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I Capricci di Goya / España
La mostra presenta, per la prima volta in Italia, la collezione del Centro d’Arte Contemporanea La Panera di Lérida, centro tra i più attivi di tutta la Spagna. Il percorso espositivo si sviluppa attraverso le opere più significative della collezione e offre una panoramica sui giovani artisti contemporanei spagnoli e catalani.
Comunicato stampa
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I Capricci di Goya
La mostra rende omaggio a uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.
Francisco Goya, pittore e incisore attivo in Spagna a cavallo tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, raggiunse grande popolarità grazie alle sue incisioni nonostante l’intensa attività pittorica. In particolar modo i Capricci presentati in questa mostra, segnano il primo grande ciclo grafico concepito come un insieme unitario la cui origine si situa nel 1797, periodo di transizione nella vita dell’artista.
Il rinato interesse per l’attività grafica, che porta Goya a riprendere in mano gli strumenti dell’incisore dopo due decenni di pausa, coincide anche con l’invenzione e l’applicazione di un nuovo modo di disegnare, tanto che, grafica e disegno, vanno di pari passo, strettamente legati l’una all’altro.
L’idea dei Capricci nasce a Madrid, come ciclo di ottanta incisioni, al cinquantunesimo anno di età di Goya. Di fatto la prima versione della serie venne incisa in quell’anno con settantadue tavole e presentata con il titolo di Idioma Universale. Nel 1798 vennero invece eseguiti i disegni preparatori a sanguigna e incise le lastre con le prove di stampa per quella che sarà l’edizione definitiva, la cui tiratura avvenne nel gennaio 1799.
La peculiarità dell’operazione Capricci sta soprattutto nella portata concettuale del lavoro. «…L’autore, convinto che la denuncia degli errori e dei vizi umani possa essere oggetto anche della pittura, ha scelto come temi adeguati alla sua opera, tra la moltitudine di stravaganze e stupidaggini consuete a ogni società civile, quelli che ha ritenuto più adatti a fornire materia per il ridicolo e al tempo stesso a eccitare la fantasia dell’artefice…La pittura (come la poesia) sceglie nell’universale ciò che giudica più conveniente ai propri fini: riunisce in un unico personaggio di fantasia circostanze e caratteri che la natura offre suddivisi in parecchi, e da tale combinazione, sapientemente articolata, risulta quella felice immagine per cui un buon artefice acquista il titolo di creatore e non di imitatore servile…».
Così lo scrittore Juan Agustin Céan Bermundez, amico di Goya, scriveva sulle pagine del “Diario de Madrid” il 6 febbraio 1799, per proteggere l’artista dagli strali dell’Inquisizione che non vedeva di buon occhio questa libera professione di fede artistica. Peraltro, insistendo sul fattore fantastico, cercava di allontanare dall’opera ogni riferimento all’attualità. I Capricci furono accolti dal pubblico freddamente e il primo tentativo di vendita dell’opera risultò un fallimento; a tal punto che le opere furono ritirate dal mercato dopo solo due giorni di vendita e Goya cedette le copie in suo possesso al re Carlo IV in cambio di una pensione per il figlio.
ll progetto dei Capricci prese corpo nel breve periodo in cui Gaspar Melchor de Jovellanos, principale esponente della corrente illuminista e protettore di Goya, fu ministro, instaurando un clima di apertura culturale favorevole all’artista. Evidentemente la satira di Goya non era affatto generica invettiva contro i mali della società ma, anzi, è quasi certo che alcuni fogli fossero invece un attacco diretto ai personaggi della corte.
La novità interessante dei Capricci sta nell’assoluta perorazione dei diritti dell’immaginazione e della fantasia a scapito del vecchio pensiero conservatore e antiriformista. Con la sua invenzione Goya mirava a stabilire le ragioni di una nuova estetica indipendente dagli schemi del passato e alla ricerca di nuovi territori d’espressione.
Provocatori dal punto di vista sociale i Capricci lo sono anche dal punto di vista estetico; essi rendono omaggio ai fertili e sconosciuti territori della notte, alle loro orride creature (ma anche affascinanti), all’assurdo del fantastico.
Idealmente il ciclo può essere suddiviso in due parti. La prima parte comincia con l’autoritratto di Goya che sembra annunciare l’ironia riversata dai Capricci sul popolo, l’aristocrazia e il clero e dove vengono presi di mira ignoranza, debolezze e vizi umani.
La seconda parte prende avvio sempre con un autoritratto dove sullo sfondo si aprono le porte verso il regno della notte popolato da demoni, streghe, folletti e fantasmi che danno vita a una feroce satira contro la stregoneria e la superstizione ma soprattutto contro il clero.
La famosa definizione di Baudelaire di “mostruoso verosimile” bene esprime la portata di questo lavoro: «Nessuno più di lui ha osato il senso dell’assurdo possibile. Tutti quei contorcimenti, quelle facce bestiali, quei ghigni diabolici sono pervasi di umanità…».
In mostra verrà esposta la serie completa delle ottanta tavole dei Capricci, attraverso un percorso espositivo ricco di spunti fantasiosi e visioni inedite di quest’opera che sarà messa in relazione con la giovane creazione spagnola rappresentata dagli artisti della Collezione La Panera di Lérida.
Francisco Goya Y Lucientes (Fuendetodos, Saragozza, 1746 – Bordeaux, 1828), figlio di un artigiano decoratore, frequentò a Saragozza lo studio di J. Luzàn. Dopo un lungo periodo di attività, in cui studiò la tradizione pittorica spagnola eseguendo incisioni da dipinti di Velàzques, ottenne l’incarico di ideare i cartoni per l’arazzeria reale di Santa Barbara. Questi, raffiguranti con grande maestria scene di vita popolare, incontrarono il favore della corte e furono il punto di partenza per la rapida ascesa dell’artista che fu nominato “pintor da camera del Rey” nel 1789. Nominato successivamente primo pittore di corte (1799) dipinse uno fra i suoi quadri più celebri, La famiglia di Carlo IV (Madrid, Prado).
Particolarmente intensa fu la sua attività di ritrattista di personaggi di corte; ricordiamo, tra gli altri, alcune delle più affascinanti immagini femminili create dall’artista: il ritratto della Donna con il ventaglio (Parigi, Louvre) e il ritratto della Maja vestida e Maja desnuda (Madrid, Prado), dipinte attorno al 1805.
