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Gianni Martini – Bazooka Bazar
Presso la Galleria d’arte contemporanea ARTEALCONTRARIO saranno esposte tele, carte ed oggetti, video e poesie di Gianni Martini. Negli ultimi lavori di Martini è allora il senso inesorabile del tempo che pervade ogni cosa ad uscire allo scoperto.
Comunicato stampa
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Negli ultimi lavori di Martini è allora il senso inesorabile del tempo
che pervade ogni cosa ad uscire allo scoperto. E se l’arte è
l’espressione dell’uomo contro il suo destino mortale, è il suo estremo
tentativo di lasciare una traccia di sé, allora con questo ciclo di
lavori Gianni è andato al centro dell’eterna velleità umana.
I dispositivi che segnano le sorti del mondo sensibile stanno negli
spazi e negli ambienti quotidiani: li possiamo scorgere agli angoli
delle strade di periferia, dentro le fabbriche dove il lavoro scorre
automaticamente e ignaro di ciò che avviene all’esterno. Poi a poco a
poco ecco che l’occhio di Gianni Martini ne snida altri, come un
segugio instancabile con la preda ne stana altri nelle case (come non
farsi tornare in mente allora quel lavoro del 1981 che insisteva
proprio sull’idea dello “stanare delle prede”?), dove ciascuno si
rifugia la sera ormai convinto di lasciarsi i pericoli dietro le
spalle, una volta chiusasi la porta lì dentro non può succederci
niente. Quelle quattro pareti attorno ci rassicurano e ci fanno sentire
potenti, sicuri. Eppure un dubbio può saltare fuori e disturbarci la
serata, rovinarci quel senso di intangibilità… fino a quando? Sì perché
non solo gli spazi nascondono il loro dispositivo, non solo le strade o
le case o le scuole, ma ogni uomo, ogni esistenza ha il suo
dispositivo. E non c’è proprio nulla da fare, bisogna rassegnarsi a
sentirne il ticchettio inesorabile, perché ogni battito potrebbe essere
quello, il nostro. Non si può fare a meno del resto di identificarsi
con quei volti velati solo fino a nasconderne l’identità, in modo che
l’immedesimazione risulti fortissima, siamo noi quelle fisionomie lì
sotto, quei sorrisi tranquilli e quel marchingegno potrebbe proprio
essere marchiato con il nostro nome, a niente vale graffiarne la
superficie, nasconderne l’etichetta, ci riconosce comunque. Come nei
lavori di Christian Boltanski agisce qui la forte carica di allusione
autobiografica che l’immagine fotografica concede in forza della sua
potenziale ‘veridicità’: se in Boltanski sono visi di bambini nei quali
ognuno si può riconoscere, in Martini sono profili mistificati che si
offrono bene all’appropriazione ‘indebita’ da parte di chi li guarda.
Poi lo scoppio. Frammenti di colori, borsine strappate (il fondo di una
vita senza uscita; cul de sac), pezzi di cartone accatastati irrompono
sullo schermo in cui viene proiettato il nostro destino. E’
l’esplosione incontrollabile che annienta ogni resistenza, che azzera
ciò in cui ci si imbatte. Quello che resta sono solo brandelli di
testimonianze, non si è certi che qualcuno sarà in grado di
raccoglierli. E per rendere ancora più forte il coinvolgimento emotivo
non si risparmia neppure il recupero oggettuale, l’objet trouvé, in
modo tale che la realtà prorompa nell’arte senza mediazioni pittoriche
e senza filtri iconici. C’è bisogno di sentire che quello che quello
che troviamo ora appeso alla parete è parte del nostro mondo e non
solo di quello auratico dell’arte. Il gesto di Martini appare come un
monito o meglio come una cura omeopatica: inocularsi il virus cercando
di combatterlo. Costringersi a pensare è già un po’ esorcizzare e può
aiutare non tanto a prepararsi al futuro quanto forse a capire il
presente.
…..
Le operazioni con i dispositivi di Martini si inseriscono (pur nella
indiscussa autonomia da “voce fuori dal coro” che lui riesce a
mantenere) in una precisa linea artistica contemporanea., quella tesa a
un forte e deciso “recupero” del senso di realtà, che nella sua
interpretazione diventa il bisogno urgente di richiamare l’attenzione
più che agli ambienti, agli oggetti e ai comportamenti, piuttosto al
significato ultimo del vivere, in una condizione simpatetica che
richiede al fruitore un imprescindibile ruolo attivo emotivamente e
mentalmente.
