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Nueva hermosura
Per la prima volta a Firenze sarà esposta la cartella litografica degli artisti appartenenti al Grupo El Paso (Il Passo), sorto in Spagna a metà degli anni Cinquanta: le sei opere, originali e realizzate da Rafael Canogar, Martin Chirino, Manuel Millares, Manuel Rivera, Antonio Saura e Manuel Viola.
Comunicato stampa
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Allegri Spazio Arte inaugura i suoi spazi espositivi con una mostra dal respiro internazionale, organizzata con il patrocinio del Comune di Firenze e del Consolato Spagnolo. Per la prima volta a Firenze sarà esposta la cartella litografica degli artisti appartenenti al Grupo El Paso (Il Passo), sorto in Spagna a metà degli anni Cinquanta: le sei opere, originali e realizzate da Rafael Canogar, Martin Chirino, Manuel Millares, Manuel Rivera, Antonio Saura e Manuel Viola, sono edite dalla Galleria L’Attico di Roma nel 1960 con presentazione critica di Enrico Crispolti.
Gli artisti de Il Paso si contraddistinguono per l’incidenza segnica e la vitalità materica, componenti per le quali il gruppo ha tratto origine dalla tradizione nazionale, ma che ha alimentato con le moderne tendenze informali francesi e nordamericane del Tachisme e dell’Action Painting, di Fautrier, Dubuffet, Wols, Mathieu, Stael o di Pollock e Rothko.
«E sulla strada tracciata da questi padri e modelli “storici”», spiega Fiorella Nicosia nel testo critico del catalogo, « sembrano essersi incamminati i “passi” degli artisti della Galleria spagnola Sala XIII introdotti simbolicamente dal trait d’union di una Composicion di Rafael Canogar del 1968, che abbandona definitivamente l’informale per giungere ad una pittura di contenuti sociali e politici, di più urgente attualità e di più diretta comunicazione estetica».
In mostra sono esposte anche una ventina di opere provenienti dalla Galleria Sala XIII di Madrid: Carmen Belenguer, Mariano de Blas, Amaya Bozal, Sanz Antonio de la Fuente, Edoardo Vega de Seoane, Julio Martinez, Luis Moro e Carlos Vidal. I dipinti, prevalentemente dalle grande dimensioni e dal forte impatto materico, dialogano tra loro, ora spinti da una componente poetica e spirituale, ora dall’ energico tratto informale, denso di cromatismo e costruzione architettonica.
Il catalogo, edito da Polistampa, è introdotto dai testi critici di Enrico Crispolti e Fiorella Nicosia.
[…] ¿Qué va a saltar de aquì, qué a suceder,
qué a reventar de estos violentos espantajos,
qué a tumbar esta ciega, andrajosa corambre
cuando rompa sus hilos, haga morder de sùbito
sus abiertas costuras, ilumine sus negros,
sus nimios y sus calcios de un resplandor rasante,
capaz de hacer parir la màs nueva hermosura? […]
Rafael Alberti
[…] Cosa uscirà da qui, cosa succederà,
cosa schizzerà fuori da questi violenti spauracchi,
cosa farà cadere questo cieco, cencioso pellame
quando rompa i suoi fili, consumi di colpo
le sue aperte cuciture, illumini i suoi neri,
i suoi insignificanti, i suoi calci con un bagliore radente,
capace di far partorire la più nuova bellezza? […]
R. Alberti scrisse questa poesia a Roma nel 1965, ispirandosi alle tele di Manuel Millares
Sempre le avanguardie aprono la strada, avanzano spavalde, osano, rischiano, rompono il ritmo e il procedere normale, marciano davanti in una guerra sconosciuta, sentono che è giunto il momento di rompere le righe della tradizione. Le diverse avanguardie artistiche del Novecento hanno avuto ragione di esistere perché hanno intuito, indicato e seguito un cambiamento, provocando una rottura della continuità e sperimentando un linguaggio che andava oltre le affermazioni del passato, sono andate a capo dopo un punto fermo rappresentato dalla cosiddetta «unità spirituale e culturale dell’Ottocento».
