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Luciano e Buci Sopelsa – Lo spazio del corpo
Un appuntamento importante con l’arte contemporanea, 2 modi singolari e straordinariamente attuali di sentire e rappresentare il mondo e ciò che l’occhio incontra o si figura.
Comunicato stampa
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Un’occasione da non perdere per un affascinante viaggio attraverso le opere di padre e figlia all’interno del magnifico spazio espositivo della Padua Art Gallery di Padova.
Un appuntamento importante con l’arte contemporanea, 2 modi singolari e straordinariamente attuali di sentire e rappresentare il mondo e ciò che l’occhio incontra o si figura.
Il filo conduttore delle opere dei Sopelsa è, infatti, la genesi emozionale della loro produzione artistica, del sentire profondo e istintivo tradotto in forma, segno o colore.
Ripercorriamone la Storia.
Il padre, Luciano, dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Venezia, nel 1940 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la guida del Maestro Saetti di cui diventa presto l’ aiuto nella realizzazione di cartoni e affreschi.
L’esperienza col Maestro segna profondamente Sopelsa, nel modo di operare, di sentire i colori, di restare in sospensione tra atmosfere d’incantamento emotivo e realtà trasognata eppure vera, ma anche nella curiosità tecnica, nella fedeltà al “mestiere” di artista.
Un “mestiere” indissolubilmente legato alla coltivazione, all’esercizio, al potenziamento e al raffinamento dei sensi, dell’occhio e della mano, alla ricerca di sinestesie capaci di nutrire l’intelligenza e il pensiero originale e creativo, e di inventare sintesi figurali e cromatiche di efficace espressività e comunicazione.
Luciano Sopelsa si è dedicato a lungo all’affresco e al mosaico, inizialmente seguendo il Maestro Saetti e poi ottenendo committenze proprie che gli hanno consentito di realizzare numerose opere.
Il magistero saettiano è chiaro, nettissimo agli inizi, ma non costituisce il solo riferimento poetico e tecnico di Luciano che, già negli anni Sessanta, dimostra una maturata personalità autonoma, costantemente alla ricerca di una forma armoniosa, narrativa, popolarmente colloquiale:
nudi femminili, maternità, arlecchini, Viae Crucis, crocifissioni sono i temi più frequentati e resi in impasto cromatico ora più caldo e denso di inquietudine erotica, ora più terso, luminescente e volto a una più serena contemplazione.
Ad Asiago, infine, Luciano scopre il marmo rosso e la voglia di scolpire.
Non è una coincidenza casuale che quel rosso corrisponda in qualche modo ai rossi saettiani, caldi e profondi. E in questa materia, solitamente ardua per gli scultori, proprio perché troppo impegnativa pittoricamente, Sopelsa ha riscoperto la ‘musicalità’ dei volumi, degli andamenti plastici, dei gesti, delle atmosfere, dello scivolare della luce sulle superfici polite di solide, matriarcali figure femminili.
Buci, a sua volta artista poliedrica, (scrittrice, designer e pittrice) ha lavorato per parecchi anni nel campo della moda come disegnatrice – stilista responsabile delle linee, della strategia dell'immagine e della pubblicità. La pittura è l’unica esperienza che continua ad occuparla da tanti anni senza stancarla mai e questo perché, afferma l’artista, “non include routine: ogni opera è un’emozione diversa dalla precedente, una sfida che si ripete, un momento di verità con se stessi”.
Come ha scritto Paolo Rizzi <<... la pittura di Buci Sopelsa è come lei: frenetica e pur meditata, ispida e insieme dolcissima, tesa al diapason ma anche lucidissima, eccentrica, cioè fuorisquadra, addirittura convulsa, parossistica e poi, a ben vedere, netta e precisa come il filo di un coltello.
Dà l'impressione di uscire dall'ordito, di volgersi sprezzantemente verso l'utopia: sennonché eccola ritrarsi in se stessa, addirittura farsi introspettiva, persino pudica.
E' una pittura che lievita, anzi ribolle, tutta schiumante. Esce talvolta dalla superficie, si fa essa stessa materia rude; magari si ripiega in se stessa, pateticamente abbandonata ai suoi sogni.
(... )Tutto nella pittura di Buci, è scardinato: non prevale un incipit perché ogni segno, ogni macchia ricomincia daccapo. Qui sta il suo fascino. L'occhio cerca di sceverare le matrici stilistiche (…); la mente si sforza di far ordine, di intuire un nucleo centrale. Non esiste: tutto è frammento, e ogni frammento contiene un minimo di verità.