Federica Muzzarelli
che pervade ogni cosa ad uscire allo scoperto. E se l’arte è
l’espressione dell’uomo contro il suo destino mortale, è il suo estremo
tentativo di lasciare una traccia di sé, allora con questo ciclo di
lavori Gianni è andato al centro dell’eterna velleità umana.
I dispositivi che segnano le sorti del mondo sensibile stanno negli
spazi e negli ambienti quotidiani: li possiamo scorgere agli angoli
delle strade di periferia, dentro le fabbriche dove il lavoro scorre
automaticamente e ignaro di ciò che avviene all’esterno. Poi a poco a
poco ecco che l’occhio di Gianni Martini ne snida altri, come un
segugio instancabile con la preda ne stana altri nelle case (come non
farsi tornare in mente allora quel lavoro del 1981 che insisteva
proprio sull’idea dello “stanare delle prede”?), dove ciascuno si
rifugia la sera ormai convinto di lasciarsi i pericoli dietro le
spalle, una volta chiusasi la porta lì dentro non può succederci
niente. Quelle quattro pareti attorno ci rassicurano e ci fanno sentire
potenti, sicuri. Eppure un dubbio può saltare fuori e disturbarci la
serata, rovinarci quel senso di intangibilità… fino a quando? Sì perché
non solo gli spazi nascondono il loro dispositivo, non solo le strade o
le case o le scuole, ma ogni uomo, ogni esistenza ha il suo
dispositivo. E non c’è proprio nulla da fare, bisogna rassegnarsi a
sentirne il ticchettio inesorabile, perché ogni battito potrebbe essere
quello, il nostro. Non si può fare a meno del resto di identificarsi
con quei volti velati solo fino a nasconderne l’identità, in modo che
l’immedesimazione risulti fortissima, siamo noi quelle fisionomie lì
sotto, quei sorrisi tranquilli e quel marchingegno potrebbe proprio
essere marchiato con il nostro nome, a niente vale graffiarne la
superficie, nasconderne l’etichetta, ci riconosce comunque. Come nei
lavori di Christian Boltanski agisce qui la forte carica di allusione
autobiografica che l’immagine fotografica concede in forza della sua
potenziale ‘veridicità’: se in Boltanski sono visi di bambini nei quali
ognuno si può riconoscere, in Martini sono profili mistificati che si
offrono bene all’appropriazione ‘indebita’ da parte di chi li guarda.
Poi lo scoppio. Frammenti di colori, borsine strappate (il fondo di una
vita senza uscita; cul de sac), pezzi di cartone accatastati irrompono
sullo schermo in cui viene proiettato il nostro destino. E’
l’esplosione incontrollabile che annienta ogni resistenza, che azzera
ciò in cui ci si imbatte. Quello che resta sono solo brandelli di
testimonianze, non si è certi che qualcuno sarà in grado di
raccoglierli. E per rendere ancora più forte il coinvolgimento emotivo
non si risparmia neppure il recupero oggettuale, l’objet trouvé, in
modo tale che la realtà prorompa nell’arte senza mediazioni pittoriche
e senza filtri iconici. C’è bisogno di sentire che quello che quello
che troviamo ora appeso alla parete è parte del nostro mondo e non
solo di quello auratico dell’arte. Il gesto di Martini appare come un
monito o meglio come una cura omeopatica: inocularsi il virus cercando
di combatterlo. Costringersi a pensare è già un po’ esorcizzare e può
aiutare non tanto a prepararsi al futuro quanto forse a capire il
presente.
…..
Le operazioni con i dispositivi di Martini si inseriscono (pur nella
indiscussa autonomia da “voce fuori dal coro” che lui riesce a
mantenere) in una precisa linea artistica contemporanea., quella tesa a
un forte e deciso “recupero” del senso di realtà, che nella sua
interpretazione diventa il bisogno urgente di richiamare l’attenzione
più che agli ambienti, agli oggetti e ai comportamenti, piuttosto al
significato ultimo del vivere, in una condizione simpatetica che
richiede al fruitore un imprescindibile ruolo attivo emotivamente e
mentalmente.
Federica Muzzarelli
22
giugno 2004
Gianni Martini – Bazooka Bazar
Dal 22 giugno al 30 luglio 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARTEALCONTRARIO
Modena, Via Carteria, 60, (Modena)
Modena, Via Carteria, 60, (Modena)
Orario di apertura
martedì/mercoledì/venerdì/sabato
10,30-12,30 / 16,30-19,30
Vernissage
22 Giugno 2004, ore 21,00