31 maggio 2014

Al cinema con

 
Piacerebbe a tutti – pensiamo noi di Exibart – che un artista parlasse di cinema. Ma a volte gli artisti sono un po’ pigri o le parole non sono il loro mezzo d’espressione più amato. Allora abbiamo pensato di andare al cinema con un artista, commentandolo con lui. La cinéphile che accompagna l’artista in sala è Silvia Marsano e stavolta a parlare con lei di un film è Gregorio Botta. Ecco che cosa si sono detti dopo aver visto Locke

di

Locke, di Steven Knight, con Tom Hardy

Roma, ore 19.30, un cinema del centro. Ho appuntamento con Gregorio Botta davanti al cinema, ci incontriamo mentre da centauri ritardatari e un po’ distratti cerchiamo un angolo d’asfalto dove parcheggiare il motorino. Un saluto veloce, ancora con il casco in testa e di corsa verso la sala, inizia la visione. Locke di Steven Knight, alla sua seconda prova da regista, dopo una carriera da sceneggiatore. Film inglese presentato alla mostra del cinema di Venezia fuori concorso. Un solo attore in scena, Tom Hardy, responsabile di una azienda edile, una sola location, una macchina in corsa, una sola storia, quella di Ivan Locke, un solo piccolo-grande movente, rispondere alle conseguenze delle proprie azioni. Un intreccio di sentimenti, scelte, storie e personaggi, in grado di raccontare la vita e le sue mille sfumature, tante quante quelle dei bagliori che si riflettono sui vetri dell’auto e che accompagnano questo viaggio. Il film è finito. Le luci si accendono, fortuna che i titoli di coda mi fanno guadagnare quei minuti utili per rientrare nel mondo ordinario e “tamponare” le emozioni. Ci avviamo verso l’uscita, testa bassa, poi uno sguardo timido fra noi. Passeggiamo un po’ prima di scambiarci delle opinioni, concordiamo sul fatto che non si dovrebbe parlare “a caldo” di un film …come stai, cosa hai in programma per i prossimi tempi …la tensione si scioglie. 
Locke, di Steven Knight, con Tom Hardy
Gregorio Botta: «Gran bel film!››
Silvia Marsano: «Bello sì! Un film fatto di poco che non annoia mai. Realizzato in solo nove giorni, prova del fatto che per fare un’opera bella non occorrono grandi capitali, ma grandi sentimenti, grandi speranze e grande coraggio… ››
GB: «e una grande idea un po’ folle. La storia è pazzesca, mi sono chiesto se il regista, che è anche lo sceneggiatore, abbia vissuto qualcosa di simile. La potenza del film sta nel fatto che senti la necessità interiore da cui nasce. Locke deve affrontare un grande dilemma morale: ma tutti noi nella nostra vita affrontiamo ogni giorno piccoli bivi etici, e quasi mai riusciamo a essere radicali e definitivi come accade qui. È un film che ci chiede: tu cosa sei disposto a perdere in nome dell’onestà?››  
SM: «Un elogio dell’ umanità, che racconta le scelte intime di un eroe comune che porta avanti con coraggio valori semplici, primo tra tutti quello della responsabilità. Necessario nella vita ci vuole responsabilità come nell’arte››.  
GB: «Sì, ho visto Locke come un Atlante su cui grava il peso del mondo. Lui si carica di ogni cosa e dunque anche delle proprie colpe. Questa è la responsabilità: capacità di rispondere delle proprie azioni. Dovremmo tutti sentirci Atlante, e pensare al mondo per ogni cosa che facciamo, naturalmente ancora di più quando facciamo arte. Ecco, Locke è un film che fa bene al mondo. Lui è l’amico che vorresti avere. Sa tutto, sa come si fanno le cose, risolve problemi. È un faber, è il migliore dei capicantiere, è affidabile e concreto: è curioso che in inglese calcestruzzo si dica “concrete”. Hai notato quante volte pronuncia quella parola nel film? Lui è stato licenziato ma vuole che la più grande colata di calcestruzzo d’Europa vada a buon fine. E dà istruzioni al suo assistente per esserne sicuro. Anche a sua moglie vorrebbe dare istruzioni per “uscirne fuori”, “un passo alla volta”. Come se bastasse seguire le istruzioni di un manuale. Ma non è possibile: un matrimonio non è un cantiere››.  
Locke, di Steven Knight, con Tom Hardy
SM: «Sicuramente no. Nel viaggio del nostro eroe prove, alleati e nemici non si incontrano mai, si sentono, nell’accezione più profonda del termine, non solo con le orecchie ma con la pancia››.
GB: «E in qualche modo anche con gli occhi. Hai visto nei titoli di coda quanti attori ci sono? Ne senti solo la voce, ma sono talmente bravi tutti che ti sembra di averli visti, di conoscerli, di esserci entrato in intimità: la moglie, l’amante, i figli, l’assistente, il capo “bastardo”. Tutti.…Ah, la faccia di Thomas Hardy. Con quella barba: Ulisse – l’eroe di ogni viaggio – me lo sono sempre immaginato con un volto così. Certo il suo è un viaggio iniziatico: alla fine nascerà un nuovo Locke che ha dovuto perdere tutto – moglie e lavoro – per ritrovare se stesso. E soprattutto per sconfiggere il suo drago: il fantasma del padre assente con il quale combatte in macchina. Ho trovato bellissimo che si svolgesse di notte e in auto. In auto, non so se a te capita, ma spesso nei viaggi in autostrada, oppure negli aeroporti, succede che io senta una “sospensione dell’identità”. Immagino di prendere un’uscita imprevista e di aprire la porta di un’altra vita. Quante vite possibili abbiamo? E la notte aumenta quest’effetto: con quelle luci ipnotiche che si susseguono››.  
SM: «Le luci dell’autostrada e quelle di un computer di bordo accompagnano la storia, anche se il carattere della narrazione ha qualcosa di antico .In molti casi nella tragedia greca l’epilogo era già conosciuto dallo spettatore, non era importante dunque la trama ma l’unità della storia››.
GB: «Sì, qui sai subito come andrà a finire. E non importa. Perché quello che va in scena non è una trama, ma un dramma morale in tutta la sua crudeltà. La verità rende liberi, ma ha un costo alto. C’è il lieto fine, ma riguarda solo il bambino. Atlante paga e soffre, ma il figlio è salvo.››      

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