Dopo l’invasione da parte delle truppe napoleoniche cominciò il periodo più travagliato dell’artista che, in contatto con circoli liberali favorevoli ai francesi, cadde in sospetto presso gli ambienti di corte. Sempre più isolato, dipinse le famose ”pitture nere” (oggi a Madrid, Prado) prima di lasciare definitivamente la Spagna per Bordeaux, dove morì nel 1828.
España
L'arte contemporanea spagnola nella collezione
del Centro d'Arte La Panera di Lérida
La mostra presenta, per la prima volta in Italia, la collezione del Centro d’Arte Contemporanea La Panera di Lérida, centro tra i più attivi di tutta la Spagna.
Il percorso espositivo si sviluppa attraverso le opere più significative della collezione e offre una panoramica sui giovani artisti contemporanei spagnoli e catalani.
Il Centro d’Arte La Panera ha iniziato la sua attività nel mese di ottobre del 2003, come piattaforma di produzione, insegnamento ed esposizione delle arti visive, rendendo nello stesso tempo possibili i collegamenti fra i vari ambiti della creazione culturale.
Il Centro intende essere un luogo di riflessione che veicola le arti visive verso le diverse problematiche della società attuale.
Per la sua particolare situazione geografica in Catalogna, il Centro La Panera ha intenzione di divenire un luogo di riferimento nel contesto artistico catalano, ove propiziare un equilibrio territoriale nell’ambito culturale e instaurare relazioni con istituzioni simili, sia nazionali che internazionali. In tale contesto ben si colloca l’esposizione in Italia al CeSAC di Caraglio, luogo avvezzo alla produzione ed esportazione di eventi culturali transfrontalieri.
Dal 1997, attraverso l’organizzazione di quattro edizioni della Biennale d’arte Leandre Cristòfol, il Municipio di Lérida ha riunito un’importante collezione d’arte catalana e spagnola contemporanea nella quale figurano opere di oltre trenta artisti che compongono una panoramica ampia e diversificata di alcuni degli aspetti più significativi che hanno caratterizzato l’arte spagnola dell’ultima decade degli anni Novanta.
L’introduzione dell’oggetto come elemento costruttivo, il suo marcato carattere metaforico, l’appropriazione del corpo come strumento per una riflessione sull’identità, i rapporti fra l’io e l’altro, l’irruzione nelle questioni sociali e politiche, così come il crescente protagonismo che sta acquistando l’arte computerizzata, sia nell’immagine sia nelle nuove tecnologie dell’informazione, sono i principali temi affrontati dal nucleo di opere esposto in questa mostra.
Il Centro d’Arte La Panera è situato in un edificio che fu costruito fra il XII e XIII secolo, uno dei periodi più prosperi della città di Lérida. L’Almodí, nome con cui era conosciuto questo edificio, è stato la sede delle contrattazioni e centro di ogni tipo di transazioni di cereali, olio, uva, ecc. Della costruzione medioevale è stato conservato un colonnato in pietra composto da 21 elementi di 5,70 metri d’altezza ciascuno. Dopo essere stato acquistato nel XVI secolo dai canonici della cattedrale, è stato costruito un piano superiore e un muro perimetrale, destinato poi all’immagazzinamento e alla vendita di prodotti raccolti dagli stessi canonici. Da ciò proviene il suo nome “Il paniere (la panera) dei canonici”. Nel 1835 l’edificio è passato in proprietà del Municipio di Lérida e, dopo essere stato utilizzato dall’esercito e dalla polizia nazionale, è stato alla fine destinato a centro d’arte, recuperando così il suo magnifico colonnato medioevale.
España
L'arte contemporanea spagnola nella collezione
del Centro d'Arte La Panera di Lérida
Elenco delle opere in mostra
Ignasi Aballí (Barcellona, 1958)
Pell (Pelle), 1995
gel acrilico trasparente su legno, 100 x 100 cm
A partire dalla fine degli anni '80 Ignasi Aballí ha intrapreso una revisione della pratica pittorica a livello formale, tecnico e concettuale. Amplia la nozione tradizionale di pittura a partire dall’inclusione di materiali non convenzionali e situa la pittura in uno stato di sospensione, al limite della sua scomparsa in un eterno dilemma sulla sua propria ragione d’essere.
Con Pell (Pelle) la smaterializzazione del quadro come oggetto di un concetto è portata al limite. In quest’opera è pianificato l’annichilimento della pratica pittorica lasciando solo la vernice finale, la pelle della pittura.
Pols (Polveri), 1996 foto 1
polveri, vetro e specchio, 4 opere, 100 x 100 cm
Con la serie Pols (Polveri) il quadro è rimaterializzato. Aballí ricorre a nuovi supporti e nuovi materiali per poter continuare a lavorare nell’ambito pittorico, sceglie il vetro e lo specchio come un supporto e la polvere come un materiale. L’accumulo lento e capriccioso delle particelle di polvere su queste superfici evoca il passare del tempo e l’imprevedibilità del caso.
Jordi Bernadó (Lérida, 1966)
Salmon Arm, 1998 foto 2
fotografia a colori, 120 x 210 cm, ed. 3 ex.
Nei suoi lavori fotografici ha sempre dimostrato un rilevante interesse per la città e l’architettura, e fortemente risalta la volontà di captare immagini che mostrino il carattere mutante e sovente contraddittorio della società attuale.
L’artista coglie la pretesa oggettività della fotografia con immagini (non manipolate) per sconcertare lo spettatore, ponendolo di fronte a situazioni che rasentano l’assurdo.
In questa fotografia l’artista guida lo spettatore alla visione di uno schermo cinematografico sperduto nella profonda America rurale.
Neus Buira (Lérida, 1967)
Retrats (Ritratti), 1993
fotografia luxcolor, 130 x 95 cm
Neus Buira al principio degli anni '90 realizza diverse serie fotografiche che prendono come modelli uomini e donne: Retrats (Ritratti) (1993), Spektrum (Spettro) (1993) e Retrats. Què mires? (Ritratti. Cosa guardi?).
In tutte il soggetto si presenta solo, emergente o dissolvente su fondi neutri che attenuano o accentuano i suoi limiti fisici. Queste fotografie appartengono alla prima delle tre serie e consistono in cinque busti, maschili e femminili, su di un fondo bianco, con la testa rasata e le braccia piegate. Sono immagini di purezza che trasmettono una certa aria eterea e allo stesso tempo ci interpellano attraverso uno sguardo diretto e sospettoso.
