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L’ultimo Scialoja
Una mostra incentrata sull’ultimo periodo del pittore, quello compreso tra il 1982 e l’anno della morte.
Comunicato stampa
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"Tornare al gesto, al gesto unico, al grande gesto automatico che annulli la negazione, che annulli l'altro da sè - la prigione....Tornare a una pittura che valga come finale scancellazione dell'inerte", scriveva Scialoja sul "Giornale" nel 1979, mentre la sua opera si popolava di fremiti e irregolarità, nella duplice esigenza di rigore e libertà.
Sono passati due anni dalla retrospettiva di Palazzo dei Diamanti a Ferrara, a cura di Fabrizio D'Amico, ma a Roma, città natale di Toti Scialoja, l'ultima mostra risale al 1991 quando la Galleria Nazionale d'Arte Moderna organizzò una importante antologica che comprendeva opere dal 1940 al 1991.
La Galleria Edieuropa, sempre molto attenta al lavoro del Maestro (si ricordano le personali del 1969, 1978, 1986 e 1992), dal 9 maggio al 9 luglio 2004, ospita la mostra "L'ultimo Scialoja - 1982-1998", una scelta di opere ultime, dalle carte intelate ad alcune grandi tele, complessivamente circa quaranta opere che vanno dal 1982 al 1998.
Una pittura nuova, fortemente incentrata sulla voglia di ritrovare la libertà smarrita, attraverso il ritorno alla luce piena, splendida e assoluta, alla materia, non più guardata con sospetto, e quindi restituita ad una vita sua piena. Il nuovo Scialoja non ha bisogno di asserire univoche certezze, ma ha urgenza di dar figura alla molteplice e fuggente forma della vita.
La mostra
Le opere esposte, circa quaranta, si riferiscono alla produzione dal 1982 al 1998, periodo in cui si riscontra "una conversione decisiva della pittura di Scialoja, conversione legata ad un viaggio fatto a Madrid nel 1982 e all'incontro con il Goya della "Quinta del Sordo". Nasce una pittura senza remore, finalmente libera dai dubbi paralizzanti che l'avevano toccata dalla metà degli anni Sessanta", scrive nel testo in catalogo Fabrizio D'Amico.
L'artista torna ad impadronirsi degli "atti elementari della pittura": la luce e la materia; la nozione di luce sarà, dopo una lunga permanenza in Sicilia, a Gibellina, nel 1985, elemento decisivo di distanza rispetto alla sua pittura più antica; la luce farà parte non rinunciabile della nuova immagine di Scialoja, "luce come bagliore, come lampo attuale, come rivelazione drammatica". Sono anni di pittura intensa, frequente, felice.
"Questo tempo di Scialoja" prosegue D'Amico "ha una forte coesione interna, ma anche una sua energia centrifuga, che s'è data forse a contraltare della sorvegliatezza estrema del precedente decennio. Il nuovo Scialoja sente di poter possedere unite quelle vocazioni di pittura che si dettero in lui, una volta, disgiunte".
Una luce nuova, appare nell'ultima produzione, capace di pienezza, splendore e assolutezza nuovi, cui si affianca un colore che è talora squillante, clamoroso, talvolta, scemato d'orgoglio, sopisce incantato in accordi lenti e dolcissimi di tono. Torna la materia, canapa grezza in grumi e concrezioni, corrusca e luminosa, guardata con sospetto nel tempo passato, ora libera da remore e paure, torna in questa sua colma stagione con nuova confidenza,
cogliendo e rappresentando l'ampio spettro di possibilità espressive.
La vita
Toti Scialoja (Roma 1914-1998) è stato per oltre mezzo secolo personalità di primissimo piano della vita artistica e culturale romana e italiana, contribuendo, come pochi altri, a sprovincializzarla, donandole una dimensione realmente internazionale. Importante esponente dell'astrattismo europeo, grande poeta ("colui che con precisione mescola invisibilmente le carte del sogno e quelle della vita" scriveva Giovanni Raboni), critico d'arte, scenografo, autore di teatro, illustratore, scrittore, docente all'Accademia di Belle Arti di Roma, giovanissimo, nel 1939, espone alla Quadriennale d'Arte di Roma; è fondatore, insieme a Ciarrocchi, Sadun e Stradone, del gruppo dei "quattro artisti fuoristrada"; padre della
particolare tecnica dello "stampaggio" con la quale dà figura alle "impronte", una delle forme maggiori dell'arte astratta europea dei tardi anni Cinquanta e Sessanta. Un primo riscontro complessivo sulla sua opera arrivò nel 1977 al Palazzo della Pilotta di Parma, dove oltre duecento opere ne avevano documentato l'opera dagli esordi agli anni più recenti; ma la prima antologica che può stringere assieme il lavoro delle due grandi stagioni del "gesto" di Scialoja, è quella curata da Giuseppe Appella e Gabriella Drudi al Museo Civico di Gibellina nel 1985, alla quale fanno seguito, fra le principali, le vaste antologiche della Galleria Civica di Modena del 1987 (Fabrizio D'Amico) e di Villa Reale a Monza nel 1988 (Paolo Biscottini), fino alla grande retrospettiva della Galleria Nazionale di Roma (Giovanna De Feo e Barbara Drudi), del 1991, anno in cui presso Leonardo-De Luca esce anche la monografia Toti Scialoja (Fabrizio D'Amico, Barbara Drudi).
