04 novembre 2014

Padiglione Italia, che strazio!

 
Perché non riusciamo a nominare il nostro curatore alla Biennale? Perché non si fa una gara di progetti? E si è riflettuto sul danno il ritardo provoca al curatore e agli artisti? [A.P.]

di

Bruno Corà

L’eterno ritorno dell’uguale, la solita sindrome italiota dell’indecisione e del tira e molla, il lento loop in cui si avvita questa, come altre scelte, è la prima, banalissima osservazione. Talmente banale da diventare noiosa. A forza di ripeterlo, di capire se ci siamo o meno con questa benedetta nomina, si rischia uno squassante sbadiglio. Neanche si trattasse di nominare i due membri mancanti della Consulta, bizantinismo che da quasi due mesi sta paralizzando il Parlamento. Si tratta solo di indicare una persona che, con un po’ di tempo e un po’ di cervello, scelga gli artisti che ci rappresentino nel 2015. Perché per gli altri è una cosa normale e per noi un giallo, un mistero, una nebbia in cui si agitano fantasmi? Se ne sono sentite di tutti i colori: s’è parlato di Bruno Corà, forte della nomina al vertice della Fondazione Burri. Poi no, sono giovani, sono dieci, stanno in Italia o stanno all’estero. Stanno ovunque, a parte dove dovrebbero stare, e cioè a Venezia, già a lavoro. 
Quello che proprio non si capisce è perché su una cosa del genere non si debba fare un concorso, una bella gara all’insegna della trasparenza. Una cosa semplice del tipo: a maggio c’è la 56esima edizione della Biennale di Venezia. Il MIBACT cerca il curatore del Padiglione Italia, la selezione verrà fatta sulla base dei progetti, che devono essere di massimo sei pagine, contenere un’ipotesi di budget e di fundraising ed essere corredati dal curriculum vitae. Poi, vinca il migliore! Mica serve molto di più. Ma non è una cosa da fare oggi o ieri, bisognava pensarci all’inizio dell’anno. 
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I possibili curatori del Padiglione Italia: dall’alto a sinistra: Francesco Stocchi, 
Francesco Manacorda, Chiara Parisi, Andrea Bellini

Perché una cosa così normale da noi diventa straordinaria? Anche la nomina del curatore del Padiglione Italia scatena appetiti, lotte tra faide e tra lobby? Allora la cosa interessa, oltre il ristretto cerchio degli addetti ai lavori. Eppure, dalla considerazione in cui viene tenuta in Italia l’arte contemporanea, non  si direbbe. 
A questo punto, ministro Franceschini, tiri fuori un nome e amen. Non il primo che le viene in mente, possibilmente. 
Sa perché deve fare in fretta? Perché con cinque mesi scarsi nessun curatore, giovane o maturo che sia, può fare un buon padiglione. Che già di suo è difficile da allestire, essendo il più vasto di tutti, troppo grande, specie per le scarse (o nulle) risorse finanziarie allocate per farci la mostra. Sì, non sarà tanto superiore a come era un tempo il vecchio Padiglione Italia che ora ospita la mostra del curatore. Ma nel frattempo per anni non l’abbiamo avuto e, come dire, ci avevamo perso l’abitudine e in ogni caso rende quasi impossibile fare come fanno gli altri Paesi: un solo artista, un one man show, essere chiari e decisi anche sul nome su cui l’Italia punta e investe. Le dimensioni dell’attuale Padiglione Italia rendono impossibile una scelta del genere. Per non parlare poi dell’ubicazione: sta alla fine del percorso dell’Arsenale, ci si arriva sfiancati insomma, e non tanto ben disposti. Se ci si arriva. 
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I possibili curatori del Padiglione Italia. Dall’alto a sinistra: Ilaria Bonacossa, 
Lorenzo Benedetti, Lorenzo Fusi, Luca Lo Pinto
Ma oltre questi dati tecnici, nominare così tardi il curatore, non è solo un danno a questo, ma anche agli artisti che sceglierà. Che avranno poco tempo e, come sempre, pochi soldi per fare il loro lavoro. In compenso, avranno mille vincoli in quel luogo (come anche il curatore), perché è noto che non si può toccare niente (o quasi) tra le Gaggiandre e le Tese. Ma a chi importa veramente della qualità della mostra? A qualche nostalgico, forse. La posta in gioco vera sembra essere il nome giusto (?) del curatore. 
Infine, questo introvabile giovane curatore, sarà Italian based o Dutch, Austrian, French, English based? Chiunque sia e da ovunque provenga, diciamocelo, è una bella sola beccarsi questo incarico il giorno prima della Biennale. E il danno – è prevedibile – è più forte per un giovane curatore, piuttosto che per uno navigato. Lui si gioca tutto, è la sua grande opportunità. Da sbrigare in cinque mesi. 
Complimenti, bel modo di fare largo ai giovani. 

1 commento

  1. Ogni due anni è sempre lo stesso straziante ritornello
    perchè in Italia si deve ancora continuare a lavorare secondo questa modalità. Tanto i nominati anche se costretti a lavorare in tempi risicati accettano lo stesso e se non accettano l’incarico; sicuramente altri lo faranno.

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