Daniel Canogar (Madrid, 1964)
Contrabalanza 1, 3 i 4 (Controbilancia I, 3 e 4), 1996 foto 3
struttura in legno, fotolito e luce alogena, 60 x 60 x 60 cm
Canogar lavora con una componente essenziale del mezzo fotografico: la luce.
Le sue opere tengono conto del rapporto fra il corpo e la tecnologia, nel momento in cui il progresso scientifico ha relegato la fisicità dei corpi nell’oblio. La tecnologia viene intesa come un prolungamento del nostro cervello, da qui l’evanescenza di queste forme umane concepite tra dissoluzione e costruzione numerica e informatica.
Javier Codesal (Sabiñánigo - Osca, 1958)
Padre I, 2001
fotografia montata su alluminio, 170 x 114 cm
Padre III, 2001 foto 4
fotografia montata su alluminio, 170 x 114 cm
Questa fotografia appartiene a un progetto più ampio intitolato L’età del padre attraverso il quale l’autore avvicina immagini di "passaggio, trasmissione e fecondità", a una concezione ambivalente della figura del padre, considerata come sostegno della nostra identità. La fotografia è considerata come immagine di transito, dove la trasformazione del soggetto è quasi impercettibile. Codesal cerca immagini che provochino in noi l’esperienza della vita e della morte, della forza e della vulnerabilità, non in un modo lineare e ciclico, ma istantaneo.
Jordi Colomer, (Barcellona, 1962)
Finestres (Finestre), 1992 foto 5
fotografia a colori, dittico, 100 x 150 cm
Nella serie Finestre appaiono frammenti di testi manoscritti che l’artista ha recuperato da cartoline comprate nei mercati di libri vecchi. I frammenti selezionati sono sempre presentati in forma di dittico per stabilire un dialogo immaginario fra persone sconosciute. Nello stabilire dialoghi minimi e brevi costruisce un’ipotetica opera teatrale (come sovente ha fatto con altre proposte scultoree) in cui l’infinita possibilità di dialoghi fra sconosciuti è collegata dalla banalità delle frasi scelte sempre su temi legati alla quotidianità quali il tempo, le vacanze, il clima e la salute.
Patrícia Dauder (Barcellona, 1973)
Cap Negre (Testa nera), 2003
tecnica mista, 23 x 15 x 12 cm
Two niggers (Due negri), 1999
carboncino e pastello su carta, 64 x 48 cm
Unfinished Savane (Incompiuto selvaggio), 1999
carboncino e pastello su carta, 62 x 48 cm
Cráneo (Cranio), 1999
carboncino e pastello su carta, 62 x 48 cm
Nen d´esquena (Bambino di spalle), 1998
carboncino e pastello su carta, 94 x 64 cm
Il suo lavoro è basato su una tipologia di rappresentazione dell’essere umano, in cui questi ha perso l’identità davanti a un’evidente dissoluzione delle forme corporee. Per ottenere questo risultato l’artista ricorre alla deformità, sorta di enfatizzazione della dissoluzione. Il risultato s’avvicina a un’astrazione in cui possiamo intuire i residui della figurazione.
Il lavoro di Patrícia Dauder vuole lasciar intravedere ciò che lei definisce "cadenze" o "ritmi": «quello che per me è una cadenza, di maggiore o minor intensità, viene espresso dalla materialità o immaterialità, da una presenza pressante, pungente o da un’assenza, dalla dispersione attraverso il nulla».
Álex Francés (Valencia, 1962)
Aliento esforzado (Incoraggiamento sforzato), 2000 foto 6
fotografia a colori, 80 x 120 cm
Duelo y deleite (Dolore e piacere), 2000 foto 7
fotografia a colori, 80 x 120 cm
Álex Francés considera il proprio corpo come la testimonianza di quanto è avvenuto fra l’imprevisto e la premeditazione, come un cammino di autoconoscenza a partire dalla ritualizzazione della propria esperienza.
Fra la fine degli anni ‘90 e il principio del 2000, il suo discorso artistico – senza perdere la fisicità carnale che sempre lo ha caratterizzato – sperimenta un’apertura all’ambiente circostante e agli elementi che lo costituiscono: rami, foglie, terra, cenere, semi. Elementi primigeni che entrano in comunione con l’artista, non in un modo bucolico, ma attraverso un dilatato processo catartico non esente da sforzo e sofferenza.
La Ribot (Madrid, 1962)
Another pa amb tomàquet (Un altro pane con pomodori), 2001 foto 8
DVD, 12’, ed. 25 ex.
All’interno della sua formazione artistica come ballerina e coreografa è necessario ricordare che l’artista ha studiato danza moderna, danza contemporanea e danza classica. Il suo lavoro, sempre in rapporto con le arti visive, risente di riferimenti dadaisti e surrealisti e continua negli apporti della Body Art e la performance.
Le sue azioni esplorano il linguaggio del corpo in relazione a un repertorio oggettuale che le permette di offrire piccole narrazioni senza parole.
In questo video trasforma un cibo tradizionale catalano: “il pane con pomodori” in un’azione carica di tensione, che passa per momenti d’angoscia e sensualità.
Abi Lazkoz (Bilbao, 1972)
Comadre que suda (Comare che suda), 2001 foto 9
pigmenti su carta, 50 x 70 cm
La misma piel (La stessa pelle), 2001 foto 10
pigmenti su carta, 50 x 70 cm
Questi lavori riprendono la tecnica del disegno per riflettere su fatti e situazioni arricchite da un marcato carattere narrativo e che lasciano intravedere un’estetica, specifica quanto sinistra.
Nella sua opera l’artista lavora in particolare sulla gestualità e sull’espressione dei suoi personaggi, per comporre scene quasi teatrali.
Cosciente del rapporto diretto con il linguaggio del comico, l’artista riconosce influenze dell’Espressionismo, del Surrealismo ma anche dei disegnatori giapponesi e messicani o dei cineasti come Tim Burton.
Julia Montilla (Barcellona, 1970)
Detenido II (Detenuto II), 1996 foto 11
fotografia a colori, 53 x 78 cm, ed. 3 ex.
Detenido IV (Detenuto IV), 1996 foto 12
fotografia a colori, 80x56 cm, ed. 3 ex.
In queste due fotografie, della serie Detenido (Detenuto), sono presenti alcune soluzioni formali che caratterizzano buona parte dei lavori dell’artista, come l’idea della staticità degli individui ritratti. In questo caso, Montilla sceglie la fotografia per indagare sulla natura e sui limiti della scultura della tradizione realistica che in maniera quasi ripetitiva, ha preso il corpo umano come modello. L’artista parte dalla scultura classica e riempie con materiali nuovi le diverse cavità e scanalature del corpo umano, che la scultura tradizionale ha cercato di liberare dalla materia.
