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15
settembre 2014
La foresta pietrificata di Penone
Progetti e iniziative
L’allestimento che l’artista piemontese ha realizzato a Forte Belvedere dialoga con la “storia di Firenze”. Ma non solo. Gioca con la natura, a volte celando le proprie opere, altre volte riproponendole come esempi di un rapporto vivo e per fortuna mai concluso con l’ambiente. In mostra, spalancato sulla Città del Giglio, ecco uno dei capitoli più densi della nostra recente storia dell’arte
Sin da quando nel 1972 il Forte di Belvedere di Firenze ospitò la “mitica” mostra di Henry Moore, il luogo è diventato una delle location più ambite dagli scultori per proporre le proprie opere. Se da un lato c’è la scenografia delle antiche architetture realizzate da Bernardo Buontalenti sul finire del Cinquecento, che compongono i bastioni della fortezza medicea alla cima dei quali svetta la “casermetta”, dall’altro c’è lo scenario naturale di Firenze che si stende ai piedi della collina. Un luogo “magico”, dunque, ma anche molto forte con il quale gli artisti spesso si sono sfidati.
Una sfida difficile che dopo Moore ha visto impegnati Fausto Melotti, Dani Karavan, Beverly Pepper, Umberto Mastroianni, Mario Merz, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Jean-Michel Folon – per ricordarne alcuni – e adesso, in ultimo, Giuseppe Penone (1947).
Ma la mostra di Penone, “Prospettiva vegetale” (fino al 5 ottobre, a cura di Sergio Risaliti e Arabella Natalini) non si ferma lì. Anche perché l’artista ha costellato con le sue opere anche il sottostante Giardino di Boboli: un’unica esposizione suddivisa su due differenti sedi in comunicazione tra loro; un’occasione anche per riaprire, dopo quasi trent’anni, il cancello che separa il giardino dei Granduchi dal Forte di Belvedere.
Penone, artista di livello internazionale che ha esposto nei giardini delle più importanti regge europee – da Versailles a Venaria – propone una serie di opere in marmo e in bronzo della sua produzione degli ultimi anni.
Sin dall’inizio della sua carriera Giuseppe Penone ha evidenziato uno stretto rapporto tra natura e cultura e il suo scopo è sempre stato quello di far dialogare l’arte con la natura, l’uomo con l’ambiente facendoci cogliere la sua essenza più profonda. Penone si dimostra un grande interprete delle relazioni tra l’arte del presente e quella del passato, tra l’uomo di oggi e quello di “sempre” e giunge a farci percepire la profondità intima e materica delle proprie opere.
La mostra presenta opere appartenenti a tre serie distinte che esemplificano alcuni nodi cruciali della produzione dell’artista: le Anatomie, gli Alberi e i Sentieri.
Sono realizzazioni molto diverse tra loro che vedono prevalentemente l’impiego del marmo e del bronzo talvolta impreziosito dall’uso della foglia d’oro. Opere di grandi e medie dimensioni con le quali Penone, con grande discrezione, entra nel giardino di Boboli e le pone in luoghi talvolta appartati quasi a volerle confondere con l’ambiente circostante, altre volte la collocazione è in posizioni privilegiate come accade ad esempio con Luce e ombra che con la sua sfera di pietra e le foglie dorate colloquia naturalmente con l’antico obelisco posto al centro dell’anfiteatro. Maggiormente celata è invece Sentiero 6 che si nasconde sapientemente tra la vegetazione della piccola terrazza davanti al settecentesco kaffeehaus. Un’opera di medie dimensioni la cui struttura in bronzo si avvinghia a un arbusto piantato nel prato e suggerisce un senso antropomorfico di trasfigurazione che richiama alla memoria Apollo e Dafne di Bernini
Sempre nel giardino di Boboli le opere paiono essere risucchiate dalla natura, si identificano con essa e talvolta non è così immediato distinguerle. Rami contorti e nodosi, grossi alberi divelti, collocati in luoghi strategici, danno l’impressione che una natura matrigna si sia abbattuta sul giardino stravolgendo la composta e studiata architettura dell’antico spazio verde, quasi un disturbo alla sua perfetta armonia, poiché storicamente pensato come giardino arboreo-vegetale che reclama attenzione e cura.
I bastioni del Forte di Belvedere sono invece occupati in prevalenza da Alberi che si pongono come organismi vegetali inorganici che si stagliano e si rapportano con lo spettacolare panorama fiorentino, un modo dunque di calare l’arte contemporanea nella magnificenza della storia della città. Quelli della serie Idee di pietre sono alberi scheletrici e contorti che recano alla loro sommità, grandi pietre dalle forme irregolari che ricordano i ciottoli di fiume. Per Penone, come l’acqua impiega molto tempo a levigare queste pietre, analogamente ci vuole molto tempo affinché un’idea, generata dalle sedimentazioni precedenti, prenda forma. Questi massi stanno dunque a significare una sorta di epifania di pensiero creando un’immagine inconsueta e dall’apparente stabilità precaria.
Singolare anche Le foglie delle radici, un albero rovesciato che si sorregge su tre rami piantati a terra e che volge le radici verso il cielo, tra queste, alla sommità è posto un arboscello verde; l’artista così sottolinea il ruolo generatore che le radici assumono nel ciclo vegetativo della pianta; si viene così a creare una sorta di “albero bifronte” il cui tronco, al centro, costituisce il fulcro vitale e il punto di unificazione tra le due cime.
La preziosità dell’oro è messa in luce in Albero folgorato il cui calco in bronzo è stato sagomato su un tronco spaccato dalla violenza di un fulmine. La foglia d’oro ricopre la porzione che nel modello originale mostrava il legno al vivo e che pare quasi rappresentare la sagoma della scarica elettrica ricevuta dal fulmine.
L’uso del bronzo simula perfettamente la superficie esterna della scorza del legno e solo avvicinandosi si percepisce la reale materia utilizzata. Penone è molto attento all’impiego dei differenti materiali e dopo anni in cui nelle sue opere hanno prevalso i materiali “banali” sdoganati dall’Arte Povera è giunto poi a considerare il bronzo e il marmo tipici della tradizione scultorea classica.
Con la sua consueta leggerezza Penone inserisce in questi spazi storici anche lavori in marmo senza alterare minimamente l’armonia del luogo: si tratta di due opere di medie dimensioni nelle quali l’artista scava intorno alle venature che costituiscono il marmo e che suggeriscono una vita interna al masso litico. Le superfici scavate a bassorilievo esaltano la percezione tattile del marmo e l’associazione tra il marmo e la pelle umana è sottolineata non solo dall’aspetto visivo ma anche dalla mano che scorre sulla superficie marmorea.