Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
06
ottobre 2014
L’intervista/Iole Siena Ecco come nasce una mostra di successo
Personaggi
Non sempre si sa quanto tempo e quanto lavoro c’è dietro le mostre. Che poi abbiano successo o che invece vadano deserte, si tratta comunque di progetti impegnativi e spesso internazionali. La presidente di Arthemisia, una delle società italiane più attive nella produzione di mostre, racconta ad Exibart i segreti del suo successo. Anche in tempi di crisi e con pochi (o nulli) sponsor
Iole Siena è la guida di Arthemisia Group, società leader nella produzione di mostre in Italia; un team di professioniste, tutto al femminile, o quasi, che al momento ha all’attivo un bel pacchetto di mostre: Escher, Memling, Klimt. La incontriamo per farci raccontare come nascono le mostre. Soprattutto quelle di successo.
Per iniziare, una curiosità: Come si è avvicinata al mondo dell’arte?
«Il mio percorso è iniziato studiando Lettere Classiche, volevo diventare archeologa! Poi per una serie di coincidenze mi sono trovata a collaborare con una piccola società marchigiana di organizzazione di mostre e col tempo il salto a Roma mi ha portato al timone di Arthemisia Group».
Come si costruisce una mostra di successo?
«Con tanto, tantissimo lavoro! E con l’esperienza e la conoscenza del mestiere, non ci si improvvisa».
Ma gli ingredienti, quali sono?
«Tanto tempo (una mostra importante può richiedere anche quattro anni di preparazione), un tema o un artista di vasto interesse (una mostra sublime, ma di nicchia non si può definire un “successo”), un solido team scientifico, prestiti eccellenti, una sostanziosa campagna di comunicazione e un’attenzione materna per i visitatori, ovvero i nostri clienti».
Che tipo di servizio offre Arthemisia Group?
«Arthemisia copre tutti i servizi necessari alla realizzazione di una mostra, accoglienza, ufficio stampa, cataloghi, attività, didattica, biglietteria. Si va, insomma, dall’idea del progetto allo stacco del biglietto. Offriamo inoltre attività extra al servizio mostre, con i nostri quindici anni di esperienza e una produzione di oltre 400 mostre ci consentono di poter affiancare chiunque voglia occuparsi, con successo, di arte, mostre e musei».
Cosa l’ha spinta a travalicare i confini dell’arte dopo mostre importanti come Munch, Hiroshige, Hopper o Cleopatra e a pensare a eventi, su cui qualcuno ha avuto da storcere il naso, come Harry Potter o Romatiamo?
«Non è ancora diffuso qui in Italia, ma altrove, in America, per esempio, si seguono anche le nuove emergenze culturali in modo da rispettare le aspettative e i bisogni di ogni tipo di pubblico. Perciò un evento come quello su Harry Potter poteva convogliare un pubblico molto giovane, o per Romatiamo, uno più attento al mondo dello sport. È il racconto che conta. La nostra politica culturale si fonda su un principio di “Edutement”: educazione all’arte e intrattenimento».
La società intrattiene rapporti con altre gallerie o istituzioni italiane e straniere?
«Certo, il nostro lavoro è fatto in gran parte da relazioni con le altre istituzioni culturali. Quasi mai con le gallerie, tutti i giorni invece con i grandi musei di tutto il mondo. Non abbiamo nulla a che fare con il mercato dell’arte, non ci occupiamo di vendita di opere né partecipiamo a fiere».
Come nasce un progetto? Seguite delle precise linee espositive? Da chi nasce l’idea? Da voi stessi, da un curatore o è la richiesta di un museo?
«Il più delle volte (l’80% dei casi) siamo noi a formulare un’idea. Il nostro desiderio di raccontare un artista, un personaggio, un movimento nasce qui, nella nostra sede a Campo dei Fiori. Poi capita anche che un curatore ci sottoponga una suggestione e allora costruiamo insieme un progetto espositivo».
