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Krzysztof Benarski – Erba, solo erba / Mi senti?
Oltre 1500 metri di filo spinato ricoperto di plastica verde e tagliato in piccoli pezzi. Palline di cotone rosso infilate qua e là sugli spunzoni del filo. I fili piantati in 12 cassette riempite di torba e allineate l’una accanto all’altra.
Comunicato stampa
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ERBA, SOLO ERBA
di Anna Jagiello
Oltre 1500 metri di filo spinato ricoperto di plastica verde e tagliato in piccoli pezzi. Palline di cotone rosso infilate qua e là sugli spunzoni del filo. I fili piantati in 12 cassette riempite di torba e allineate l’una accanto all’altra. Sopra le cassette delle lampade pendono basse e, riscaldando la torba, ne fanno sprigionare il suo odore delicato. E’ l’installazione di Krzysztof Benarski Erba, solo erba che ingloba totalmente lo spazio in cui si trova. Entrando nella sala vediamo l’erba di un verde molto intenso punteggiato dalle palline di cotone rosso. Subito ci colpisce l’odore della torba. Le lampade che pendono basse schiacciano la linea dell’orizzonte e conferiscono agli interni un carattere di laboratorio. Illuminano soltanto l’installazione, lasciando il resto della sala in penombra. La loro vibrazione leggera a ridosso delle cassette accentra l’attenzione su questo verde ardente, sull’erba e sull’odore di torba. Come molte opere di Bednarski, l’impatto di Erba, solo erba all’inizio è tutto visivo. A contatto con l’opera si affacciano grovigli di associazioni, esperienze che sono corporali ed estetiche insieme. Anche se il filo spinato quasi subito ci porta a pensare alla non lontana, tragica storia dei lager e alla perdita della libertà, in quest’opera non c’è enfasi retorica. C’è perfino una certa drammatica ironia, impersonata dall’erba in cui si nasconde il filo spinato. Per quando il filo spinato ci possa far pensare ad un’unica cosa, l’erba può invece avere mille significati. Oltre a crescere sulla terra e ricoprire le tracce del passato, l’erba può associarsi a qualcosa di rilassante, ci si può distendere sopra e pigramente lasciarsi andare alle sensazioni. L’artista non ci consegna una inequivocabile dichiarazione sul significato di questa erba. Tuttavia è chiaro che una delle divinità a cui è stata eretta è la memoria. La memoria individuale o quella collettiva, privata o storica? Poiché le opere di Bednarski non hanno di per sé alcun contenuto moralistico, didattico o dottrinario, direi che qui si tratta di una memoria puramente individuale. Se l’artista si fosse lasciato tentare da una rappresentazione di una qualsiasi verità o dichiarazione collettiva non sarebbe riuscito a ricreare un’atmosfera così intrisa di un’emozione intima, carnale. Erba, solo erba è stata preceduta da un lungo periodo di preparazione. Per un mese l’artista ha tagliato in pezzi il filo e li ha infilati nelle cassette di legno. Questo processo, il cui peso ad un certo punto si fa evidente mentre si osservano le opere di Bednarski, nel caso di Erba è importante allo stesso modo di quanto lo è stato per la Sfinge, un’opera realizzata in Polonia venti anni prima. Bednarski ha costruito la sfinge con 10.000 scatole di fiammiferi, raccolte tra mille difficoltà con l’aiuto degli amici. Nel 1985, nel cortile dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia, diede luogo alla performance Rogo delle interiora della Sfinge, in cui bruciò i fiammiferi contenuti nelle scatole utilizzate per l’opera, dedicando l’azione ai Grandi Costruttori. L’evidente richiamo alla situazione del paese era possibile grazie alla profonda esperienza individuale dello stesso artista.