Le manifestazioni artistiche raccolte sotto la definizione generalizzata di «Informale» facevano un passo ancora in avanti rispetto alle avanguardie storiche, tentavano di ricostituire una “nuova bellezza” rifiutando la forma, la rappresentazione, la razionalità e l’immagine precostituita del pensiero. L’«informe», secondo la nota definizione di Bataille, dunque, sceglie la materia, il «basso materialismo» come nuovo inizio e, attraverso la gestualità e l’azione, spoglia l’arte di ogni orpello, azzerando qualsiasi tentazione narrativa, rappresentativa o realista, inseguendo la poesia dell’assenza e della traccia, la fisicità del segno e la magia dell’invisibile e dell’irrazionale. Ed è dal dolore della guerra e dall’orrore della materia bruciata, delle città distrutte, dei corpi martoriati che nasce la ricerca di una nuova estetica, di una nuova bellezza che possa far rinascere la vita dalla morte, una forma significante dall’informe della storia. Così la volontà di cambiamento e di rottura, il desiderio di segnare una traccia indelebile sull’epidermide dell’esistenza, la necessità di un’arte che lasci cicatrici.
Così anche il Grupo El Paso– costituitosi a Madrid nel febbraio del 1957 con un manifesto programmatico e una prima mostra nell’aprile dello stesso anno presso la galleria Buchholz– aveva voluto “rinvigorire” l’arte spagnola che, nel dopoguerra, sembrava aver dimenticato i diversi germi dell’avanguardia emersi durante gli anni Venti e Trenta, rimanendo ferma e immobile in un’«aguda crisis» e su posizioni passatiste, ad eccezione di alcuni gruppi come il catalano Dau al Set da cui emerse il grande Antoni Tàpies, il Grupo Portico o la Scuola di Altamira legati, però, ancora ad un estetica per lo più figurativista, surrealista o astrattista.
In una Spagna degli anni Cinquanta, convalescente dalla guerra e asfissiata da un regime dittatoriale, era necessario ricostruire il panorama della cultura artistica nazionale e ritrovare un’identità riconoscibile come tipicamente spagnola, per permettere anche lo sviluppo di un valore sul mercato internazionale, mantenendo, nel contempo, un’armonico compromesso con l’idea nazionalista e modernista di Franco. La strada verso una credibile individualità iberica poteva essere, paradossalmente, quella del Barocco e della tradizione, dei miti iberici della religione e della morte, esemplificati, pertanto, nella violenza e nella crudezza espressiva, nella scura esasperazione di Zurbaran o di El Greco, fino ai drammatici contrasti di luce e tenebra di Goya.
I giovani artisti Rafael Canogar, Luis Feito, Juana Francés, Manuel Millares, Antonio Saura, Pablo Serrano, Antonio Suárez, e i critici Manuel Conde e José Ayllón costituirono la prima formazione di El Paso (Il Passo) fin dai loro primi contatti nel 1955, mentre negli anni seguenti si unirono al gruppo Manuel Rivera, lo scultore Martín Chirino e Manuel Viola, l’artista più anziano. Tutti erano consapevoli di iniziare un nuovo capitolo della storia dell’arte spagnola, seppure partendo da posizioni individuali e stilisticamente diverse: dalla figurazione stilizzata e geometrica di Suárez e Rivera, al cubismo di Feito, dall’espressionismo lirico di Francés, fino al surrealismo di Saura e alle suggestioni primitiviste di Millares e Chirino, entrambi provenienti dalle isole Canarie, dove si era formato il Gruppo L.A.D.A.C. (Los Arqueros Del Arte Contemporáneo) di tendenze surrealiste.
Il punto di incontro che rese El Paso un’esperienza singolare di “avanguardia” all’interno dell’ispirazione informalista, fu la volontà di «presentar una obra auténtica y libre, abierta a la experimentación», creando, pertanto, una poetica artistica che avesse radici nella tradizione nazionale ma aperta verso le moderne tendenze informali francesi e nordamericane del Tachisme e dell’Action Painting, quelle di Fautrier, Dubuffet, Wols, Mathieu, Stael o di Pollock, Rothko, Kline, Still e De Kooning.
