È raggelante l’installazione I’m Calm che si trova nella seconda sala e comprende un tavolo da pranzo apparecchiato con stoviglie adagiate ai bordi del tavolo, qui tutto è bianco, calmo e silente. L’ambiente d’impatto teatrale è immerso in una luce diafana, in cui tutti gli oggetti potrebbero cadere da un momento all’altro, tutto è sospeso, come le vite assenti dei commensali che siederanno a questo tavolo.
Chiude la mostra un’installazione vietata ai minori e a tutti quelli deboli di stomaco: scostate la tenda e avrete l’impressione di trovarvi in un reparto di terapia intensiva, di quelli che non vorremmo mai sperimentare, invaso da odori di disinfettanti e da alcuni rumori meccanici provenienti dai respiratori, bombole di ossigeno e elettrocardiografi, dove quattro corpi, un uomo e tre donne di età diverse, affetti da malattie gravissime, richiedono monitoraggi e cure del medico costanti.
Questi corpi giacciono nudi, immobilizzati su letti d’ospedale, intubati, ammutoliti e indifesi, li tengono in vita fili alle macchine. I loro sguardi atterriti dalla paura, evocano in chi guarda, quella pietas, o compassione che proviamo quando partecipiamo impotenti allo spettacolo della morte, avida di vita, passando per la sofferenza fisica e psichica.
Senza retorica o commiserazione, Li Wei, distaccato di fronte all’assurdità della morte, pensa che nella consapevolezza del proprio destino mortale, l’uomo non è privo di dignità.
Di fronte alla morte si annullano le differenze culturali, sociali o religiose tra gli uomini; siamo tutti uguali: eroi della nostra fragilità alla ricerca di dare un senso alla vita, sempre ancorati anche nella disperazione alla speranza di un futuro migliore.
Jacqueline Ceresoli
Mostra visitata il 28 marzo 2014
Dal 28 marzo al 18 maggio 2014
Li Wei, Peace
Primo Marella Gallery
viale Stelvio, 66 20159 Milano