Accanto a Erba, solo erba nella mostra all’Istituto Polacco si può anche ascoltare l’installazione sonora Mi senti?, alla cui elaborazione tecnica ha lavorato Hubert Westkemper, uno dei maggiori ingegneri del suono teatrali italiani, collaboratore di Ronconi. E’ un lavoro che più di altri ha bisogno di un fruitore. Soltanto quando qualcuno entra nella sala vuota ma riempita di voci diverse che intrecciano in tutte le lingue la stessa domanda “mi senti?”, allora l’opera comincia a vivere. Senza questa complementarietà è raggelata, sospesa nell’attesa. Le voci che riempiono la sala esigono un compimento, rappresentato dalla presenza dello spettatore. Questa presenza è molto più forte grazie all’ASSENZA. Qui entra in gioco la mutua reciprocità tra essere e non-essere. Non c’è un protagonista concreto, poiché lo può diventare chiunque esista nella coscienza della persona che entra nella sala. Un’opera che è nata nella mente di un solo uomo può modificarsi in migliaia di modi. Le sottili differenze tra le percezioni della realtà delle diverse persone fanno sì che Mi senti? modifichi il suo carattere a seconda di chi si trova dentro l’opera.
Entrambi i lavori hanno un carattere corporeo. Erba, solo erba opera con la memoria o evocando dalla memoria il corpo. Il filo spinato, l’erba, l’odore della torba, oltre a provocare i sensi (la vista, l’odorato) che sono un elemento del corpo, provocano associazioni corporali. In Mi senti? attraverso il vuoto si rafforza la presenza dello spettatore che riempie lo spazio con il proprio corpo. I due lavori vengono mostrati per la prima volta insieme. Questa vicinanza dona loro un nuovo contesto. Ripesca dall’oblio la memoria e dall’assenza la presenza, attraverso l’esperienza individuale dell’artista stesso, ma anche attraverso l’esperienza degli spettatori lega i due lavori con un laccio emozionale.
Krzysztof Bednarski ha dedicato gran parte delle sue opere ai suoi amici, o a persone che hanno avuto per lui un grande significato. Così, nel 1980, è stato per Bordo di marciapiede, dedicato allo scalpellino Jan Szeliga, un’opera scolpita nel granito, ma in cui elemento era anche la propria ombra proiettata in terra. Del 1984 è Thanatos polacco, scultura dedicata a Jacek Zmysłowski e agli altri membri scomparsi del Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski, mentre nel 1987 l’opera Fuga da Bisanzio venne dedicata a Josif Brodski. Erba, solo erba è dedicata al poeta romano ed amico dell’artista Elio Fiore, scomparso tre anni fa.
Dedico la mostra alla memoria di Elio Fiore, un poeta di grande ispirazione, un amico. Era un poeta assoluto, nella tradizione dantesca. La sua casa con un’antica corte in via del Portico d’Ottavia 13, al ghetto di Roma, in cui aveva abitato fin quasi alla fine della sua vita, l’aveva divisa in tre zone: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Ha vissuto in una solitudine materiale, ma nello spirito è stato molto vicino alla gente. Tra i suoi ricordi un tesoro, la signora Maria Wieman, polacca arruolata dalla Croce Rossa a Follonica come maestra per i bambini di famiglie disastrate dalla guerra. Elio, dopo aver atteso quarant’anni, aveva ritrovato grazie a Ewa e Piotr Parandowski, l’indirizzo di Maria a Varsavia ed era volato da lei nel 1988. In Polonia ritrovò anche uno dei suoi compagni di Follonica, e a me fece l’onore di dedicarmi i versi iniziali di una sua poesia: “Krzysztof mi accompagna al Ghetto di Varsavia…”. Poi a Roma, in Campidoglio, fu testimone delle mie nozze.
Elio, grande amico, Shalom a te!