El Paso si distinse, pertanto, dagli altri gruppi per questa posizione collettiva e consapevole di rinnovamento e di avanzamento, per questa chiara sintesi di un’identità aperta, moderna ma propriamente spagnola, per questo sentimento espressivo dell’informe e della violenza materica, dell’impasto del colore e dell’energia del segno. La padronanza prodigiosa e magica della materia fu il comune denominatore tra questi artisti, che giocavano con i contrasti tra materiali e supporti, tra violenza del colore e rilievo scultoreo, tra silenzio e azione, tra lirica purezza delle linee e concretezza metallica delle superfici, tra dramma, cicatrici e melanconia.
Molta strada avevano già fatto quegli artisti dopo la famosa I Biennale Ispanoamericana di Barcellona del 1951 che aveva influenzato il loro immaginario guidandolo verso l’astrazione espressionista e verso l’informe. Presto, dopo l’esordio madrileno del 1957, arrivarono alla loro prima esposizione importante al Colegio Mayor San Pablo a Madrid nel 1958 e poi al padiglione spagnolo della Biennale Veneziana. In seguito ad un largo consenso critico e di pubblico, gli artisti di El Paso, dopo un’altra mostra alla Galeria Biosca di Madrid nel 1959, sentirono che il loro percorso insieme era giunto alla fine e che bisognava congedarsi dal pubblico con un’ultima mostra e una «Ultima Cominicaciòn firmada collectivamente». La mostra fu quella ormai famosa che segnò la fine di un’esperienza, organizzata in Italia, presso la Galleria L’Attico di Roma, nel 1960, mentre il manifesto di chiusura si collegava strettamente a quello del 1957, di cui ricalcava i principi fondamentali e le conquiste raggiunte: Hemos combatido la apatìa. Hemos atacado a una critica que, salvo raras excepciones, se mantenìa hueca e inoperante. Hemos denunciado una situaciòn insostenibile y se ha contribuido a la afirmaciòn de una pintura que responde a nuestar propuesta de abertura hacia las corrientes universales y a la recuperaciòn de ciertas constantes españolas.
La cartella litografica qui presentata, che risale all’agosto del 1960, quando già il gruppo si era sciolto durante la mostra romana de L’Attico, ripropone la poetica del segno e la presenza materica ed energica di alcuni dei più importanti artisti di El Paso: Canogar, Chirino, Millares, Rivera, Saura e Viola, che qui sembrano più che mai uniformi e solidali, come in un estremo e tematico canto corale dopo le individuali variazioni degli anni precedenti. E sulla strada tracciata da questi padri e modelli “storici” sembrano essersi incamminati i “passi” degli artisti della Galleria spagnola Sala XIII introdotti simbolicamente dal trait d’union di una Composicion di Rafael Canogar del 1968, che abbandona definitivamente l’informale per giungere ad una pittura di contenuti sociali e politici, di più urgente attualità e di più diretta comunicazione estetica.
La vitalistica materia esaltata e celebrata nelle tele degli artisti di El Paso diventa delicata e trascendente poesia ed eleganza spirituale e formale negli artisti di Sala XIII Arte Actual di Torrelodones (Madrid), come ad esempio Antonio Sanz de la Fuente che nel suo stratificare terroso e geometrico ricama una gabbia fantastica e lirica, come una trama intima e religiosa del suo più profondo sentimento. Le sue campiture cromatiche sono architetture trasparenti e impalpabili che si sfrangiano sui fondi scuri e ocra, trasformandosi in sentieri nostalgici dell’anima e in fragili e inconsistenti lacerti di materia. Una poesia affine, nella comune ricerca del sublime e del mistico sentire della pittura è quella delle tele di Julio Martinez, che scavano sull’emozione dello sguardo e sui piani che si succedono vibranti alla ricerca di una muta e sobria oggettività della forma e di un effetto di infinito. Una passione profonda per il colore intenso e vibrante anima Martinez in una ricerca di spiritualità, di silenzio e di mistica contemplazione. A queste forme leggere, dai contorni indecisi e dalle impalpabili geografie si alternano, negli artisti di Sala XIII, sentimenti più forti e gestuali della materia pittorica. Carmen Belenguer utilizza ancora cromatismi chiari e leggeri incanalati, però, in segni più decisi e corporei, dove le velature, le linee e gli intrecci si rincorrono e si sovrappongono in un tentativo di armonia figurativa che, rivela, a volte, parvenze antropomorfiche. Ed è proprio il corpo con la sua irruente fisicità epidermica e carnale a parlare attraverso il desnudo femenino di Amaya Bozal, e il pigmento pittorico diventa nuda terra, impulso istintivo e primordiale, corporeità pura e ancestrale. Anche Eduardo Vega de Seoane possiede una visione dell’arte intensa e inquietante, come in Mirada e in Kamamura dove macchie dilatate e segni nebulosi danzano un’armonia spaziale e visiva. Sembra tornare l’energia trasgressiva del Grupo El Paso in questi lavori legati all’automatismo dell’inconscio e alla straordinaria dinamicità del gesto.