Decisivo il viaggio a Madrid nel 1982 e l'incontro con il Goya della "Quinta del Sordo" . Fu lì, sosteneva il Maestro, che ritrovò la necessità, e la liceità, di una pittura data senza remore e spavento, finalmente libera dai dubbi paralizzanti che l'avevano toccata dalla metà degli anni Sessanta. Fu lì
che quel che aveva nominato "l'assoluto ritmico" (il rendere visibile sulla superficie, attraverso la inemotiva, concettualizzata esperienza delle quantità cromatiche disposte paratatticamente sulla tela, lo scorrere del tempo della nostra esperienza) si svelò come un demone non più totalizzante. In realtà, la voglia di ritrovare la libertà smarrita (allontanata da sé quasi a forza, per tema di gratuità) era da tempo latente: nel '79, in una densa serie di acquarelli, castamente ristretti ai toni dell'azzurro e del grigio, le esili ascisse del tempo, allungate come trepidi fantasmi sulla pagina pittorica, avevano trovato, sulla carta, fremiti e irregolarità a lungo interdette, ed ora quasi a stento trattenute. Quell'anno stesso, e ancora il successivo, una teoria notevole di collages, composti di ritagli di carte sui quali la pittura s'è depositata in affanno e che solo in un secondo momento il taglio delle forbici ha costretto nella severa regola della geometria, indicano la compresenza d'una duplice esigenza di rigore e di libertà.
La vicenda espositiva dell'ultima sua stagione inizia alla Biennale veneziana del 1984 ove, introdotto da Lorenza Trucchi, presenta sei grandi dipinti del 1983; quindi prosegue in molte personali e collettive, in Italia e all'estero, particolarmente attente proprio a questo suo ultimo lavoro.
Sono passati due anni dalla retrospettiva di Palazzo dei Diamanti a Ferrara, a cura di Fabrizio D'Amico, ma a Roma, città natale di Toti Scialoja, l'ultima mostra risale al 1991 quando la Galleria Nazionale d'Arte Moderna organizzò una importante antologica che comprendeva opere dal 1940 al 1991.
La Galleria Edieuropa, sempre molto attenta al lavoro del Maestro (si ricordano le personali del 1969, 1978, 1986 e 1992), dal 9 maggio al 9 luglio 2004, ospita la mostra "L'ultimo Scialoja - 1982-1998", una scelta di opere ultime, dalle carte intelate ad alcune grandi tele, complessivamente circa quaranta opere che vanno dal 1982 al 1998.
Una pittura nuova, fortemente incentrata sulla voglia di ritrovare la libertà smarrita, attraverso il ritorno alla luce piena, splendida e assoluta, alla materia, non più guardata con sospetto, e quindi restituita ad una vita sua piena. Il nuovo Scialoja non ha bisogno di asserire univoche certezze, ma ha urgenza di dar figura alla molteplice e fuggente forma della vita.
La mostra
Le opere esposte, circa quaranta, si riferiscono alla produzione dal 1982 al 1998, periodo in cui si riscontra "una conversione decisiva della pittura di Scialoja, conversione legata ad un viaggio fatto a Madrid nel 1982 e all'incontro con il Goya della "Quinta del Sordo". Nasce una pittura senza remore, finalmente libera dai dubbi paralizzanti che l'avevano toccata dalla metà degli anni Sessanta", scrive nel testo in catalogo Fabrizio D'Amico.
L'artista torna ad impadronirsi degli "atti elementari della pittura": la luce e la materia; la nozione di luce sarà, dopo una lunga permanenza in Sicilia, a Gibellina, nel 1985, elemento decisivo di distanza rispetto alla sua pittura più antica; la luce farà parte non rinunciabile della nuova immagine di Scialoja, "luce come bagliore, come lampo attuale, come rivelazione drammatica". Sono anni di pittura intensa, frequente, felice.
"Questo tempo di Scialoja" prosegue D'Amico "ha una forte coesione interna, ma anche una sua energia centrifuga, che s'è data forse a contraltare della sorvegliatezza estrema del precedente decennio. Il nuovo Scialoja sente di poter possedere unite quelle vocazioni di pittura che si dettero in lui, una volta, disgiunte".