Krzysztof M. Bednarski
KRZYSZTOF M. BEDNARSKI
Uno degli artisti polacchi più rappresentativi della generazione di mezzo (n. 1953). Vive e lavora in Italia dalla fine degli anni ’80, mantenendo contatti stabili con il suo paese d’origine. Ha studiato Scultura all’Accademia di Belle Arti di Varsavia negli anni 1973-1978. Nel 1975 ha iniziato la sua collaborazione con il Teatro Laboratorio di Jerzy Grotowski, per il quale è autore di tutti i manifesti dei progetti para-teatrali di quel periodo. Ha preso parte a più di un centinaio di mostre collettive, fra cui le più importanti mostre di arte polacca nel mondo: Topos Polonicus, Solentua Messen, Stoccolma (2003); In Between: Art from Poland 1945-2000 Chicago Cultural Center, Chicago (2001); 50 Years of Art in Central Europe 1949-1999 (curatore: L. Hegyi) Museum Modern Kunst Stiftung Ludwig Wien (2000), Ludwig Museum Budapest (2000), Fundaciò Mirò Barcelona (2000), Hansard Gallery-City Gallery Southampton (2000), Galleria Nazionale Praga (2001); Beware of Exiting Your Dreams You May Find Yourself in Somebody Else’s (curatore: H. Szeemann) Galleria Zachęta, Varsavia (2000); “Polonia Polonia”, a cura di Anda Rottemberg, Galleria Zachęta (2000); Arte polacca di fine-inizio secolo Manege Central Exhibition Hall, San Pietroburgo (1999). Nel 2001 ha rappresentato la Polonia nella mostra Diari di lavoro di artisti stranieri a Roma, Galleria Nazionale di Arte Moderna. Nello stesso anno partecipa a Belvedere Italiano, a cura di A. Bonito Oliva, Centro di Arte Contemporanea Castello Ujazdowski, Varsavia. Tra le numerose personali a lui dedicate si ricordano: Passaggio Scuro IV (omaggio a Mario Schifano) a cura di A. Bonito Oliva, Fondazione Orestiadi, Gibellina (1998); Passaggio Scarpe Italiane (mostra retrospettiva di opere degli anni 1976-1999) a cura di Wojciech Krukowski, Centro di Arte Contemporanea Castello Ujazdowski, Varsavia (1999); Passaggio vuoto (mi senti?) presso la Fondazione Morra di Napoli (2001).
Caratteristiche della poetica delle sue opere, diverse e influenzate dalle vicende biografiche sono: l’interesse per le metafore e i simboli della comunicazione più diretta (l’uso provocatorio dell’iconografia marxista con Ritratto Totale di Karl Marx, 1978, e le sue diverse elaborazioni successive; e Victoria-Victoria, 1983); la creazione di un linguaggio personale di forme visuali attraverso cui oggettivizzare l’individuale (Moby Dick, la sua realizzazione più famosa, presentato in diverse versioni fin dal 1987, oggi nella collezione permanente del Museo d’Arte di Łódź); i legami con la poesia (Silentium Universis, 1984, per il premio Nobel Wisława Szymborska (Museo Nazionale Cracovia); Fuga da Bisanzio - a Josif Brodski, 1987; la serie Vision & Prayer, da Dylan Thomas, 1989-94; Unsichtbar, 1993, grande installazione inspirata alle poesie di R. M. Rilke); la conservazione di messaggi importanti attraverso materiali degradati (Thanatos Polacco, 1984 in memoria degli amici scomparsi del Teatro Laboratorio di Grotowski; l’ecologico Sarcofago Baltico, 1993, realizzato in Svezia). E’ autore del monumento dedicato a Federico Fellini per la città di Rimini (in fase di installazione presso l’aeroporto cittadino intitolato al regista) e di quello funebre per Krzysztof Kieślowski a Varsavia. Nel 1996-1997 è stato visiting professor all’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Nel 1998 ha ricevuto una borsa di studio dal Ministero della Cultura polacco in riconoscimento del suo contributo alla promozione dell’arte polacca all’estero. Nel 1998-1999 è stato inoltre il primo borsista della Fondazione “Il Giardino di Daniel Spoerri”, promossa dall’artista svizzero nella sua tenuta in Toscana. Nel 2003 è stato artista residente per la Fondazione Lauben a Salisburgo. Negli anni 2002-2003 ha partecipato tra l’altro al progetto europeo „Global Village Garden” e alla mostra itinerante „Targetti Light Art Collection”, a Varsavia e New York. Nel 2003 ha presentato due gruppi monumentali in bronzo nella personale „Misterium coniunctionis” al Centro di Arte Contemporanea Castello Ujazdowski, e una personale alla Galleria Grodzka di Lublino, mentre la prestigiosa Galleria Foksal di Varsavia ha accolto l’installazione „Ge’Hinnom”. Nel 2004 ha preso parte alla Biennale di Liège „Chassez le naturel...”, e presentato la personale “Ladri di biciclette” alla Galleria Szydlowski di Varsavia. Nella vasta bibliografia che lo riguarda si segnalano numerose le pubblicazioni enciclopediche sia polacche che straniere (St. James Press’ Dictionary of Contemporary Artists, e Kunst in Polen in den Jahren 1918-2000, tra le altre) che riportano notizie biografiche e illustrazioni delle opere dell’autore.