Da questa poetica più puramente rivolta al segno e all’invisibile si distanzia, invece, Carlos Vidal che instaura con lo spettatore una relazione soprattutto intellettuale, offrendogli– in una sorta di gioco o di rebus– una giustapposizione di elementi figurativi e simbolici che, attraverso quella che lui stesso chiama «ars combinatoria», dialogano in una composizione dall’esplicito contenuto inquietante, ironico e vagamente erotico. Anche Mariano de Blas presenta una propria personalissima iconografia misteriosa ed enigmatica, dove la connotazione simbolica della figura umana o di elementi naturali come l’albero o la pioggia si trasmette ai nostri occhi come immagine grafica da “leggere” anche sul piano estetico e letterario e, al tempo stesso, come apparizione immaginata e sognata sulle tracce della pittura. In questa ricerca personale, biografica e intellettuale che porta la pittura di “forma” e di segno in una dimensione simbolica e semiotica, emerge, infine, Luis Moro che, con grande consapevolezza tecnica e culturale, ci rivela il suo immaginario colto e poetico respingendo l’ordine della rappresentazione quanto quello dell’astrazione, in nome di una soggettività densa di rimandi e carica di intensità. Sul supporto bianco della carta, i suoi cavalli da scacchiera vivono in una dimensione trasfigurata, onirica e informe, lasciandoci intravedere una via di passaggio verso l’assoluto.
Fiorella Nicosia
Gli artisti de Il Paso si contraddistinguono per l’incidenza segnica e la vitalità materica, componenti per le quali il gruppo ha tratto origine dalla tradizione nazionale, ma che ha alimentato con le moderne tendenze informali francesi e nordamericane del Tachisme e dell’Action Painting, di Fautrier, Dubuffet, Wols, Mathieu, Stael o di Pollock e Rothko.
«E sulla strada tracciata da questi padri e modelli “storici”», spiega Fiorella Nicosia nel testo critico del catalogo, « sembrano essersi incamminati i “passi” degli artisti della Galleria spagnola Sala XIII introdotti simbolicamente dal trait d’union di una Composicion di Rafael Canogar del 1968, che abbandona definitivamente l’informale per giungere ad una pittura di contenuti sociali e politici, di più urgente attualità e di più diretta comunicazione estetica».
In mostra sono esposte anche una ventina di opere provenienti dalla Galleria Sala XIII di Madrid: Carmen Belenguer, Mariano de Blas, Amaya Bozal, Sanz Antonio de la Fuente, Edoardo Vega de Seoane, Julio Martinez, Luis Moro e Carlos Vidal. I dipinti, prevalentemente dalle grande dimensioni e dal forte impatto materico, dialogano tra loro, ora spinti da una componente poetica e spirituale, ora dall’ energico tratto informale, denso di cromatismo e costruzione architettonica.
Il catalogo, edito da Polistampa, è introdotto dai testi critici di Enrico Crispolti e Fiorella Nicosia.