Pedro Mora (Siviglia, 1961)
Please show your support (Per favore mostri il suo appoggio),1993
legno, metallo e insetti, 125 x 12 cm di diametro
L’interesse di Pedro Mora per gli animali e i vegetali l’avvicina al mondo della scienza. Potremmo dire che per realizzare l’opera Please show your support (Per favore mostri il suo appoggio) ha agito come un entomologo, vale a dire, con intenzioni e obiettivi diversi. Mora ha raccolto degli insetti per trasformare la nostra percezione del mondo quotidiano, a partire dall’alterazione di un oggetto dell’ambiente domestico, che può provocare in noi l’interruzione di ciò che è sinistro.
Juan Luis Morata (Vitòria, 1960)
Base específica - Estatua al monumento (Base specifica - Statua al monumento), 1994 foto 13
frigorifero, resina sintetica e smalto, 135 x 53 x 55 cm
Quest’opera, che appartiene alla serie Éxtasis, estatus, estatua (Estasi, stato, statua), nasce dall’interesse suscitato in Juan Luis Moraza dalla rappresentazione del piacere e dell’erotismo nella scultura di Bernini. Secondo Moraza, la rappresentazione dell’erotismo e la presenza dell’ornamento nell’arte sono prodotti da epoche di crisi e controriforma.
In Base específica - estatua monumento (Base specifica - statua, monumento) i tacchi, autentici piedestalli del corpo, così come prodotti culturali dell’identità femminile, agiscono come un simbolo di seduzione. Una rappresentazione del piacere sessuale che contrasta con il carattere gelido della resina sintetica e del frigorifero che ne costituisce la base.
Marina Núñez (Palència, 1966)
Sin título - Monstruas (Senza titolo - Mostri femminili), 1997 foto 14
olio su tela, 235 x 136 cm
Marina Núñez ci dice che dipinge perché non può scrivere. Questo fatto spiega tanto la densità teorica subgiacente nelle sue opere, quanto il potere narrativo che in molti casi potrebbero essere visti come frammenti di una storia più ampia e come fotogrammi di una pellicola del terrore o di fiction. I lavori degli anni '90 prendono come fonte la psicoanalisi, attraverso la cui lettura l’artista ci fa partecipi di un posizionamento che discute l’argomento lacaniano, secondo il quale la donna o è pazza oppure non esiste, rivendicando, in questo modo, la condizione femminile, in un mondo che storicamente, e ancora al giorno d’oggi, esclude ed emargina le donne.
Mabel Palacín (Barcellona, 1964)
Name no one man, 1997
fotografie in bianco e nero, 7 fotografie, 125 x 180 cm
I lavori fotografici di Mabel Palacín esemplificano il suo potenziale concettuale e formale attraverso il cinema, contribuendo alla dissoluzione dei limiti fra le discipline. In quest’opera sono rapportati fra loro fattori molteplici che appartengono a tecniche differenti, come sono lo spazio e il tempo. Spazio e tempo sono statici nella fotografia e dinamici nel cinema, una caratteristica che Palacín cerca di sovvertire dal momento in cui introduce la nozione di temporalità a partire dalla scomposizione del movimento e dalla sequenzalizzazione delle immagini. Orbene, la scrittura è un elemento di capitale importanza, trattandosi di un palindromo - una frase che è possibile leggere tanto da sinistra a destra, come in senso contrario – che guida il nostro sguardo e apporta nuovi contributi.
Javier Pérez (Bilbao, 1968)
Reflejos de un viaje (Riflessi di un viaggio), 1998 foto 15
videoinstallazione e maschera di vetro, durata 8’ 30”, misure variabili, ed. 3 ex. e prova d’artista
Javier Pérez si confronta con materiali differenti e con l’ambiente in cui vive, ragione per la quale si arma di diversi abbigliamenti e altri complementi che agiscono come estensioni e rifugio dell’individuo. Artefatti realizzati con materiali altamente fragili (vetro, intestini bovini, crine di cavallo) che in una maniera bella e terrifica ci trasmettono idee come la vulnerabilità, la mutabilità e la fungibilità dell’essere.
In Reflejos de un viaje (Riflessi di un viaggio) ci fa partecipi di un percorso notturno per le vie di Parigi. Una città che scopriamo attraverso riflessi instabili e abbozzati schizzi emergenti dalla maschera-specchio che porta l’artista, che ci trasportano all’astrazione e volatilità del ricordo di un tempo che è passato.
Concha Prada (Zamora, 1963)
Leche derramada III (Latte versato III), 1999 foto 16
fotografia a colori, 91 x 91 cm, ed. 3 ex.
Leche derramada V (Latte versato V), 1999 foto 17
fotografia a colori, 91 x 91 cm, ed. 3 ex.
Nel 1999 Concha Prada realizza diverse serie fotografiche che raccolgono azioni banali e piccoli incidenti domestici, come uova sbattute e latte versato. La concentrazione su azioni minime rende al massimo alcune delle caratteristiche relative al mezzo fotografico, come sono la possibilità di alterare il tempo e frammentare lo spazio. Questa visione fotografica, che fissa istanti fugaci e impercettibili, fraziona, aumenta e toglie contestualità, rendendo possibile che ciò che è stato fotografato trascenda la propria natura, mutandosi in qualcosa di totalmente diverso.
Eulàlia Valldosera (Villafranca del Panadés - Barcellona, 1963)
Sombras llenas I. Sombras vacías II (Ombre piene I. Ombre vuote II), 1994
fotografia a colori, 115 x 130 cm, ed. 3 ex
Partendo da una condizione di riflessione, d’improduttività, di silenzio, di passività attiva, Valldosera va a scoprire il proprio corpo: «Vado a scoprire, guardandomi l’ombelico». Allo scoprimento del corpo fa seguito l’incontro con l’ambiente quotidiano. Uno spazio che l’artista inizia ad abitare in un modo lento e timoroso. Un luogo che a poco a poco è acquisito mescolando la proiezione evanescente della materialità o dell’immaterialità del corpo, congiuntamente ad altri oggetti che fanno parte della sua quotidianità.
La mostra rende omaggio a uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.