di Anna Jagiello
Oltre 1500 metri di filo spinato ricoperto di plastica verde e tagliato in piccoli pezzi. Palline di cotone rosso infilate qua e là sugli spunzoni del filo. I fili piantati in 12 cassette riempite di torba e allineate l’una accanto all’altra. Sopra le cassette delle lampade pendono basse e, riscaldando la torba, ne fanno sprigionare il suo odore delicato. E’ l’installazione di Krzysztof Benarski Erba, solo erba che ingloba totalmente lo spazio in cui si trova. Entrando nella sala vediamo l’erba di un verde molto intenso punteggiato dalle palline di cotone rosso. Subito ci colpisce l’odore della torba. Le lampade che pendono basse schiacciano la linea dell’orizzonte e conferiscono agli interni un carattere di laboratorio. Illuminano soltanto l’installazione, lasciando il resto della sala in penombra. La loro vibrazione leggera a ridosso delle cassette accentra l’attenzione su questo verde ardente, sull’erba e sull’odore di torba. Come molte opere di Bednarski, l’impatto di Erba, solo erba all’inizio è tutto visivo. A contatto con l’opera si affacciano grovigli di associazioni, esperienze che sono corporali ed estetiche insieme. Anche se il filo spinato quasi subito ci porta a pensare alla non lontana, tragica storia dei lager e alla perdita della libertà, in quest’opera non c’è enfasi retorica. C’è perfino una certa drammatica ironia, impersonata dall’erba in cui si nasconde il filo spinato. Per quando il filo spinato ci possa far pensare ad un’unica cosa, l’erba può invece avere mille significati. Oltre a crescere sulla terra e ricoprire le tracce del passato, l’erba può associarsi a qualcosa di rilassante, ci si può distendere sopra e pigramente lasciarsi andare alle sensazioni. L’artista non ci consegna una inequivocabile dichiarazione sul significato di questa erba. Tuttavia è chiaro che una delle divinità a cui è stata eretta è la memoria. La memoria individuale o quella collettiva, privata o storica? Poiché le opere di Bednarski non hanno di per sé alcun contenuto moralistico, didattico o dottrinario, direi che qui si tratta di una memoria puramente individuale. Se l’artista si fosse lasciato tentare da una rappresentazione di una qualsiasi verità o dichiarazione collettiva non sarebbe riuscito a ricreare un’atmosfera così intrisa di un’emozione intima, carnale. Erba, solo erba è stata preceduta da un lungo periodo di preparazione. Per un mese l’artista ha tagliato in pezzi il filo e li ha infilati nelle cassette di legno. Questo processo, il cui peso ad un certo punto si fa evidente mentre si osservano le opere di Bednarski, nel caso di Erba è importante allo stesso modo di quanto lo è stato per la Sfinge, un’opera realizzata in Polonia venti anni prima. Bednarski ha costruito la sfinge con 10.000 scatole di fiammiferi, raccolte tra mille difficoltà con l’aiuto degli amici. Nel 1985, nel cortile dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia, diede luogo alla performance Rogo delle interiora della Sfinge, in cui bruciò i fiammiferi contenuti nelle scatole utilizzate per l’opera, dedicando l’azione ai Grandi Costruttori. L’evidente richiamo alla situazione del paese era possibile grazie alla profonda esperienza individuale dello stesso artista.
Accanto a Erba, solo erba nella mostra all’Istituto Polacco si può anche ascoltare l’installazione sonora Mi senti?, alla cui elaborazione tecnica ha lavorato Hubert Westkemper, uno dei maggiori ingegneri del suono teatrali italiani, collaboratore di Ronconi. E’ un lavoro che più di altri ha bisogno di un fruitore. Soltanto quando qualcuno entra nella sala vuota ma riempita di voci diverse che intrecciano in tutte le lingue la stessa domanda “mi senti?”, allora l’opera comincia a vivere. Senza questa complementarietà è raggelata, sospesa nell’attesa. Le voci che riempiono la sala esigono un compimento, rappresentato dalla presenza dello spettatore. Questa presenza è molto più forte grazie all’ASSENZA. Qui entra in gioco la mutua reciprocità tra essere e non-essere. Non c’è un protagonista concreto, poiché lo può diventare chiunque esista nella coscienza della persona che entra nella sala. Un’opera che è nata nella mente di un solo uomo può modificarsi in migliaia di modi. Le sottili differenze tra le percezioni della realtà delle diverse persone fanno sì che Mi senti? modifichi il suo carattere a seconda di chi si trova dentro l’opera.