[…] ¿Qué va a saltar de aquì, qué a suceder,
qué a reventar de estos violentos espantajos,
qué a tumbar esta ciega, andrajosa corambre
cuando rompa sus hilos, haga morder de sùbito
sus abiertas costuras, ilumine sus negros,
sus nimios y sus calcios de un resplandor rasante,
capaz de hacer parir la màs nueva hermosura? […]
Rafael Alberti
[…] Cosa uscirà da qui, cosa succederà,
cosa schizzerà fuori da questi violenti spauracchi,
cosa farà cadere questo cieco, cencioso pellame
quando rompa i suoi fili, consumi di colpo
le sue aperte cuciture, illumini i suoi neri,
i suoi insignificanti, i suoi calci con un bagliore radente,
capace di far partorire la più nuova bellezza? […]
R. Alberti scrisse questa poesia a Roma nel 1965, ispirandosi alle tele di Manuel Millares
Sempre le avanguardie aprono la strada, avanzano spavalde, osano, rischiano, rompono il ritmo e il procedere normale, marciano davanti in una guerra sconosciuta, sentono che è giunto il momento di rompere le righe della tradizione. Le diverse avanguardie artistiche del Novecento hanno avuto ragione di esistere perché hanno intuito, indicato e seguito un cambiamento, provocando una rottura della continuità e sperimentando un linguaggio che andava oltre le affermazioni del passato, sono andate a capo dopo un punto fermo rappresentato dalla cosiddetta «unità spirituale e culturale dell’Ottocento».
Le manifestazioni artistiche raccolte sotto la definizione generalizzata di «Informale» facevano un passo ancora in avanti rispetto alle avanguardie storiche, tentavano di ricostituire una “nuova bellezza” rifiutando la forma, la rappresentazione, la razionalità e l’immagine precostituita del pensiero. L’«informe», secondo la nota definizione di Bataille, dunque, sceglie la materia, il «basso materialismo» come nuovo inizio e, attraverso la gestualità e l’azione, spoglia l’arte di ogni orpello, azzerando qualsiasi tentazione narrativa, rappresentativa o realista, inseguendo la poesia dell’assenza e della traccia, la fisicità del segno e la magia dell’invisibile e dell’irrazionale. Ed è dal dolore della guerra e dall’orrore della materia bruciata, delle città distrutte, dei corpi martoriati che nasce la ricerca di una nuova estetica, di una nuova bellezza che possa far rinascere la vita dalla morte, una forma significante dall’informe della storia. Così la volontà di cambiamento e di rottura, il desiderio di segnare una traccia indelebile sull’epidermide dell’esistenza, la necessità di un’arte che lasci cicatrici.
Così anche il Grupo El Paso– costituitosi a Madrid nel febbraio del 1957 con un manifesto programmatico e una prima mostra nell’aprile dello stesso anno presso la galleria Buchholz– aveva voluto “rinvigorire” l’arte spagnola che, nel dopoguerra, sembrava aver dimenticato i diversi germi dell’avanguardia emersi durante gli anni Venti e Trenta, rimanendo ferma e immobile in un’«aguda crisis» e su posizioni passatiste, ad eccezione di alcuni gruppi come il catalano Dau al Set da cui emerse il grande Antoni Tàpies, il Grupo Portico o la Scuola di Altamira legati, però, ancora ad un estetica per lo più figurativista, surrealista o astrattista.
In una Spagna degli anni Cinquanta, convalescente dalla guerra e asfissiata da un regime dittatoriale, era necessario ricostruire il panorama della cultura artistica nazionale e ritrovare un’identità riconoscibile come tipicamente spagnola, per permettere anche lo sviluppo di un valore sul mercato internazionale, mantenendo, nel contempo, un’armonico compromesso con l’idea nazionalista e modernista di Franco. La strada verso una credibile individualità iberica poteva essere, paradossalmente, quella del Barocco e della tradizione, dei miti iberici della religione e della morte, esemplificati, pertanto, nella violenza e nella crudezza espressiva, nella scura esasperazione di Zurbaran o di El Greco, fino ai drammatici contrasti di luce e tenebra di Goya.
