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Lorena Pedemonte Tarodo – Sotto la pelle della città
Due i temi principali della sua ricerca: i “Labirinti” (basati su ingrandimenti dell’impronta digitale) e le “Folle” (“omini-segno” che si fondono nella trama della città).
Comunicato stampa
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In occasione della sua prima mostra personale in Italia Lorena Pedemonte Tarodo propone una serie di nuovi lavori dedicati a Milano, città adottiva dell’artista nata nel 1969 a Santiago (Cile).
È in Italia dal 1999 dove ha studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano; metropoli che messa in rapporto con la sua città natale le ha donato l’ispirazione per lo sviluppo dei lavori degli ultimi 5 anni.
Due i temi principali della sua ricerca: i “Labirinti” (basati su ingrandimenti dell’impronta digitale) e le “Folle” (“omini-segno” che si fondono nella trama della città).
La serie realizzata in occasione di questa mostra è il connubio tra i due temi: basandosi su ingrandimenti di cartine geografiche (di diverse epoche) della città lombarda da inizio al suo processo di stratificazione; il bianco a togliere, il nero a segnare, i colori a ritracciare e sfocare, l’encausto e la ruggine a formare la pelle “contenitore” della città, congestionata da segni divenuti tessuto pittorico e cuore stesso della città; ma anche il dialogo tra pittura e incisione, e un sistema dinamico di installare le opere formate da diversi quadri.
Nei suoi appunti emerge la necessità di compiere un viaggio introspettivo dentro l’individuo: “L’uomo perde la sua identità dentro la FOLLA nascondendo il suo carattere individuale. Mimetizzazione del particolare e del totale, l’uomo è folla.”
La profondità dei suoi lavori risiede in quest’idea di “groviglio organizzato” più che nell’estetica: i quadri di Pedemonte Tarodo “non hanno prospettiva”; i segni si muovono come suddivisi a piani, in una vorticosa stratificazione di punti di vista. La scelta stessa di lavorare su diverse piantine geografiche di Milano rivela questo aspetto: la visione dall’alto, per quanto la più reale e immediata, è un’immagine bugiarda, illusoria. E i suoi dipinti sono dei “miraggi”. A contatto con questi lavori ci si sente come in un deserto, dove i punti di riferimento mancano, dove l’orizzonte è sempre uguale e mancano le coordinate: davanti e dietro, destra e sinistra, tutto si “appiattisce”. Manca di una vera profondità, e lo stordimento, ai suoi estremi, ti mostra “oasi”.
La differenza tra macro e micro è sottilissima, tant’è che spesso gli ingrandimenti di impronte digitali (Labirinti) e queste cartine dettagliate si “confondono”; i suoi lavori si collocano in quella linea che divide le lenti bifocali.
È lei la prima a muoversi in questo orizzonte. E lo spettatore è lì che vi deve trovare il giusto punto di vista.
Questo rapporto di contrasti che si fondono è una caratteristica dell’artista cilena, che come un’attenta alchimista muove la materia animandola con saggezza.
Gli artisti riflettono le loro opere? Lorena sicuramente sì: mischiare è il verbo che muove la sua mente e la sua mano; l’affascinante linguaggio con qui si esprime, che è un misto di italiano e spagnolo, e quei segni tracciati nelle sue tele come fossero suoni che si muovono freneticamente per le strade di Milano ne sono la prova e immediatamente si capisce la disinvoltura che essa ha nel trovare un proprio personalissimo modo di “far cuocere” in modo lento e cosciente gli “ingredienti” per realizzare le sue opere.
Una polifonia di segni e illusioni che si trovano “sotto la pelle della città”.
È in Italia dal 1999 dove ha studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano; metropoli che messa in rapporto con la sua città natale le ha donato l’ispirazione per lo sviluppo dei lavori degli ultimi 5 anni.
Due i temi principali della sua ricerca: i “Labirinti” (basati su ingrandimenti dell’impronta digitale) e le “Folle” (“omini-segno” che si fondono nella trama della città).
La serie realizzata in occasione di questa mostra è il connubio tra i due temi: basandosi su ingrandimenti di cartine geografiche (di diverse epoche) della città lombarda da inizio al suo processo di stratificazione; il bianco a togliere, il nero a segnare, i colori a ritracciare e sfocare, l’encausto e la ruggine a formare la pelle “contenitore” della città, congestionata da segni divenuti tessuto pittorico e cuore stesso della città; ma anche il dialogo tra pittura e incisione, e un sistema dinamico di installare le opere formate da diversi quadri.
Nei suoi appunti emerge la necessità di compiere un viaggio introspettivo dentro l’individuo: “L’uomo perde la sua identità dentro la FOLLA nascondendo il suo carattere individuale. Mimetizzazione del particolare e del totale, l’uomo è folla.”
La profondità dei suoi lavori risiede in quest’idea di “groviglio organizzato” più che nell’estetica: i quadri di Pedemonte Tarodo “non hanno prospettiva”; i segni si muovono come suddivisi a piani, in una vorticosa stratificazione di punti di vista. La scelta stessa di lavorare su diverse piantine geografiche di Milano rivela questo aspetto: la visione dall’alto, per quanto la più reale e immediata, è un’immagine bugiarda, illusoria. E i suoi dipinti sono dei “miraggi”. A contatto con questi lavori ci si sente come in un deserto, dove i punti di riferimento mancano, dove l’orizzonte è sempre uguale e mancano le coordinate: davanti e dietro, destra e sinistra, tutto si “appiattisce”. Manca di una vera profondità, e lo stordimento, ai suoi estremi, ti mostra “oasi”.
La differenza tra macro e micro è sottilissima, tant’è che spesso gli ingrandimenti di impronte digitali (Labirinti) e queste cartine dettagliate si “confondono”; i suoi lavori si collocano in quella linea che divide le lenti bifocali.
È lei la prima a muoversi in questo orizzonte. E lo spettatore è lì che vi deve trovare il giusto punto di vista.
Questo rapporto di contrasti che si fondono è una caratteristica dell’artista cilena, che come un’attenta alchimista muove la materia animandola con saggezza.
Gli artisti riflettono le loro opere? Lorena sicuramente sì: mischiare è il verbo che muove la sua mente e la sua mano; l’affascinante linguaggio con qui si esprime, che è un misto di italiano e spagnolo, e quei segni tracciati nelle sue tele come fossero suoni che si muovono freneticamente per le strade di Milano ne sono la prova e immediatamente si capisce la disinvoltura che essa ha nel trovare un proprio personalissimo modo di “far cuocere” in modo lento e cosciente gli “ingredienti” per realizzare le sue opere.
Una polifonia di segni e illusioni che si trovano “sotto la pelle della città”.
07
ottobre 2004
Lorena Pedemonte Tarodo – Sotto la pelle della città
Dal 07 ottobre al 03 dicembre 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA UNOROSSODUE
Milano, Via Gian Antonio Boltraffio, 12, (Milano)
Milano, Via Gian Antonio Boltraffio, 12, (Milano)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì dalle 12.00 alle 20.00
Vernissage
7 Ottobre 2004, ore 18.30