Entrambi i lavori hanno un carattere corporeo. Erba, solo erba opera con la memoria o evocando dalla memoria il corpo. Il filo spinato, l’erba, l’odore della torba, oltre a provocare i sensi (la vista, l’odorato) che sono un elemento del corpo, provocano associazioni corporali. In Mi senti? attraverso il vuoto si rafforza la presenza dello spettatore che riempie lo spazio con il proprio corpo. I due lavori vengono mostrati per la prima volta insieme. Questa vicinanza dona loro un nuovo contesto. Ripesca dall’oblio la memoria e dall’assenza la presenza, attraverso l’esperienza individuale dell’artista stesso, ma anche attraverso l’esperienza degli spettatori lega i due lavori con un laccio emozionale.
Krzysztof Bednarski ha dedicato gran parte delle sue opere ai suoi amici, o a persone che hanno avuto per lui un grande significato. Così, nel 1980, è stato per Bordo di marciapiede, dedicato allo scalpellino Jan Szeliga, un’opera scolpita nel granito, ma in cui elemento era anche la propria ombra proiettata in terra. Del 1984 è Thanatos polacco, scultura dedicata a Jacek Zmysłowski e agli altri membri scomparsi del Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski, mentre nel 1987 l’opera Fuga da Bisanzio venne dedicata a Josif Brodski. Erba, solo erba è dedicata al poeta romano ed amico dell’artista Elio Fiore, scomparso tre anni fa.
Dedico la mostra alla memoria di Elio Fiore, un poeta di grande ispirazione, un amico. Era un poeta assoluto, nella tradizione dantesca. La sua casa con un’antica corte in via del Portico d’Ottavia 13, al ghetto di Roma, in cui aveva abitato fin quasi alla fine della sua vita, l’aveva divisa in tre zone: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Ha vissuto in una solitudine materiale, ma nello spirito è stato molto vicino alla gente. Tra i suoi ricordi un tesoro, la signora Maria Wieman, polacca arruolata dalla Croce Rossa a Follonica come maestra per i bambini di famiglie disastrate dalla guerra. Elio, dopo aver atteso quarant’anni, aveva ritrovato grazie a Ewa e Piotr Parandowski, l’indirizzo di Maria a Varsavia ed era volato da lei nel 1988. In Polonia ritrovò anche uno dei suoi compagni di Follonica, e a me fece l’onore di dedicarmi i versi iniziali di una sua poesia: “Krzysztof mi accompagna al Ghetto di Varsavia…”. Poi a Roma, in Campidoglio, fu testimone delle mie nozze.
Elio, grande amico, Shalom a te!
Krzysztof M. Bednarski
KRZYSZTOF M. BEDNARSKI
Uno degli artisti polacchi più rappresentativi della generazione di mezzo (n. 1953). Vive e lavora in Italia dalla fine degli anni ’80, mantenendo contatti stabili con il suo paese d’origine. Ha studiato Scultura all’Accademia di Belle Arti di Varsavia negli anni 1973-1978. Nel 1975 ha iniziato la sua collaborazione con il Teatro Laboratorio di Jerzy Grotowski, per il quale è autore di tutti i manifesti dei progetti para-teatrali di quel periodo. Ha preso parte a più di un centinaio di mostre collettive, fra cui le più importanti mostre di arte polacca nel mondo: Topos Polonicus, Solentua Messen, Stoccolma (2003); In Between: Art from Poland 1945-2000 Chicago Cultural Center, Chicago (2001); 50 Years of Art in Central Europe 1949-1999 (curatore: L. Hegyi) Museum Modern Kunst Stiftung Ludwig Wien (2000), Ludwig Museum Budapest (2000), Fundaciò Mirò Barcelona (2000), Hansard Gallery-City Gallery Southampton (2000), Galleria Nazionale Praga (2001); Beware of Exiting Your Dreams You May Find Yourself in Somebody Else’s (curatore: H. Szeemann) Galleria Zachęta, Varsavia (2000); “Polonia Polonia”, a cura di Anda Rottemberg, Galleria Zachęta (2000); Arte polacca di fine-inizio secolo Manege Central Exhibition Hall, San Pietroburgo (1999). Nel 2001 ha rappresentato la Polonia nella mostra Diari di lavoro di artisti stranieri a Roma, Galleria Nazionale di Arte Moderna. Nello stesso anno partecipa a Belvedere Italiano, a cura di A. Bonito Oliva, Centro di Arte Contemporanea Castello Ujazdowski, Varsavia. Tra le numerose personali a lui dedicate si ricordano: Passaggio Scuro IV (omaggio a Mario Schifano) a cura di A. Bonito Oliva, Fondazione Orestiadi, Gibellina (1998); Passaggio Scarpe Italiane (mostra retrospettiva di opere degli anni 1976-1999) a cura di Wojciech Krukowski, Centro di Arte Contemporanea Castello Ujazdowski, Varsavia (1999); Passaggio vuoto (mi senti?) presso la Fondazione Morra di Napoli (2001).