(... )si capisce che tutto quel che ha dipinto Buci non è che l'emblema di una condizione esistenziale: l'occhio isolato nel contesto del volto, l'uomo che viene calpestato, il fiore, il cuore, persino la sbarra di legno intrisa di rosso, la carta di giornale che si piega e ingiallisce, la gabbia, il cane accucciato, lo specchio rotto, la scarpa sul pavimento, le spine del Cristo….Come non capire che la pittura diventa il campo magnetico su cui scorrono, convulsamente, le vicende del mondo? Come non capire che la "reductio ad unum", di rinascimentale nostalgia, può essere appena intuita nella trasposizione del pensiero pittorico? I quadri sono lacerti, piccoli frammenti di un mondo che si è disgregato. Eppure la qualità dell'arte, quel "valore" che tanto vanamente si cerca, appare all'improvviso dove meno lo si aspettava. E' il segno appunto, di una "verità biologica" che nasce dal di dentro, dal Dna dell'artista>>.
Ed è proprio nel DNA dei Sopelsa che possiamo riscontrare il comune destino dell’arte di una famiglia che Ruggero Sicurelli ha definito “creativogenetica”, in cui non solo mamma Dina con papà Luciano e i figli Buci e Gabriele sono invasati dal demone della creatività, ma tutto l’entourage che si muove attorno alla grande dimora patriarcale di Venezia, dove alle note canore dello zio si unisce l’odore dell’acqua ragia e le divagazioni filosofiche dei tanti intellettuali che si aggirano per casa.
Segno originale e inconfondibile sintesi di una grande sensibilità artistica, la Mostra di Luciano e Buci Sopelsa, fornisce l’occasione di scrivere una memorabile pagina di Storia dell’Arte Contemporanea, attraverso il percorso che si dipana tra le opere in terracotta, marmo e bronzo di un padre a confronto con le tele della figlia, dall’8 al 24 ottobre 2004 alla Padua Art Gallery, in Via delle Piazze 28 a Padova.
Un appuntamento importante con l’arte contemporanea, 2 modi singolari e straordinariamente attuali di sentire e rappresentare il mondo e ciò che l’occhio incontra o si figura.
Il filo conduttore delle opere dei Sopelsa è, infatti, la genesi emozionale della loro produzione artistica, del sentire profondo e istintivo tradotto in forma, segno o colore.
Ripercorriamone la Storia.
Il padre, Luciano, dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Venezia, nel 1940 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la guida del Maestro Saetti di cui diventa presto l’ aiuto nella realizzazione di cartoni e affreschi.
L’esperienza col Maestro segna profondamente Sopelsa, nel modo di operare, di sentire i colori, di restare in sospensione tra atmosfere d’incantamento emotivo e realtà trasognata eppure vera, ma anche nella curiosità tecnica, nella fedeltà al “mestiere” di artista.
Un “mestiere” indissolubilmente legato alla coltivazione, all’esercizio, al potenziamento e al raffinamento dei sensi, dell’occhio e della mano, alla ricerca di sinestesie capaci di nutrire l’intelligenza e il pensiero originale e creativo, e di inventare sintesi figurali e cromatiche di efficace espressività e comunicazione.
Luciano Sopelsa si è dedicato a lungo all’affresco e al mosaico, inizialmente seguendo il Maestro Saetti e poi ottenendo committenze proprie che gli hanno consentito di realizzare numerose opere.
Il magistero saettiano è chiaro, nettissimo agli inizi, ma non costituisce il solo riferimento poetico e tecnico di Luciano che, già negli anni Sessanta, dimostra una maturata personalità autonoma, costantemente alla ricerca di una forma armoniosa, narrativa, popolarmente colloquiale:
nudi femminili, maternità, arlecchini, Viae Crucis, crocifissioni sono i temi più frequentati e resi in impasto cromatico ora più caldo e denso di inquietudine erotica, ora più terso, luminescente e volto a una più serena contemplazione.
Ad Asiago, infine, Luciano scopre il marmo rosso e la voglia di scolpire.