I giovani artisti Rafael Canogar, Luis Feito, Juana Francés, Manuel Millares, Antonio Saura, Pablo Serrano, Antonio Suárez, e i critici Manuel Conde e José Ayllón costituirono la prima formazione di El Paso (Il Passo) fin dai loro primi contatti nel 1955, mentre negli anni seguenti si unirono al gruppo Manuel Rivera, lo scultore Martín Chirino e Manuel Viola, l’artista più anziano. Tutti erano consapevoli di iniziare un nuovo capitolo della storia dell’arte spagnola, seppure partendo da posizioni individuali e stilisticamente diverse: dalla figurazione stilizzata e geometrica di Suárez e Rivera, al cubismo di Feito, dall’espressionismo lirico di Francés, fino al surrealismo di Saura e alle suggestioni primitiviste di Millares e Chirino, entrambi provenienti dalle isole Canarie, dove si era formato il Gruppo L.A.D.A.C. (Los Arqueros Del Arte Contemporáneo) di tendenze surrealiste.
Il punto di incontro che rese El Paso un’esperienza singolare di “avanguardia” all’interno dell’ispirazione informalista, fu la volontà di «presentar una obra auténtica y libre, abierta a la experimentación», creando, pertanto, una poetica artistica che avesse radici nella tradizione nazionale ma aperta verso le moderne tendenze informali francesi e nordamericane del Tachisme e dell’Action Painting, quelle di Fautrier, Dubuffet, Wols, Mathieu, Stael o di Pollock, Rothko, Kline, Still e De Kooning.
El Paso si distinse, pertanto, dagli altri gruppi per questa posizione collettiva e consapevole di rinnovamento e di avanzamento, per questa chiara sintesi di un’identità aperta, moderna ma propriamente spagnola, per questo sentimento espressivo dell’informe e della violenza materica, dell’impasto del colore e dell’energia del segno. La padronanza prodigiosa e magica della materia fu il comune denominatore tra questi artisti, che giocavano con i contrasti tra materiali e supporti, tra violenza del colore e rilievo scultoreo, tra silenzio e azione, tra lirica purezza delle linee e concretezza metallica delle superfici, tra dramma, cicatrici e melanconia.
Molta strada avevano già fatto quegli artisti dopo la famosa I Biennale Ispanoamericana di Barcellona del 1951 che aveva influenzato il loro immaginario guidandolo verso l’astrazione espressionista e verso l’informe. Presto, dopo l’esordio madrileno del 1957, arrivarono alla loro prima esposizione importante al Colegio Mayor San Pablo a Madrid nel 1958 e poi al padiglione spagnolo della Biennale Veneziana. In seguito ad un largo consenso critico e di pubblico, gli artisti di El Paso, dopo un’altra mostra alla Galeria Biosca di Madrid nel 1959, sentirono che il loro percorso insieme era giunto alla fine e che bisognava congedarsi dal pubblico con un’ultima mostra e una «Ultima Cominicaciòn firmada collectivamente». La mostra fu quella ormai famosa che segnò la fine di un’esperienza, organizzata in Italia, presso la Galleria L’Attico di Roma, nel 1960, mentre il manifesto di chiusura si collegava strettamente a quello del 1957, di cui ricalcava i principi fondamentali e le conquiste raggiunte: Hemos combatido la apatìa. Hemos atacado a una critica que, salvo raras excepciones, se mantenìa hueca e inoperante. Hemos denunciado una situaciòn insostenibile y se ha contribuido a la afirmaciòn de una pintura que responde a nuestar propuesta de abertura hacia las corrientes universales y a la recuperaciòn de ciertas constantes españolas.
La cartella litografica qui presentata, che risale all’agosto del 1960, quando già il gruppo si era sciolto durante la mostra romana de L’Attico, ripropone la poetica del segno e la presenza materica ed energica di alcuni dei più importanti artisti di El Paso: Canogar, Chirino, Millares, Rivera, Saura e Viola, che qui sembrano più che mai uniformi e solidali, come in un estremo e tematico canto corale dopo le individuali variazioni degli anni precedenti. E sulla strada tracciata da questi padri e modelli “storici” sembrano essersi incamminati i “passi” degli artisti della Galleria spagnola Sala XIII introdotti simbolicamente dal trait d’union di una Composicion di Rafael Canogar del 1968, che abbandona definitivamente l’informale per giungere ad una pittura di contenuti sociali e politici, di più urgente attualità e di più diretta comunicazione estetica.