Francisco Goya, pittore e incisore attivo in Spagna a cavallo tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, raggiunse grande popolarità grazie alle sue incisioni nonostante l’intensa attività pittorica. In particolar modo i Capricci presentati in questa mostra, segnano il primo grande ciclo grafico concepito come un insieme unitario la cui origine si situa nel 1797, periodo di transizione nella vita dell’artista.
Il rinato interesse per l’attività grafica, che porta Goya a riprendere in mano gli strumenti dell’incisore dopo due decenni di pausa, coincide anche con l’invenzione e l’applicazione di un nuovo modo di disegnare, tanto che, grafica e disegno, vanno di pari passo, strettamente legati l’una all’altro.
L’idea dei Capricci nasce a Madrid, come ciclo di ottanta incisioni, al cinquantunesimo anno di età di Goya. Di fatto la prima versione della serie venne incisa in quell’anno con settantadue tavole e presentata con il titolo di Idioma Universale. Nel 1798 vennero invece eseguiti i disegni preparatori a sanguigna e incise le lastre con le prove di stampa per quella che sarà l’edizione definitiva, la cui tiratura avvenne nel gennaio 1799.
La peculiarità dell’operazione Capricci sta soprattutto nella portata concettuale del lavoro. «…L’autore, convinto che la denuncia degli errori e dei vizi umani possa essere oggetto anche della pittura, ha scelto come temi adeguati alla sua opera, tra la moltitudine di stravaganze e stupidaggini consuete a ogni società civile, quelli che ha ritenuto più adatti a fornire materia per il ridicolo e al tempo stesso a eccitare la fantasia dell’artefice…La pittura (come la poesia) sceglie nell’universale ciò che giudica più conveniente ai propri fini: riunisce in un unico personaggio di fantasia circostanze e caratteri che la natura offre suddivisi in parecchi, e da tale combinazione, sapientemente articolata, risulta quella felice immagine per cui un buon artefice acquista il titolo di creatore e non di imitatore servile…».
Così lo scrittore Juan Agustin Céan Bermundez, amico di Goya, scriveva sulle pagine del “Diario de Madrid” il 6 febbraio 1799, per proteggere l’artista dagli strali dell’Inquisizione che non vedeva di buon occhio questa libera professione di fede artistica. Peraltro, insistendo sul fattore fantastico, cercava di allontanare dall’opera ogni riferimento all’attualità. I Capricci furono accolti dal pubblico freddamente e il primo tentativo di vendita dell’opera risultò un fallimento; a tal punto che le opere furono ritirate dal mercato dopo solo due giorni di vendita e Goya cedette le copie in suo possesso al re Carlo IV in cambio di una pensione per il figlio.
ll progetto dei Capricci prese corpo nel breve periodo in cui Gaspar Melchor de Jovellanos, principale esponente della corrente illuminista e protettore di Goya, fu ministro, instaurando un clima di apertura culturale favorevole all’artista. Evidentemente la satira di Goya non era affatto generica invettiva contro i mali della società ma, anzi, è quasi certo che alcuni fogli fossero invece un attacco diretto ai personaggi della corte.
La novità interessante dei Capricci sta nell’assoluta perorazione dei diritti dell’immaginazione e della fantasia a scapito del vecchio pensiero conservatore e antiriformista. Con la sua invenzione Goya mirava a stabilire le ragioni di una nuova estetica indipendente dagli schemi del passato e alla ricerca di nuovi territori d’espressione.
Provocatori dal punto di vista sociale i Capricci lo sono anche dal punto di vista estetico; essi rendono omaggio ai fertili e sconosciuti territori della notte, alle loro orride creature (ma anche affascinanti), all’assurdo del fantastico.
Idealmente il ciclo può essere suddiviso in due parti. La prima parte comincia con l’autoritratto di Goya che sembra annunciare l’ironia riversata dai Capricci sul popolo, l’aristocrazia e il clero e dove vengono presi di mira ignoranza, debolezze e vizi umani.
La seconda parte prende avvio sempre con un autoritratto dove sullo sfondo si aprono le porte verso il regno della notte popolato da demoni, streghe, folletti e fantasmi che danno vita a una feroce satira contro la stregoneria e la superstizione ma soprattutto contro il clero.
La famosa definizione di Baudelaire di “mostruoso verosimile” bene esprime la portata di questo lavoro: «Nessuno più di lui ha osato il senso dell’assurdo possibile. Tutti quei contorcimenti, quelle facce bestiali, quei ghigni diabolici sono pervasi di umanità…».
In mostra verrà esposta la serie completa delle ottanta tavole dei Capricci, attraverso un percorso espositivo ricco di spunti fantasiosi e visioni inedite di quest’opera che sarà messa in relazione con la giovane creazione spagnola rappresentata dagli artisti della Collezione La Panera di Lérida.
Francisco Goya Y Lucientes (Fuendetodos, Saragozza, 1746 – Bordeaux, 1828), figlio di un artigiano decoratore, frequentò a Saragozza lo studio di J. Luzàn. Dopo un lungo periodo di attività, in cui studiò la tradizione pittorica spagnola eseguendo incisioni da dipinti di Velàzques, ottenne l’incarico di ideare i cartoni per l’arazzeria reale di Santa Barbara. Questi, raffiguranti con grande maestria scene di vita popolare, incontrarono il favore della corte e furono il punto di partenza per la rapida ascesa dell’artista che fu nominato “pintor da camera del Rey” nel 1789. Nominato successivamente primo pittore di corte (1799) dipinse uno fra i suoi quadri più celebri, La famiglia di Carlo IV (Madrid, Prado).
Particolarmente intensa fu la sua attività di ritrattista di personaggi di corte; ricordiamo, tra gli altri, alcune delle più affascinanti immagini femminili create dall’artista: il ritratto della Donna con il ventaglio (Parigi, Louvre) e il ritratto della Maja vestida e Maja desnuda (Madrid, Prado), dipinte attorno al 1805.
Dopo l’invasione da parte delle truppe napoleoniche cominciò il periodo più travagliato dell’artista che, in contatto con circoli liberali favorevoli ai francesi, cadde in sospetto presso gli ambienti di corte. Sempre più isolato, dipinse le famose ”pitture nere” (oggi a Madrid, Prado) prima di lasciare definitivamente la Spagna per Bordeaux, dove morì nel 1828.
España
L'arte contemporanea spagnola nella collezione
del Centro d'Arte La Panera di Lérida
La mostra presenta, per la prima volta in Italia, la collezione del Centro d’Arte Contemporanea La Panera di Lérida, centro tra i più attivi di tutta la Spagna.