Avete una precisa linee di ricerca espositiva?
«L’internazionalità: Arthemisia ha un carattere fortemente internazionale, non a caso il team è formato da professionisti di ogni nazionalità ed il lavoro si svolge in maniera equivalente tra il mercato italiano e quello estero. La libertà: Arthemisia non appartiene a gruppi editoriali e non ha alcuna appartenenza politica. È un’azienda “libera”, cosa anomala nel settore, improntata sull’imprenditorialità e molto lontana dai localismi, e per questo capace di lavorare trasversalmente, dai piccoli centri alle grandi metropoli, da Roma a Singapore, dal pubblico al privato. L’attenzione al visitatore: all’interno delle mostre, una mostra “Arthemisia” si distingue dalle altre e si riconosce per l’attenzione quasi maniacale per i nostri visitatori. Siamo stati i primi ad introdurre l’audio guida gratuita per tutti, consci di quanto sia importante capire a fondo ciò che si guarda, e facciamo un lavoro massacrante perché il pubblico abbia tutti gli strumenti per approfondire. Nelle nostre mostre mettiamo a disposizione una lettura per i bambini, una per il pubblico “curioso”, una per gli studiosi. Il pubblico delle nostre mostre sa di essere al centro del nostro lavoro».
Viviamo un forte momento di crisi. Quali sono le difficoltà oggettive per realizzare una mostra che magari presenta anche costi elevati? Come cercate di ovviare il problema?
«Gli sponsor ormai sono quasi del tutto assenti, così ci siamo reinventati, mettendo a punto alcune accortezze che ci permettono comunque di portare avanti nel migliore dei modi il nostro appassionante lavoro. Siamo pionieri, forse, anche in questo!È vero, ci sono state molteplici polemiche sull’allungamento del periodo di mostra. Eppure, sul nostro esempio, altre società hanno adottato le stesse strategie. Dove il riscontro della crisi è più marcato, è nella diminuzione dell’acquisto dei cataloghi. Per portare a casa un ricordo della visita della mostra adesso ci si limita all’acquisto di una cartolina o di un piccolo souvenir. Dal canto nostro, poiché l’obiettivo principale della mostra è che il pubblico non solo conosca, ma soprattutto comprenda l’artista, che ne parli, che sia presente nel suo mondo, allora abbiamo fatto in modo di garantire che l’audio guida fosse sempre inclusa nel biglietto, anche se necessariamente poco più alto rispetto a qualche tempo fa».
Con quale mostra da voi curata, o artista si identifica di più? Ha un grande amore?
«Si, la mostra conclusa a maggio “Modigliani e gli artisti maledetti”. Mi affascina la Parigi degli anni folli, l’atmosfera bohémienne del quartiere Montparnasse, che è stato crogiuolo di incontri irripetibili tra artisti, musicisti, pittori, scultori, intellettuali. Erano lì a Parigi, dove ancora tutto poteva succedere!»
Ci può anticipare qualcosa delle prossime mostre autunnali?
«Dopo la grande retrospettiva dedicata a Chagall, a Milano, con oltre 200 opere provenienti da tutto il mondo, mentre a Roma è di scena Escher, il grande incisore e grafico olandese il cui sguardo, sappiamo aver preso le mosse dall’osservazione diretta della natura, sull’onda del fascino che esercitò su di lui il paesaggio italiano, tra pochi giorni, sempre a Roma, alle Scuderie del Quirinale, si apre Memling, l’artista che seppe operare una sintesi armoniosa, complessa e originale delle conquiste dell’arte fiamminga. Seguono poi I segreti delle Mummie, il 23 Ottobre a Palazzo Cipolla di Roma. E a Milano, il 18 ottobre inaugura Van Gogh – L’uomo e la terra, un viaggio nel mondo dell’arte, ma soprattutto nella filosofia esistenziale del grande olandese che si pone a perfetto corollario del tema di Expo 2015 – Nutrire il pianeta».