La vitalistica materia esaltata e celebrata nelle tele degli artisti di El Paso diventa delicata e trascendente poesia ed eleganza spirituale e formale negli artisti di Sala XIII Arte Actual di Torrelodones (Madrid), come ad esempio Antonio Sanz de la Fuente che nel suo stratificare terroso e geometrico ricama una gabbia fantastica e lirica, come una trama intima e religiosa del suo più profondo sentimento. Le sue campiture cromatiche sono architetture trasparenti e impalpabili che si sfrangiano sui fondi scuri e ocra, trasformandosi in sentieri nostalgici dell’anima e in fragili e inconsistenti lacerti di materia. Una poesia affine, nella comune ricerca del sublime e del mistico sentire della pittura è quella delle tele di Julio Martinez, che scavano sull’emozione dello sguardo e sui piani che si succedono vibranti alla ricerca di una muta e sobria oggettività della forma e di un effetto di infinito. Una passione profonda per il colore intenso e vibrante anima Martinez in una ricerca di spiritualità, di silenzio e di mistica contemplazione. A queste forme leggere, dai contorni indecisi e dalle impalpabili geografie si alternano, negli artisti di Sala XIII, sentimenti più forti e gestuali della materia pittorica. Carmen Belenguer utilizza ancora cromatismi chiari e leggeri incanalati, però, in segni più decisi e corporei, dove le velature, le linee e gli intrecci si rincorrono e si sovrappongono in un tentativo di armonia figurativa che, rivela, a volte, parvenze antropomorfiche. Ed è proprio il corpo con la sua irruente fisicità epidermica e carnale a parlare attraverso il desnudo femenino di Amaya Bozal, e il pigmento pittorico diventa nuda terra, impulso istintivo e primordiale, corporeità pura e ancestrale. Anche Eduardo Vega de Seoane possiede una visione dell’arte intensa e inquietante, come in Mirada e in Kamamura dove macchie dilatate e segni nebulosi danzano un’armonia spaziale e visiva. Sembra tornare l’energia trasgressiva del Grupo El Paso in questi lavori legati all’automatismo dell’inconscio e alla straordinaria dinamicità del gesto.
Da questa poetica più puramente rivolta al segno e all’invisibile si distanzia, invece, Carlos Vidal che instaura con lo spettatore una relazione soprattutto intellettuale, offrendogli– in una sorta di gioco o di rebus– una giustapposizione di elementi figurativi e simbolici che, attraverso quella che lui stesso chiama «ars combinatoria», dialogano in una composizione dall’esplicito contenuto inquietante, ironico e vagamente erotico. Anche Mariano de Blas presenta una propria personalissima iconografia misteriosa ed enigmatica, dove la connotazione simbolica della figura umana o di elementi naturali come l’albero o la pioggia si trasmette ai nostri occhi come immagine grafica da “leggere” anche sul piano estetico e letterario e, al tempo stesso, come apparizione immaginata e sognata sulle tracce della pittura. In questa ricerca personale, biografica e intellettuale che porta la pittura di “forma” e di segno in una dimensione simbolica e semiotica, emerge, infine, Luis Moro che, con grande consapevolezza tecnica e culturale, ci rivela il suo immaginario colto e poetico respingendo l’ordine della rappresentazione quanto quello dell’astrazione, in nome di una soggettività densa di rimandi e carica di intensità. Sul supporto bianco della carta, i suoi cavalli da scacchiera vivono in una dimensione trasfigurata, onirica e informe, lasciandoci intravedere una via di passaggio verso l’assoluto.
Fiorella Nicosia
25
giugno 2004
Nueva hermosura
Dal 25 giugno al 05 settembre 2004
disegno e grafica
Location
ALLEGRI SPAZIO ARTE
Firenze, Borgo Allegri, 27/R, (Firenze)
Firenze, Borgo Allegri, 27/R, (Firenze)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì 16,00-19,00
Vernissage
25 Giugno 2004, ore 18,30