Ragionano in altro modo quelli dell’altra riva. E’ naturale che sia così.

Ragionano in altro modo quelli della riva opposta alla nostra sull’Adriatico perché in mezzo a quel mare che sembra un golfo o forse il prolungamento fluviale dell’estuario del Po, in mezzo a quel mare passa una linea virtuale di demarcazione che separa il Mediterraneo fra oriente e occidente, fra latini e tutta una altra serie di segnali. Sono segnali di Bisanzio, del Medio Oriente o tolemaici, ma sono segnali più lontani ancora. Perché chi guarda il mare dalle coste dell’Albania vede come gli etruschi antichi il sole che cala nell’acqua e lo sente sorgere molto lontano dietro alle spalle, laddove è sorta quella stirpe alla quale apparteniamo tutti noi indoeuropei. Ecco perché Aghim Muka dipinge, o meglio realizza, quadri che appaiono vicinissimi alla sensibilità d’Europa ma che raffigurano immagini calate nella psiche complessa dell’India. Ed è grazie a questa sua funzione da traghettatore che le immagini inventate non appartengono alla linguistica odierna e dolce che il cinema e la sua cartellonistica celebrano a Nuova Delhi ma provengono da una sorta di fonte primordiale, quella atavica della nostra comune origine.

Fuori e Dentro è sicuramente una evocazione della sessualità e del suo atto sublime, percepiti in una cultura che non ne evita la rappresentazione negli altorilievi dei templi, anzi ne esalta gioiosamente i ritmi e i riti, i cicli e i miti. Il patos evoluto delle immagini plastiche ricordate genera in lui artista una inclinazione automatica alla terza dimensionalità morbida.

Fuori e Dentro è però anche un metodo del pensiero e della vita che consente di comporre occidente e oriente, che contamina l’immagine di Saddam prigioniero con quella della bibita sacra degli americani., che consente l’uso della lingua globalizzante d’oggi, quella che una volta si chiamava inglese, che permette di combinare i tasti bianco e neri del pianoforte di Mozart con le facce Mogul.

E la materia stessa che Aghim Muka inventa e plasma proviene dalla prassi di Fuori e Dentro poiché la pittura senza fatica si coniuga con l’oggetto inserito, che può essere di natura o di sintesi chimica oppure essere reperito in una cernita completa di tele e di stoffe.

La pittura è oggi l’unica delle arti che non richieda un percorso propedeutico. Ognuno è autorizzato ad inventare la propria lingua. La scopre mentre la indaga e riesce a darle forma mentre approfondisce il meccanismo che articola il proprio essere. Se la impara addosso, Aghim Muka. E le esitazioni linguistiche vanno a formare uno schema che ha del primitivo e dell’evoluto al contempo, del puerile e dell’adulto, del voluto e del casuale, ma del naïf mai.



Essere leggero e polimorfo. Il suo esperimento è in atto, degno della più attenta attenzione, perché dal pentolone druidico dalle mescole in corso sta sorgendo il mondo di domani.



Philippe Daverio

Estate 2004









Aghim Muka è nato a Fieri (Albania) nel 1965, ha studiato Belle Arti nella scuola d'arte di Valona e ha insegnato per alcuni anni. Nel 1991 si e' trasferito in Grecia. Dal ‘95 e' in Italia e vive e lavora a Milano.

Muka è una figura poliedrica e difficilmente classificabile. Non si esprime solo attraverso la pittura, la sua ricerca spazia dalle installazioni, al video, alla scultura, alle performance.

Nel 2001, Muka ha ricevuto la segnalazione per il 41° premio di Suzzara e nel 1999 il Primo Premio di pittura alla XXV rassegna di Pittura Bice Bugatti.

Nel 2003 è stato invitato dallo storico d'arte Giorgio Segato, a esporre alla IV edizione della Fiera di Padova nell'ambito della manifestazione "Giovani artisti dalle Accademie :Tirana, Verona, Venezia - Da Tirana storia dell'educazione artistica in Albania".

Nel 2004 è stato insignito del Primo Premio per il disegno Giovanni Segantini e del terzo Premio per la pittura Vogogna in Arte.