Il percorso espositivo si sviluppa attraverso le opere più significative della collezione e offre una panoramica sui giovani artisti contemporanei spagnoli e catalani.
Il Centro d’Arte La Panera ha iniziato la sua attività nel mese di ottobre del 2003, come piattaforma di produzione, insegnamento ed esposizione delle arti visive, rendendo nello stesso tempo possibili i collegamenti fra i vari ambiti della creazione culturale.
Il Centro intende essere un luogo di riflessione che veicola le arti visive verso le diverse problematiche della società attuale.
Per la sua particolare situazione geografica in Catalogna, il Centro La Panera ha intenzione di divenire un luogo di riferimento nel contesto artistico catalano, ove propiziare un equilibrio territoriale nell’ambito culturale e instaurare relazioni con istituzioni simili, sia nazionali che internazionali. In tale contesto ben si colloca l’esposizione in Italia al CeSAC di Caraglio, luogo avvezzo alla produzione ed esportazione di eventi culturali transfrontalieri.
Dal 1997, attraverso l’organizzazione di quattro edizioni della Biennale d’arte Leandre Cristòfol, il Municipio di Lérida ha riunito un’importante collezione d’arte catalana e spagnola contemporanea nella quale figurano opere di oltre trenta artisti che compongono una panoramica ampia e diversificata di alcuni degli aspetti più significativi che hanno caratterizzato l’arte spagnola dell’ultima decade degli anni Novanta.
L’introduzione dell’oggetto come elemento costruttivo, il suo marcato carattere metaforico, l’appropriazione del corpo come strumento per una riflessione sull’identità, i rapporti fra l’io e l’altro, l’irruzione nelle questioni sociali e politiche, così come il crescente protagonismo che sta acquistando l’arte computerizzata, sia nell’immagine sia nelle nuove tecnologie dell’informazione, sono i principali temi affrontati dal nucleo di opere esposto in questa mostra.
Il Centro d’Arte La Panera è situato in un edificio che fu costruito fra il XII e XIII secolo, uno dei periodi più prosperi della città di Lérida. L’Almodí, nome con cui era conosciuto questo edificio, è stato la sede delle contrattazioni e centro di ogni tipo di transazioni di cereali, olio, uva, ecc. Della costruzione medioevale è stato conservato un colonnato in pietra composto da 21 elementi di 5,70 metri d’altezza ciascuno. Dopo essere stato acquistato nel XVI secolo dai canonici della cattedrale, è stato costruito un piano superiore e un muro perimetrale, destinato poi all’immagazzinamento e alla vendita di prodotti raccolti dagli stessi canonici. Da ciò proviene il suo nome “Il paniere (la panera) dei canonici”. Nel 1835 l’edificio è passato in proprietà del Municipio di Lérida e, dopo essere stato utilizzato dall’esercito e dalla polizia nazionale, è stato alla fine destinato a centro d’arte, recuperando così il suo magnifico colonnato medioevale.
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L'arte contemporanea spagnola nella collezione
del Centro d'Arte La Panera di Lérida
Elenco delle opere in mostra
Ignasi Aballí (Barcellona, 1958)
Pell (Pelle), 1995
gel acrilico trasparente su legno, 100 x 100 cm
A partire dalla fine degli anni '80 Ignasi Aballí ha intrapreso una revisione della pratica pittorica a livello formale, tecnico e concettuale. Amplia la nozione tradizionale di pittura a partire dall’inclusione di materiali non convenzionali e situa la pittura in uno stato di sospensione, al limite della sua scomparsa in un eterno dilemma sulla sua propria ragione d’essere.
Con Pell (Pelle) la smaterializzazione del quadro come oggetto di un concetto è portata al limite. In quest’opera è pianificato l’annichilimento della pratica pittorica lasciando solo la vernice finale, la pelle della pittura.
Pols (Polveri), 1996 foto 1
polveri, vetro e specchio, 4 opere, 100 x 100 cm
Con la serie Pols (Polveri) il quadro è rimaterializzato. Aballí ricorre a nuovi supporti e nuovi materiali per poter continuare a lavorare nell’ambito pittorico, sceglie il vetro e lo specchio come un supporto e la polvere come un materiale. L’accumulo lento e capriccioso delle particelle di polvere su queste superfici evoca il passare del tempo e l’imprevedibilità del caso.
Jordi Bernadó (Lérida, 1966)
Salmon Arm, 1998 foto 2
fotografia a colori, 120 x 210 cm, ed. 3 ex.
Nei suoi lavori fotografici ha sempre dimostrato un rilevante interesse per la città e l’architettura, e fortemente risalta la volontà di captare immagini che mostrino il carattere mutante e sovente contraddittorio della società attuale.
L’artista coglie la pretesa oggettività della fotografia con immagini (non manipolate) per sconcertare lo spettatore, ponendolo di fronte a situazioni che rasentano l’assurdo.
In questa fotografia l’artista guida lo spettatore alla visione di uno schermo cinematografico sperduto nella profonda America rurale.
Neus Buira (Lérida, 1967)
Retrats (Ritratti), 1993
fotografia luxcolor, 130 x 95 cm
Neus Buira al principio degli anni '90 realizza diverse serie fotografiche che prendono come modelli uomini e donne: Retrats (Ritratti) (1993), Spektrum (Spettro) (1993) e Retrats. Què mires? (Ritratti. Cosa guardi?).
In tutte il soggetto si presenta solo, emergente o dissolvente su fondi neutri che attenuano o accentuano i suoi limiti fisici. Queste fotografie appartengono alla prima delle tre serie e consistono in cinque busti, maschili e femminili, su di un fondo bianco, con la testa rasata e le braccia piegate. Sono immagini di purezza che trasmettono una certa aria eterea e allo stesso tempo ci interpellano attraverso uno sguardo diretto e sospettoso.
Daniel Canogar (Madrid, 1964)
Contrabalanza 1, 3 i 4 (Controbilancia I, 3 e 4), 1996 foto 3
struttura in legno, fotolito e luce alogena, 60 x 60 x 60 cm
Canogar lavora con una componente essenziale del mezzo fotografico: la luce.
Le sue opere tengono conto del rapporto fra il corpo e la tecnologia, nel momento in cui il progresso scientifico ha relegato la fisicità dei corpi nell’oblio. La tecnologia viene intesa come un prolungamento del nostro cervello, da qui l’evanescenza di queste forme umane concepite tra dissoluzione e costruzione numerica e informatica.
