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Ciro Palladino – Archeologia dell’anima
Tele simili a brune lastre metalliche, inasprite e segnate dal tempo. Palladino libera le sue opere dalle cornici e dona loro nuovo spessore: queste vengono incontro allo spettatore pronte a sedurlo ed affascinarlo.
Comunicato stampa
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“Un lampo di colore dimensiona le ombre ed i silenzi, attraversando un universo di manipolazioni in bianco/nero dove forme geometriche brillano in tutta la loro elegante perfezione.
Tele simili a brune lastre metalliche, inasprite e segnate dal tempo. Palladino libera le sue opere dalle cornici e dona loro nuovo spessore: queste vengono incontro allo spettatore pronte a sedurlo ed affascinarlo. La tela avvolge il quadro e lo veste: il dipinto, privo di confini, tende ad espandersi e nel tempo ad attirare in sé quanto lo circonda.”
Maurizio Sciaccaluga mitologie
Cortocircuito continuo tra fondo e primo piano, tra forma e colore, tra astrazione e figurazione, addirittura tra passato e presente, la ricerca di Ciro Palladino è basata su un’elettrica e costante frizione degli opposti.
Vive di scontri, di legami difficili, di un equilibrio delicatissimo e quasi irreale. Si basa sulla contraddizione, sullo scarto, sull’elemento sorpresa. Sotto qualsiasi segno o assunto si vogliano codificare le creazioni dell’artista, in ambito informale o narrativo, lirico o citazionista, in ogni opera c’è sempre qualcosa che non si può inquadrare, che canta fuori dal coro, tradisce la melodia e adotta un registro diverso e più alto. Qualcosa che lo spettatore non si aspetterebbe di vedere, e che viola un insieme altrimenti perfetto e compiuto. Ma che violandolo e forzandolo gli dà anche quella vibrazione inaspettata che lo rende curioso, originale, ipnotico. Che lo rende mai scontato. Se in un’equilibratissima campitura oro, ritmata dalle pennellate orizzontali del grigio e del bruno, studiata sugli stili antichi, si potrebbero rivedere le perfezioni dei decori orientali, le delicatezze delle miniature persiane, ecco che la composizione finisce per proporre al centro due figure monocrome, coricate una sull’altra, assolutamente fuori contesto e stilisticamente incompatibili col resto. Che danno all’immagine finale un gusto proibito, il sapore acre di un amplesso spiato e rubato. Se un quadro tutto giocato sulla contrapposizione per linee orizzontali di superfici bianche e nere probabilmente evocherebbe il geometrismo assoluto e razionalista del concretismo, ecco apparire come per magia dal buio del colore più tetro un viso accorato, assorto, di matrice classica, a scardinare il tutto, a spiazzare lo spettatore. E a dare al rigore più freddo un gusto caldo, un senso di racconto mitologico improprio all’astrazione matematica. Se una tela è completamente organizzata sui toni scuri, sulla pennellata larga ed evidente, sulla consistenza materica della stesura cromatica – a riportare alla mente le conquiste della Transavanguardia, col suo carico di trasparenze e di figure brutalmente delineate – ecco che su un lato del quadro fa capolino un nudo di spalle, nitido e sensuale, preciso ed inequivocabile, degno assertore di una figurazione da terzo millennio. Un nudo che cita, spiazzando un contesto prettamente artistico, l’illustrazione, il fumetto, la pubblicità. In pratica, in ogni suo lavoro Palladino costruisce con grande precisione e consapevolezza una scena, un contesto, un ambiente per poi puntualmente tradirli con un’intromissione inaspettata e violenta. In ogni composizione realizza e assembla un crescendo di sensazioni univoche, indirizzate allo stesso obbiettivo, per poi sterzare all’improvviso la composizione verso un finale inatteso e sorprendente. Dove non ci dovrebbe essere narrazione, nei fondi solo scuri e puntinati, o nelle campiture