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Franco Esse – Urban
Stampe fotografiche di grande formato dei bassi napoletani ormai abbattuti, per testimoniare e rappresentare spirito, opportunismo e sfacciataggine del popolo della strada…i bassi napoletani in scala 1 ad 1…immergersi in un mondo (s)conosciuto e rivelatore…la realtà in faccia. Riflessioni di Christian Costa.
Comunicato stampa
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Urban.l’indecente urbanità del popolo napoletano.
Rappresentare i bassi di napoli.
La fotografia mette a nudo, ri-vela (cristallizzando alcuni, tra le migliaia di sguardi che quotidianamente sprechiamo), ciò che è già sotto i nostri occhi, eppure non giunge alla nostra coscienza.
É capacità di ritagliare e porgere la realtà, rappresentandola come tale, o trasfigurandola in qualcosa d’altro.
Gli scatti di Franco Esse documentano qualcosa che persiste pur non esistendo più; colgono un’isoletta, un atollo mentre scompare, sommerso da altre culture e forme, forse solo apparentemente più “civili”, dell’arcipelago di appropriazioni indebite, fisiche come morali che caratterizza ogni “tipica” (categoria poco credibile in una città dove tutto cambia ed è in mutamento, nel persistere quasi eterno di schemi mentali e abitudini, culture) giornata napoletana. Foto di abitazioni ormai abbattute, che sono, tuttavia, vive e vegete non solo a causa del valore “eternizzante” del media fotografico, ma, soprattutto, perché assolutamente vitale rimane la cultura che le ha espresse. Scheletri di luoghi/oggetto la cui essenza profonda non viene intaccata dall’assenza, in quanto essi trovano la propria vera dimensione nella serialità che protegge ed unifica, preserva e rende categoria “pop” la banalità. La cultura e le tradizioni trovano la propria area di “senso” proprio attraverso il confronto con banalità e serialità.
La dinamica: schemi mentali immobili/realtà mutevole, così tipica dell’oggetto-napoli si esprime anche attraverso le case del popolo della strada, in cui modelli etico/estetici (e la sovrapposizione/equivalenza di forma esteriore e weltanschauung è un’altra caratteristica forte di questo mondo) che evolvono con lentezza disarmante si inverano in strutture fisiche progressive, a rischio, perennemente temporanee ma immediatamente immutabili. In un paese in cui anche i modelli precompilati sono “in prova” da quarant’anni, perpetuando l’instabilità del transitorio, creando una “realtà tremolante”, non stabile e certa, ma costantemente sul punto di cadere eppure divenuta ormai consuetudine, queste abitazioni danno forma al desiderio di casa, di spazio vitale, fagocitando brandelli di un luogo pur sempre comune, come sono le strade dei paesi mediterranei, reso, però, “più proprio” attraverso l’abuso.
Sopraffazione, sopravvivenza, parole vicine, con aree di senso comuni in un luogo dove modelli e forme greci quanto medievali, spagnoli quanto francesi, si perpetuano rendendo sempre attuale, nella carne della gente e della città, la sentenza mors tua vita mea, legge della disperazione metropolitana che in questi luoghi del mondo prende le sfumature della regola antica, quasi della tradizione, in cui sentire un’eco di storie passate.
E poi la fantasia anarchica del kitsch napoletano, che trova un rifugio all’angoscia della morte in una lunga teoria di ninnoli, cristalli, soprammobili, santini, madonnine in plastica, oggetti in ceramica-oro-argento, padri pii fosforescenti, immagini devote, bomboniere, cornetti, cristi con occhi mobili, dentro le viscere delle abitazioni, e marmi, mattonelle dai colori più improbabili, cancellate in ferro battuto, mattoni e fregi, stucchi e statuette, colonne e timpani, fuori. Ogni basso esprime la propria carica vitale, propulsiva, in queste protrusioni e(ste)tiche che invadono, costruendoci sopra, il suolo pubblico, vera esplosione ornamentale, biglietto da visita d’ogni nucleo familiare. A napoli l’arte non lascia mai indifferenti, anche quella contemporanea (vedi le scritte sulla scultura di Serra o il furto dei teschietti bronzei di Rebecca Horn), e anche l’architettura, qui, si conserva viva rimanendo linguaggio comune, inteso da tutti e a tutti accessibile. Queste strutture
parlano , mostrando un mondo, e
rispondono , al vicino, al rivale, al passante. In questa città in cui l’individualismo è l’unica regola comune, ognuno cerca di testimoniare ed affermare se stesso attraverso qualunque media possibile, anche quello, apparentemente troppo selettivo economicamente, dell’architettura. Non edilizia, ma architettura, poiché qui ogni dettaglio è quantomai indicativo e scelto con attenzione, quasi
ad arte.