Javier Codesal (Sabiñánigo - Osca, 1958)
Padre I, 2001
fotografia montata su alluminio, 170 x 114 cm
Padre III, 2001 foto 4
fotografia montata su alluminio, 170 x 114 cm
Questa fotografia appartiene a un progetto più ampio intitolato L’età del padre attraverso il quale l’autore avvicina immagini di "passaggio, trasmissione e fecondità", a una concezione ambivalente della figura del padre, considerata come sostegno della nostra identità. La fotografia è considerata come immagine di transito, dove la trasformazione del soggetto è quasi impercettibile. Codesal cerca immagini che provochino in noi l’esperienza della vita e della morte, della forza e della vulnerabilità, non in un modo lineare e ciclico, ma istantaneo.
Jordi Colomer, (Barcellona, 1962)
Finestres (Finestre), 1992 foto 5
fotografia a colori, dittico, 100 x 150 cm
Nella serie Finestre appaiono frammenti di testi manoscritti che l’artista ha recuperato da cartoline comprate nei mercati di libri vecchi. I frammenti selezionati sono sempre presentati in forma di dittico per stabilire un dialogo immaginario fra persone sconosciute. Nello stabilire dialoghi minimi e brevi costruisce un’ipotetica opera teatrale (come sovente ha fatto con altre proposte scultoree) in cui l’infinita possibilità di dialoghi fra sconosciuti è collegata dalla banalità delle frasi scelte sempre su temi legati alla quotidianità quali il tempo, le vacanze, il clima e la salute.
Patrícia Dauder (Barcellona, 1973)
Cap Negre (Testa nera), 2003
tecnica mista, 23 x 15 x 12 cm
Two niggers (Due negri), 1999
carboncino e pastello su carta, 64 x 48 cm
Unfinished Savane (Incompiuto selvaggio), 1999
carboncino e pastello su carta, 62 x 48 cm
Cráneo (Cranio), 1999
carboncino e pastello su carta, 62 x 48 cm
Nen d´esquena (Bambino di spalle), 1998
carboncino e pastello su carta, 94 x 64 cm
Il suo lavoro è basato su una tipologia di rappresentazione dell’essere umano, in cui questi ha perso l’identità davanti a un’evidente dissoluzione delle forme corporee. Per ottenere questo risultato l’artista ricorre alla deformità, sorta di enfatizzazione della dissoluzione. Il risultato s’avvicina a un’astrazione in cui possiamo intuire i residui della figurazione.
Il lavoro di Patrícia Dauder vuole lasciar intravedere ciò che lei definisce "cadenze" o "ritmi": «quello che per me è una cadenza, di maggiore o minor intensità, viene espresso dalla materialità o immaterialità, da una presenza pressante, pungente o da un’assenza, dalla dispersione attraverso il nulla».
Álex Francés (Valencia, 1962)
Aliento esforzado (Incoraggiamento sforzato), 2000 foto 6
fotografia a colori, 80 x 120 cm
Duelo y deleite (Dolore e piacere), 2000 foto 7
fotografia a colori, 80 x 120 cm
Álex Francés considera il proprio corpo come la testimonianza di quanto è avvenuto fra l’imprevisto e la premeditazione, come un cammino di autoconoscenza a partire dalla ritualizzazione della propria esperienza.
Fra la fine degli anni ‘90 e il principio del 2000, il suo discorso artistico – senza perdere la fisicità carnale che sempre lo ha caratterizzato – sperimenta un’apertura all’ambiente circostante e agli elementi che lo costituiscono: rami, foglie, terra, cenere, semi. Elementi primigeni che entrano in comunione con l’artista, non in un modo bucolico, ma attraverso un dilatato processo catartico non esente da sforzo e sofferenza.
La Ribot (Madrid, 1962)
Another pa amb tomàquet (Un altro pane con pomodori), 2001 foto 8
DVD, 12’, ed. 25 ex.
All’interno della sua formazione artistica come ballerina e coreografa è necessario ricordare che l’artista ha studiato danza moderna, danza contemporanea e danza classica. Il suo lavoro, sempre in rapporto con le arti visive, risente di riferimenti dadaisti e surrealisti e continua negli apporti della Body Art e la performance.
Le sue azioni esplorano il linguaggio del corpo in relazione a un repertorio oggettuale che le permette di offrire piccole narrazioni senza parole.
In questo video trasforma un cibo tradizionale catalano: “il pane con pomodori” in un’azione carica di tensione, che passa per momenti d’angoscia e sensualità.
Abi Lazkoz (Bilbao, 1972)
Comadre que suda (Comare che suda), 2001 foto 9
pigmenti su carta, 50 x 70 cm
La misma piel (La stessa pelle), 2001 foto 10
pigmenti su carta, 50 x 70 cm
Questi lavori riprendono la tecnica del disegno per riflettere su fatti e situazioni arricchite da un marcato carattere narrativo e che lasciano intravedere un’estetica, specifica quanto sinistra.
Nella sua opera l’artista lavora in particolare sulla gestualità e sull’espressione dei suoi personaggi, per comporre scene quasi teatrali.
Cosciente del rapporto diretto con il linguaggio del comico, l’artista riconosce influenze dell’Espressionismo, del Surrealismo ma anche dei disegnatori giapponesi e messicani o dei cineasti come Tim Burton.
Julia Montilla (Barcellona, 1970)
Detenido II (Detenuto II), 1996 foto 11
fotografia a colori, 53 x 78 cm, ed. 3 ex.
Detenido IV (Detenuto IV), 1996 foto 12
fotografia a colori, 80x56 cm, ed. 3 ex.
In queste due fotografie, della serie Detenido (Detenuto), sono presenti alcune soluzioni formali che caratterizzano buona parte dei lavori dell’artista, come l’idea della staticità degli individui ritratti. In questo caso, Montilla sceglie la fotografia per indagare sulla natura e sui limiti della scultura della tradizione realistica che in maniera quasi ripetitiva, ha preso il corpo umano come modello. L’artista parte dalla scultura classica e riempie con materiali nuovi le diverse cavità e scanalature del corpo umano, che la scultura tradizionale ha cercato di liberare dalla materia.
Pedro Mora (Siviglia, 1961)
Please show your support (Per favore mostri il suo appoggio),1993
legno, metallo e insetti, 125 x 12 cm di diametro
L’interesse di Pedro Mora per gli animali e i vegetali l’avvicina al mondo della scienza. Potremmo dire che per realizzare l’opera Please show your support (Per favore mostri il suo appoggio) ha agito come un entomologo, vale a dire, con intenzioni e obiettivi diversi. Mora ha raccolto degli insetti per trasformare la nostra percezione del mondo quotidiano, a partire dall’alterazione di un oggetto dell’ambiente domestico, che può provocare in noi l’interruzione di ciò che è sinistro.