rigidamente bicrome, inserisce volti passionali e poetici capaci di evocare miti e leggende, mentre nei pezzi in cui ci si attenderebbero vicende , scatti ed esplosioni, come nel lavoro col cuore al centro, pulsante, affoga il tutto in un mare di color petrolio che blocca e ammutolisce ogni fermento. Piuttosto che scegliere un genere, uno stile, l’artista ne fonde insieme più d’uno, e cerca il punto di stabilità tra queste unioni davvero inconsuete. Cerca di trovare un’intesa tra il respiro ampio, lento e rilassato dell’astrazione, abituata a discorsi assoluti, intenta a rintracciare la perfezione, e quello sincopato, fremente della figurazione, vogliosa di inseguire storie, di dar vita ad intrecci e romanzi. Coi suoi desideri e le sue ricerche di intrecci e commistioni Palladino raffredda la figurazione e riscalda l’astrazione , le costringe a convergere, obbliga campiture e personaggi a relazionarsi. E così toglie ad una e toglie all’altra: all’astrazione sottrae la voglia d’assoluto, la ricerca d’un equilibrio finale, alla figurazione leva quel gioco di vicende da quattro soldi che sempre accompagnano i romanzi d’appendice. In definitiva, elimina gli estremismi, le esagerazioni, le asperità e conserva il resto. Conserva alle figure il bisogno di ritagliarsi una storia, una leggenda, una vita, e conserva al colore ed alla campitura la capacità di evocare un sentimento, un’atmosfera, un momento; insieme, figure e colori nei quadri dell’autore vanno a creare il mito, vanno a generare immagini degne di un’epopea moderna ed antica allo stesso tempo, fatta di corpi nudi come quelli delle copertine dei settimanali e di ori trasparenti come quelli bizantini, di volti ovali quali quelli delle credenze più antiche e di bitumi solidi come gli elementi e le plastiche del tempo contemporaneo. Il lavoro di Palladino è esattamente questo: un tuffo in un nuovo mito. Un mito fatto, come tutti miti, di sogni e di verità, di ricordi e d’immaginazioni, di speranza e di paure.
Tele simili a brune lastre metalliche, inasprite e segnate dal tempo. Palladino libera le sue opere dalle cornici e dona loro nuovo spessore: queste vengono incontro allo spettatore pronte a sedurlo ed affascinarlo. La tela avvolge il quadro e lo veste: il dipinto, privo di confini, tende ad espandersi e nel tempo ad attirare in sé quanto lo circonda.”
Maurizio Sciaccaluga mitologie
Cortocircuito continuo tra fondo e primo piano, tra forma e colore, tra astrazione e figurazione, addirittura tra passato e presente, la ricerca di Ciro Palladino è basata su un’elettrica e costante frizione degli opposti.
Vive di scontri, di legami difficili, di un equilibrio delicatissimo e quasi irreale. Si basa sulla contraddizione, sullo scarto, sull’elemento sorpresa. Sotto qualsiasi segno o assunto si vogliano codificare le creazioni dell’artista, in ambito informale o narrativo, lirico o citazionista, in ogni opera c’è sempre qualcosa che non si può inquadrare, che canta fuori dal coro, tradisce la melodia e adotta un registro diverso e più alto. Qualcosa che lo spettatore non si aspetterebbe di vedere, e che viola un insieme altrimenti perfetto e compiuto. Ma che violandolo e forzandolo gli dà anche quella vibrazione inaspettata che lo rende curioso, originale, ipnotico. Che lo rende mai scontato. Se in un’equilibratissima campitura oro, ritmata dalle pennellate orizzontali del grigio e del bruno, studiata sugli stili antichi, si potrebbero rivedere le perfezioni dei decori orientali, le delicatezze delle miniature persiane, ecco che la composizione finisce per proporre al centro due figure monocrome, coricate una sull’altra, assolutamente fuori contesto e stilisticamente incompatibili col resto. Che danno all’immagine finale un gusto proibito, il sapore acre di un amplesso spiato e rubato. Se un quadro tutto giocato sulla contrapposizione