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Massimo Kaufmann – Apriti cielo
Il percorso artistico di Massimo Kaufmann è piuttosto atipico. Iniziato nella seconda metà degli anni 80, si è confrontato con una situazione di ritorno alla pittura in reazione a decenni di linguaggi astratti e concettuali, e ha accettato la sfida.
Comunicato stampa
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Nei suoi primi lavori sui Pesi, 1986-7, collocati su mensole di vetro, o nell¹imponente Weltanshauung, 1988 si notava l¹impiego dell¹oggetto (i pesi, le mensole, il metro) come veicolo di significati teorici (la soggettività, la riflessione), ma anche il riferimento agli snodi salienti dell¹iconografia universale (l¹Annunciazione, l¹Incoronazione).
Si trattava di una complessa mediazione tra simboli di portata imponente e forme espressive tipicamente contemporanee. In questa linea il lavoro di Kaufmann è andato sviluppandosi in grande libertà, impiegando l¹installazione, o persino la scultura in bronzo.
In questo senso, l¹impiego della pittura sembra un¹ennesima forma di ri-mediazione tra esigenze apparentemente opposte: produrre in forma tangibile un pensiero astratto e simbolico.
Ma la pittura, e segnatamente la pittura astratta, non sembra il mediatore adatto per simili negoziati. Infatti, non appena scendono in campo cose come ³i valori cromatici², ³il segno², o addirittura ³il tratto, la pennellata², eccoci presi da un piacere estetico atavico, irriducibile a qualunque ragionamento (³Che bei colori!² è l¹esclamazione a cui non si sfugge di fronte ad essa). La pittura rischia di sovvertire le premesse teoriche del lavoro di Kaufmann: invece di mediare tra simbolo e opera, qui ci si troverebbe di fronte all¹abbandono di ogni forma simbolica e di ogni strategia linguistica, per rituffarsi nella pura e semplice ³esperienza estetica² immediata.
E¹ abbastanza sintomatica la reazione che si verifica di fronte agli ultimi quadri di Kaufmann. Anche un occhio esperto si sforza qui di individuare dei significati reconditi, o addirittura di cercare, storcendo lo sguardo, strizzando gli occhi, una qualche forma soggiacente, una figura, un paesaggio, un volto quasi che fossimo davanti a quelle tavole stroboscopiche elaborate al computer, osservando le quali si scopre, lasciando cadere lo sguardo su un dettaglio, o mettendolo a fuoco in un punto virtuale oltre la superficie, il ³vero soggetto² della rappresentazione. Anche qui, siamo fatalmente tratti in inganno dal desiderio che ogni domanda porta con sé, il desiderio che sia una domanda retorica, che contenga già in-sé la risposta.
Alla fine di questo sforzo, quando ci si rende conto di non essere arrivati a capo di nulla avvertiamo però che qualcosa è stato messo in movimento, che un interrogativo si è materializzato. Immergendoci in questi lavori, passiamo rapidamente oltre l¹illusoria sensazione di diletto estetico. Se continuiamo a fare la cosa più naturale e insieme più necessaria di fronte a un quadro, che è come diceva Federico Zeri guardarlo, capiamo che queste opere richiedono tempo. Ma non un tempo qualunque. Una volta Kaufmann ha detto che ciò che distingue l¹approccio di un dilettante da quello di un competente (nell¹arte, nella musica, nel pensiero...) non è tanto il grado di ³bravura² nei risultati, ma la ³disciplina² con cui vengono perseguiti. Alla domanda ³perché dipingere, allora?² non si può rispondere se non dipingendo, cioè applicandosi con modestia, pazienza, fatica (tutte cose che implicano un grande investimento di tempo) alla disciplina della pittura. L¹ubi consistam di questo ciclo di quadri sta nell¹esigenza di esercizio controllato di una tecnica compositiva. Potremmo dire che si tratta di una serie di ³esercizi², nei molti sensi della parola, inclusi quelli agonistici, musicali, e spirituali.
In questo contesto, risollevare la questione della pittura significa porsi un problema teorico. La pittura è sì una ³specie² del genere ³Arte², ma una specie speciale, un sottoinsieme che ridefinisce l¹³insieme² a cui appartiene (un po¹ come il sottoinsieme ³donna², tradizionalmente considerato un elemento dell¹insieme universale Uomo, tende invece a ridefinirlo, in quanto ³eccezione² che cambia la regola). Che cosa sono queste grandi superfici pittoriche se non una forma esplicita di ³eccezione² se non una messa in questione di questo nocciolo fondativo del fare arte?