Non è una coincidenza casuale che quel rosso corrisponda in qualche modo ai rossi saettiani, caldi e profondi. E in questa materia, solitamente ardua per gli scultori, proprio perché troppo impegnativa pittoricamente, Sopelsa ha riscoperto la ‘musicalità’ dei volumi, degli andamenti plastici, dei gesti, delle atmosfere, dello scivolare della luce sulle superfici polite di solide, matriarcali figure femminili.
Buci, a sua volta artista poliedrica, (scrittrice, designer e pittrice) ha lavorato per parecchi anni nel campo della moda come disegnatrice – stilista responsabile delle linee, della strategia dell'immagine e della pubblicità. La pittura è l’unica esperienza che continua ad occuparla da tanti anni senza stancarla mai e questo perché, afferma l’artista, “non include routine: ogni opera è un’emozione diversa dalla precedente, una sfida che si ripete, un momento di verità con se stessi”.
Come ha scritto Paolo Rizzi <<... la pittura di Buci Sopelsa è come lei: frenetica e pur meditata, ispida e insieme dolcissima, tesa al diapason ma anche lucidissima, eccentrica, cioè fuorisquadra, addirittura convulsa, parossistica e poi, a ben vedere, netta e precisa come il filo di un coltello.
Dà l'impressione di uscire dall'ordito, di volgersi sprezzantemente verso l'utopia: sennonché eccola ritrarsi in se stessa, addirittura farsi introspettiva, persino pudica.
E' una pittura che lievita, anzi ribolle, tutta schiumante. Esce talvolta dalla superficie, si fa essa stessa materia rude; magari si ripiega in se stessa, pateticamente abbandonata ai suoi sogni.
(... )Tutto nella pittura di Buci, è scardinato: non prevale un incipit perché ogni segno, ogni macchia ricomincia daccapo. Qui sta il suo fascino. L'occhio cerca di sceverare le matrici stilistiche (…); la mente si sforza di far ordine, di intuire un nucleo centrale. Non esiste: tutto è frammento, e ogni frammento contiene un minimo di verità.
(... )si capisce che tutto quel che ha dipinto Buci non è che l'emblema di una condizione esistenziale: l'occhio isolato nel contesto del volto, l'uomo che viene calpestato, il fiore, il cuore, persino la sbarra di legno intrisa di rosso, la carta di giornale che si piega e ingiallisce, la gabbia, il cane accucciato, lo specchio rotto, la scarpa sul pavimento, le spine del Cristo….Come non capire che la pittura diventa il campo magnetico su cui scorrono, convulsamente, le vicende del mondo? Come non capire che la "reductio ad unum", di rinascimentale nostalgia, può essere appena intuita nella trasposizione del pensiero pittorico? I quadri sono lacerti, piccoli frammenti di un mondo che si è disgregato. Eppure la qualità dell'arte, quel "valore" che tanto vanamente si cerca, appare all'improvviso dove meno lo si aspettava. E' il segno appunto, di una "verità biologica" che nasce dal di dentro, dal Dna dell'artista>>.
Ed è proprio nel DNA dei Sopelsa che possiamo riscontrare il comune destino dell’arte di una famiglia che Ruggero Sicurelli ha definito “creativogenetica”, in cui non solo mamma Dina con papà Luciano e i figli Buci e Gabriele sono invasati dal demone della creatività, ma tutto l’entourage che si muove attorno alla grande dimora patriarcale di Venezia, dove alle note canore dello zio si unisce l’odore dell’acqua ragia e le divagazioni filosofiche dei tanti intellettuali che si aggirano per casa.
Segno originale e inconfondibile sintesi di una grande sensibilità artistica, la Mostra di Luciano e Buci Sopelsa, fornisce l’occasione di scrivere una memorabile pagina di Storia dell’Arte Contemporanea, attraverso il percorso che si dipana tra le opere in terracotta, marmo e bronzo di un padre a confronto con le tele della figlia, dall’8 al 24 ottobre 2004 alla Padua Art Gallery, in Via delle Piazze 28 a Padova.
08
ottobre 2004
Luciano e Buci Sopelsa – Lo spazio del corpo
Dall'otto al 24 ottobre 2004
arte contemporanea
Location
PADUA ART GALLERY
Padova, Via Delle Piazze, 28, (Padova)
Padova, Via Delle Piazze, 28, (Padova)
Orario di apertura
dal Martedì al Sabato
10.30 – 13.00
16.30 – 20.00
Vernissage
8 Ottobre 2004, ore 18.00