Caratteristiche della poetica delle sue opere, diverse e influenzate dalle vicende biografiche sono: l’interesse per le metafore e i simboli della comunicazione più diretta (l’uso provocatorio dell’iconografia marxista con Ritratto Totale di Karl Marx, 1978, e le sue diverse elaborazioni successive; e Victoria-Victoria, 1983); la creazione di un linguaggio personale di forme visuali attraverso cui oggettivizzare l’individuale (Moby Dick, la sua realizzazione più famosa, presentato in diverse versioni fin dal 1987, oggi nella collezione permanente del Museo d’Arte di Łódź); i legami con la poesia (Silentium Universis, 1984, per il premio Nobel Wisława Szymborska (Museo Nazionale Cracovia); Fuga da Bisanzio - a Josif Brodski, 1987; la serie Vision & Prayer, da Dylan Thomas, 1989-94; Unsichtbar, 1993, grande installazione inspirata alle poesie di R. M. Rilke); la conservazione di messaggi importanti attraverso materiali degradati (Thanatos Polacco, 1984 in memoria degli amici scomparsi del Teatro Laboratorio di Grotowski; l’ecologico Sarcofago Baltico, 1993, realizzato in Svezia). E’ autore del monumento dedicato a Federico Fellini per la città di Rimini (in fase di installazione presso l’aeroporto cittadino intitolato al regista) e di quello funebre per Krzysztof Kieślowski a Varsavia. Nel 1996-1997 è stato visiting professor all’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Nel 1998 ha ricevuto una borsa di studio dal Ministero della Cultura polacco in riconoscimento del suo contributo alla promozione dell’arte polacca all’estero. Nel 1998-1999 è stato inoltre il primo borsista della Fondazione “Il Giardino di Daniel Spoerri”, promossa dall’artista svizzero nella sua tenuta in Toscana. Nel 2003 è stato artista residente per la Fondazione Lauben a Salisburgo. Negli anni 2002-2003 ha partecipato tra l’altro al progetto europeo „Global Village Garden” e alla mostra itinerante „Targetti Light Art Collection”, a Varsavia e New York. Nel 2003 ha presentato due gruppi monumentali in bronzo nella personale „Misterium coniunctionis” al Centro di Arte Contemporanea Castello Ujazdowski, e una personale alla Galleria Grodzka di Lublino, mentre la prestigiosa Galleria Foksal di Varsavia ha accolto l’installazione „Ge’Hinnom”. Nel 2004 ha preso parte alla Biennale di Liège „Chassez le naturel...”, e presentato la personale “Ladri di biciclette” alla Galleria Szydlowski di Varsavia. Nella vasta bibliografia che lo riguarda si segnalano numerose le pubblicazioni enciclopediche sia polacche che straniere (St. James Press’ Dictionary of Contemporary Artists, e Kunst in Polen in den Jahren 1918-2000, tra le altre) che riportano notizie biografiche e illustrazioni delle opere dell’autore.
09
luglio 2004
Krzysztof Benarski – Erba, solo erba / Mi senti?
Dal 09 luglio all'otto agosto 2004
arte contemporanea
Location
SEGHERIA C. TELARA
Carrara, Via Carriona, 263, (Massa-carrara)
Carrara, Via Carriona, 263, (Massa-carrara)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì dalle 16.00 alle 20.00
sabato domenica su appuntamento
Vernissage
9 Luglio 2004, ore 19.00