Una luce nuova, appare nell'ultima produzione, capace di pienezza, splendore e assolutezza nuovi, cui si affianca un colore che è talora squillante, clamoroso, talvolta, scemato d'orgoglio, sopisce incantato in accordi lenti e dolcissimi di tono. Torna la materia, canapa grezza in grumi e concrezioni, corrusca e luminosa, guardata con sospetto nel tempo passato, ora libera da remore e paure, torna in questa sua colma stagione con nuova confidenza,
cogliendo e rappresentando l'ampio spettro di possibilità espressive.
La vita
Toti Scialoja (Roma 1914-1998) è stato per oltre mezzo secolo personalità di primissimo piano della vita artistica e culturale romana e italiana, contribuendo, come pochi altri, a sprovincializzarla, donandole una dimensione realmente internazionale. Importante esponente dell'astrattismo europeo, grande poeta ("colui che con precisione mescola invisibilmente le carte del sogno e quelle della vita" scriveva Giovanni Raboni), critico d'arte, scenografo, autore di teatro, illustratore, scrittore, docente all'Accademia di Belle Arti di Roma, giovanissimo, nel 1939, espone alla Quadriennale d'Arte di Roma; è fondatore, insieme a Ciarrocchi, Sadun e Stradone, del gruppo dei "quattro artisti fuoristrada"; padre della
particolare tecnica dello "stampaggio" con la quale dà figura alle "impronte", una delle forme maggiori dell'arte astratta europea dei tardi anni Cinquanta e Sessanta. Un primo riscontro complessivo sulla sua opera arrivò nel 1977 al Palazzo della Pilotta di Parma, dove oltre duecento opere ne avevano documentato l'opera dagli esordi agli anni più recenti; ma la prima antologica che può stringere assieme il lavoro delle due grandi stagioni del "gesto" di Scialoja, è quella curata da Giuseppe Appella e Gabriella Drudi al Museo Civico di Gibellina nel 1985, alla quale fanno seguito, fra le principali, le vaste antologiche della Galleria Civica di Modena del 1987 (Fabrizio D'Amico) e di Villa Reale a Monza nel 1988 (Paolo Biscottini), fino alla grande retrospettiva della Galleria Nazionale di Roma (Giovanna De Feo e Barbara Drudi), del 1991, anno in cui presso Leonardo-De Luca esce anche la monografia Toti Scialoja (Fabrizio D'Amico, Barbara Drudi).
Decisivo il viaggio a Madrid nel 1982 e l'incontro con il Goya della "Quinta del Sordo" . Fu lì, sosteneva il Maestro, che ritrovò la necessità, e la liceità, di una pittura data senza remore e spavento, finalmente libera dai dubbi paralizzanti che l'avevano toccata dalla metà degli anni Sessanta. Fu lì
che quel che aveva nominato "l'assoluto ritmico" (il rendere visibile sulla superficie, attraverso la inemotiva, concettualizzata esperienza delle quantità cromatiche disposte paratatticamente sulla tela, lo scorrere del tempo della nostra esperienza) si svelò come un demone non più totalizzante. In realtà, la voglia di ritrovare la libertà smarrita (allontanata da sé quasi a forza, per tema di gratuità) era da tempo latente: nel '79, in una densa serie di acquarelli, castamente ristretti ai toni dell'azzurro e del grigio, le esili ascisse del tempo, allungate come trepidi fantasmi sulla pagina pittorica, avevano trovato, sulla carta, fremiti e irregolarità a lungo interdette, ed ora quasi a stento trattenute. Quell'anno stesso, e ancora il successivo, una teoria notevole di collages, composti di ritagli di carte sui quali la pittura s'è depositata in affanno e che solo in un secondo momento il taglio delle forbici ha costretto nella severa regola della geometria, indicano la compresenza d'una duplice esigenza di rigore e di libertà.
La vicenda espositiva dell'ultima sua stagione inizia alla Biennale veneziana del 1984 ove, introdotto da Lorenza Trucchi, presenta sei grandi dipinti del 1983; quindi prosegue in molte personali e collettive, in Italia e all'estero, particolarmente attente proprio a questo suo ultimo lavoro.
09
maggio 2004
L’ultimo Scialoja
Dal 09 maggio al 09 luglio 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA EDIEUROPA
Roma, Piazza Cenci, 56, (Roma)
Roma, Piazza Cenci, 56, (Roma)
Orario di apertura
dalle 16 alle 20 - mattina e sabato solo per appuntamento - chiuso domenica e festivi
Vernissage
9 Maggio 2004, dalle ore 11,00 alle 14,00