Massimo Kaufmann (1963) è nato a Milano dove vive e lavora. Esponente di rilievo della generazione artistica affermatasi nei primi anni ¹90 a Milano, la sua pittura più recente si inserisce in un ambito astratto: mappe, reticoli come città che si sviluppano a dismisura in esplosioni di colore. In occasione di della sua personale presso la galleria Astuni presenta 20 lavori nuovi di medio e grande formato
Si trattava di una complessa mediazione tra simboli di portata imponente e forme espressive tipicamente contemporanee. In questa linea il lavoro di Kaufmann è andato sviluppandosi in grande libertà, impiegando l¹installazione, o persino la scultura in bronzo.
In questo senso, l¹impiego della pittura sembra un¹ennesima forma di ri-mediazione tra esigenze apparentemente opposte: produrre in forma tangibile un pensiero astratto e simbolico.
Ma la pittura, e segnatamente la pittura astratta, non sembra il mediatore adatto per simili negoziati. Infatti, non appena scendono in campo cose come ³i valori cromatici², ³il segno², o addirittura ³il tratto, la pennellata², eccoci presi da un piacere estetico atavico, irriducibile a qualunque ragionamento (³Che bei colori!² è l¹esclamazione a cui non si sfugge di fronte ad essa). La pittura rischia di sovvertire le premesse teoriche del lavoro di Kaufmann: invece di mediare tra simbolo e opera, qui ci si troverebbe di fronte all¹abbandono di ogni forma simbolica e di ogni strategia linguistica, per rituffarsi nella pura e semplice ³esperienza estetica² immediata.
E¹ abbastanza sintomatica la reazione che si verifica di fronte agli ultimi quadri di Kaufmann. Anche un occhio esperto si sforza qui di individuare dei significati reconditi, o addirittura di cercare, storcendo lo sguardo, strizzando gli occhi, una qualche forma soggiacente, una figura, un paesaggio, un volto quasi che fossimo davanti a quelle tavole stroboscopiche elaborate al computer, osservando le quali si scopre, lasciando cadere lo sguardo su un dettaglio, o mettendolo a fuoco in un punto virtuale oltre la superficie, il ³vero soggetto² della rappresentazione. Anche qui, siamo fatalmente tratti in inganno dal desiderio che ogni domanda porta con sé, il desiderio che sia una domanda retorica, che contenga già in-sé la risposta.
Alla fine di questo sforzo, quando ci si rende conto di non essere arrivati a capo di nulla avvertiamo però che qualcosa è stato messo in movimento, che un interrogativo si è materializzato. Immergendoci in questi lavori, passiamo rapidamente oltre l¹illusoria sensazione di diletto estetico. Se continuiamo a fare la cosa più naturale e insieme più necessaria di fronte a un quadro, che è come diceva Federico Zeri guardarlo, capiamo che queste opere richiedono tempo. Ma non un tempo qualunque. Una volta Kaufmann ha detto che ciò che distingue l¹approccio di un dilettante da quello di un competente (nell¹arte, nella musica, nel pensiero...) non è tanto il grado di ³bravura² nei risultati, ma la ³disciplina² con cui vengono perseguiti. Alla domanda ³perché dipingere, allora?² non si può rispondere se non dipingendo, cioè applicandosi con modestia, pazienza, fatica (tutte cose che implicano un grande investimento di tempo) alla disciplina della pittura. L¹ubi consistam di questo ciclo di quadri sta nell¹esigenza di esercizio controllato di una tecnica compositiva. Potremmo dire che si tratta di una serie di ³esercizi², nei molti sensi della parola, inclusi quelli agonistici, musicali, e spirituali.
In questo contesto, risollevare la questione della pittura significa porsi un problema teorico. La pittura è sì una ³specie² del genere ³Arte², ma una specie speciale, un sottoinsieme che ridefinisce l¹³insieme² a cui appartiene (un po¹ come il sottoinsieme ³donna², tradizionalmente considerato un elemento dell¹insieme universale Uomo, tende invece a ridefinirlo, in quanto ³eccezione² che cambia la regola). Che cosa sono queste grandi superfici pittoriche se non una forma esplicita di ³eccezione² se non una messa in questione di questo nocciolo fondativo del fare arte?
Massimo Kaufmann (1963) è nato a Milano dove vive e lavora. Esponente di rilievo della generazione artistica affermatasi nei primi anni ¹90 a Milano, la sua pittura più recente si inserisce in un ambito astratto: mappe, reticoli come città che si sviluppano a dismisura in esplosioni di colore. In occasione di della sua personale presso la galleria Astuni presenta 20 lavori nuovi di medio e grande formato
07
agosto 2004
Massimo Kaufmann – Apriti cielo
Dal 07 al 29 agosto 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA ENRICO ASTUNI
Bologna, Via Jacopo Barozzi Vignola, 3, (Bologna)
Bologna, Via Jacopo Barozzi Vignola, 3, (Bologna)
Orario di apertura
tutti i giorni 17.30-20.30 22.00-24.00
Vernissage
7 Agosto 2004, ore 19.00
Curatore