Juan Luis Morata (Vitòria, 1960)
Base específica - Estatua al monumento (Base specifica - Statua al monumento), 1994 foto 13
frigorifero, resina sintetica e smalto, 135 x 53 x 55 cm
Quest’opera, che appartiene alla serie Éxtasis, estatus, estatua (Estasi, stato, statua), nasce dall’interesse suscitato in Juan Luis Moraza dalla rappresentazione del piacere e dell’erotismo nella scultura di Bernini. Secondo Moraza, la rappresentazione dell’erotismo e la presenza dell’ornamento nell’arte sono prodotti da epoche di crisi e controriforma.
In Base específica - estatua monumento (Base specifica - statua, monumento) i tacchi, autentici piedestalli del corpo, così come prodotti culturali dell’identità femminile, agiscono come un simbolo di seduzione. Una rappresentazione del piacere sessuale che contrasta con il carattere gelido della resina sintetica e del frigorifero che ne costituisce la base.
Marina Núñez (Palència, 1966)
Sin título - Monstruas (Senza titolo - Mostri femminili), 1997 foto 14
olio su tela, 235 x 136 cm
Marina Núñez ci dice che dipinge perché non può scrivere. Questo fatto spiega tanto la densità teorica subgiacente nelle sue opere, quanto il potere narrativo che in molti casi potrebbero essere visti come frammenti di una storia più ampia e come fotogrammi di una pellicola del terrore o di fiction. I lavori degli anni '90 prendono come fonte la psicoanalisi, attraverso la cui lettura l’artista ci fa partecipi di un posizionamento che discute l’argomento lacaniano, secondo il quale la donna o è pazza oppure non esiste, rivendicando, in questo modo, la condizione femminile, in un mondo che storicamente, e ancora al giorno d’oggi, esclude ed emargina le donne.
Mabel Palacín (Barcellona, 1964)
Name no one man, 1997
fotografie in bianco e nero, 7 fotografie, 125 x 180 cm
I lavori fotografici di Mabel Palacín esemplificano il suo potenziale concettuale e formale attraverso il cinema, contribuendo alla dissoluzione dei limiti fra le discipline. In quest’opera sono rapportati fra loro fattori molteplici che appartengono a tecniche differenti, come sono lo spazio e il tempo. Spazio e tempo sono statici nella fotografia e dinamici nel cinema, una caratteristica che Palacín cerca di sovvertire dal momento in cui introduce la nozione di temporalità a partire dalla scomposizione del movimento e dalla sequenzalizzazione delle immagini. Orbene, la scrittura è un elemento di capitale importanza, trattandosi di un palindromo - una frase che è possibile leggere tanto da sinistra a destra, come in senso contrario – che guida il nostro sguardo e apporta nuovi contributi.
Javier Pérez (Bilbao, 1968)
Reflejos de un viaje (Riflessi di un viaggio), 1998 foto 15
videoinstallazione e maschera di vetro, durata 8’ 30”, misure variabili, ed. 3 ex. e prova d’artista
Javier Pérez si confronta con materiali differenti e con l’ambiente in cui vive, ragione per la quale si arma di diversi abbigliamenti e altri complementi che agiscono come estensioni e rifugio dell’individuo. Artefatti realizzati con materiali altamente fragili (vetro, intestini bovini, crine di cavallo) che in una maniera bella e terrifica ci trasmettono idee come la vulnerabilità, la mutabilità e la fungibilità dell’essere.
In Reflejos de un viaje (Riflessi di un viaggio) ci fa partecipi di un percorso notturno per le vie di Parigi. Una città che scopriamo attraverso riflessi instabili e abbozzati schizzi emergenti dalla maschera-specchio che porta l’artista, che ci trasportano all’astrazione e volatilità del ricordo di un tempo che è passato.
Concha Prada (Zamora, 1963)
Leche derramada III (Latte versato III), 1999 foto 16
fotografia a colori, 91 x 91 cm, ed. 3 ex.
Leche derramada V (Latte versato V), 1999 foto 17
fotografia a colori, 91 x 91 cm, ed. 3 ex.
Nel 1999 Concha Prada realizza diverse serie fotografiche che raccolgono azioni banali e piccoli incidenti domestici, come uova sbattute e latte versato. La concentrazione su azioni minime rende al massimo alcune delle caratteristiche relative al mezzo fotografico, come sono la possibilità di alterare il tempo e frammentare lo spazio. Questa visione fotografica, che fissa istanti fugaci e impercettibili, fraziona, aumenta e toglie contestualità, rendendo possibile che ciò che è stato fotografato trascenda la propria natura, mutandosi in qualcosa di totalmente diverso.
Eulàlia Valldosera (Villafranca del Panadés - Barcellona, 1963)
Sombras llenas I. Sombras vacías II (Ombre piene I. Ombre vuote II), 1994
fotografia a colori, 115 x 130 cm, ed. 3 ex
Partendo da una condizione di riflessione, d’improduttività, di silenzio, di passività attiva, Valldosera va a scoprire il proprio corpo: «Vado a scoprire, guardandomi l’ombelico». Allo scoprimento del corpo fa seguito l’incontro con l’ambiente quotidiano. Uno spazio che l’artista inizia ad abitare in un modo lento e timoroso. Un luogo che a poco a poco è acquisito mescolando la proiezione evanescente della materialità o dell’immaterialità del corpo, congiuntamente ad altri oggetti che fanno parte della sua quotidianità.
25
settembre 2004
I Capricci di Goya / España
Dal 25 settembre al 28 novembre 2004
arte contemporanea
Location
CESAC – CENTRO SPERIMENTALE PER LE ARTI CONTEMPORANEE – IL FILATOIO
Caraglio, Via Giacomo Matteotti, 40, (Cuneo)
Caraglio, Via Giacomo Matteotti, 40, (Cuneo)
Biglietti
€ 5 intero, € 3 ridotto (soci Marcovaldo, over 65, under 12, soci Unitre di Savigliano). gratuito per i possessori Abbonamento Musei Torino-Piemonte 2004
Orario di apertura
venerdì e sabato: 15,00 – 19,00. domenica: 10,00 – 12,30 / 15,00 – 19,30
Vernissage
25 Settembre 2004, ore 16
Curatore