Christian Costa
Rappresentare i bassi di napoli.
La fotografia mette a nudo, ri-vela (cristallizzando alcuni, tra le migliaia di sguardi che quotidianamente sprechiamo), ciò che è già sotto i nostri occhi, eppure non giunge alla nostra coscienza.
É capacità di ritagliare e porgere la realtà, rappresentandola come tale, o trasfigurandola in qualcosa d’altro.
Gli scatti di Franco Esse documentano qualcosa che persiste pur non esistendo più; colgono un’isoletta, un atollo mentre scompare, sommerso da altre culture e forme, forse solo apparentemente più “civili”, dell’arcipelago di appropriazioni indebite, fisiche come morali che caratterizza ogni “tipica” (categoria poco credibile in una città dove tutto cambia ed è in mutamento, nel persistere quasi eterno di schemi mentali e abitudini, culture) giornata napoletana. Foto di abitazioni ormai abbattute, che sono, tuttavia, vive e vegete non solo a causa del valore “eternizzante” del media fotografico, ma, soprattutto, perché assolutamente vitale rimane la cultura che le ha espresse. Scheletri di luoghi/oggetto la cui essenza profonda non viene intaccata dall’assenza, in quanto essi trovano la propria vera dimensione nella serialità che protegge ed unifica, preserva e rende categoria “pop” la banalità. La cultura e le tradizioni trovano la propria area di “senso” proprio attraverso il confronto con banalità e serialità.
La dinamica: schemi mentali immobili/realtà mutevole, così tipica dell’oggetto-napoli si esprime anche attraverso le case del popolo della strada, in cui modelli etico/estetici (e la sovrapposizione/equivalenza di forma esteriore e weltanschauung è un’altra caratteristica forte di questo mondo) che evolvono con lentezza disarmante si inverano in strutture fisiche progressive, a rischio, perennemente temporanee ma immediatamente immutabili. In un paese in cui anche i modelli precompilati sono “in prova” da quarant’anni, perpetuando l’instabilità del transitorio, creando una “realtà tremolante”, non stabile e certa, ma costantemente sul punto di cadere eppure divenuta ormai consuetudine, queste abitazioni danno forma al desiderio di casa, di spazio vitale, fagocitando brandelli di un luogo pur sempre comune, come sono le strade dei paesi mediterranei, reso, però, “più proprio” attraverso l’abuso.
Sopraffazione, sopravvivenza, parole vicine, con aree di senso comuni in un luogo dove modelli e forme greci quanto medievali, spagnoli quanto francesi, si perpetuano rendendo sempre attuale, nella carne della gente e della città, la sentenza mors tua vita mea, legge della disperazione metropolitana che in questi luoghi del mondo prende le sfumature della regola antica, quasi della tradizione, in cui sentire un’eco di storie passate.
E poi la fantasia anarchica del kitsch napoletano, che trova un rifugio all’angoscia della morte in una lunga teoria di ninnoli, cristalli, soprammobili, santini, madonnine in plastica, oggetti in ceramica-oro-argento, padri pii fosforescenti, immagini devote, bomboniere, cornetti, cristi con occhi mobili, dentro le viscere delle abitazioni, e marmi, mattonelle dai colori più improbabili, cancellate in ferro battuto, mattoni e fregi, stucchi e statuette, colonne e timpani, fuori. Ogni basso esprime la propria carica vitale, propulsiva, in queste protrusioni e(ste)tiche che invadono, costruendoci sopra, il suolo pubblico, vera esplosione ornamentale, biglietto da visita d’ogni nucleo familiare. A napoli l’arte non lascia mai indifferenti, anche quella contemporanea (vedi le scritte sulla scultura di Serra o il furto dei teschietti bronzei di Rebecca Horn), e anche l’architettura, qui, si conserva viva rimanendo linguaggio comune, inteso da tutti e a tutti accessibile. Queste strutture
parlano , mostrando un mondo, e
rispondono , al vicino, al rivale, al passante. In questa città in cui l’individualismo è l’unica regola comune, ognuno cerca di testimoniare ed affermare se stesso attraverso qualunque media possibile, anche quello, apparentemente troppo selettivo economicamente, dell’architettura. Non edilizia, ma architettura, poiché qui ogni dettaglio è quantomai indicativo e scelto con attenzione, quasi
ad arte.
Christian Costa
28
maggio 2004
Franco Esse – Urban
Dal 28 maggio al 03 giugno 2004
arte contemporanea
Location
ARTGARAGE
Pozzuoli, Via Solfatara, (Napoli)
Pozzuoli, Via Solfatara, (Napoli)
Orario di apertura
dalle 22:00 in poi
Sito web
www.containerart.it