per linee orizzontali di superfici bianche e nere probabilmente evocherebbe il geometrismo assoluto e razionalista del concretismo, ecco apparire come per magia dal buio del colore più tetro un viso accorato, assorto, di matrice classica, a scardinare il tutto, a spiazzare lo spettatore. E a dare al rigore più freddo un gusto caldo, un senso di racconto mitologico improprio all’astrazione matematica. Se una tela è completamente organizzata sui toni scuri, sulla pennellata larga ed evidente, sulla consistenza materica della stesura cromatica – a riportare alla mente le conquiste della Transavanguardia, col suo carico di trasparenze e di figure brutalmente delineate – ecco che su un lato del quadro fa capolino un nudo di spalle, nitido e sensuale, preciso ed inequivocabile, degno assertore di una figurazione da terzo millennio. Un nudo che cita, spiazzando un contesto prettamente artistico, l’illustrazione, il fumetto, la pubblicità. In pratica, in ogni suo lavoro Palladino costruisce con grande precisione e consapevolezza una scena, un contesto, un ambiente per poi puntualmente tradirli con un’intromissione inaspettata e violenta. In ogni composizione realizza e assembla un crescendo di sensazioni univoche, indirizzate allo stesso obbiettivo, per poi sterzare all’improvviso la composizione verso un finale inatteso e sorprendente. Dove non ci dovrebbe essere narrazione, nei fondi solo scuri e puntinati, o nelle campiture rigidamente bicrome, inserisce volti passionali e poetici capaci di evocare miti e leggende, mentre nei pezzi in cui ci si attenderebbero vicende , scatti ed esplosioni, come nel lavoro col cuore al centro, pulsante, affoga il tutto in un mare di color petrolio che blocca e ammutolisce ogni fermento. Piuttosto che scegliere un genere, uno stile, l’artista ne fonde insieme più d’uno, e cerca il punto di stabilità tra queste unioni davvero inconsuete. Cerca di trovare un’intesa tra il respiro ampio, lento e rilassato dell’astrazione, abituata a discorsi assoluti, intenta a rintracciare la perfezione, e quello sincopato, fremente della figurazione, vogliosa di inseguire storie, di dar vita ad intrecci e romanzi. Coi suoi desideri e le sue ricerche di intrecci e commistioni Palladino raffredda la figurazione e riscalda l’astrazione , le costringe a convergere, obbliga campiture e personaggi a relazionarsi. E così toglie ad una e toglie all’altra: all’astrazione sottrae la voglia d’assoluto, la ricerca d’un equilibrio finale, alla figurazione leva quel gioco di vicende da quattro soldi che sempre accompagnano i romanzi d’appendice. In definitiva, elimina gli estremismi, le esagerazioni, le asperità e conserva il resto. Conserva alle figure il bisogno di ritagliarsi una storia, una leggenda, una vita, e conserva al colore ed alla campitura la capacità di evocare un sentimento, un’atmosfera, un momento; insieme, figure e colori nei quadri dell’autore vanno a creare il mito, vanno a generare immagini degne di un’epopea moderna ed antica allo stesso tempo, fatta di corpi nudi come quelli delle copertine dei settimanali e di ori trasparenti come quelli bizantini, di volti ovali quali quelli delle credenze più antiche e di bitumi solidi come gli elementi e le plastiche del tempo contemporaneo. Il lavoro di Palladino è esattamente questo: un tuffo in un nuovo mito. Un mito fatto, come tutti miti, di sogni e di verità, di ricordi e d’immaginazioni, di speranza e di paure.
04
giugno 2004
Ciro Palladino – Archeologia dell’anima
Dal 04 al 25 giugno 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA L’ARTE
Molinella, Corso Giuseppe Mazzini, 160, (Bologna)
Molinella, Corso Giuseppe Mazzini, 160, (Bologna)
Orario di apertura
dalle 9:00 alle
12:30 e dalle 16:00 alle 19:30 tutti i giorni esclusa la domenica ed i
venerdì di giugno dalle 21:00 alle 24:00.
Vernissage
4 Giugno 2004, ore 21
Autore