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La sacralità del teatro la si lascia fuori, nell’antisala. Entrando si è accolti da una Viola Valentina a tutto volume. Della platea, del teatro, non c’è più niente. Solo. In un angolo. Sopra un piccolo palcoscenico improvvisato, accerchiato di poltrone che il mio vicino addita comode solo per chi pesa 54 kg, ci aspetta Lui. O forse è meglio dire Lei. Letizia Musso, interpretata dallo splendido Salvatore Nocera.
Le note di Comprami continuano, si fermano solo dopo che l’ultimo spettatore si è accomodato. E inizia Lei, con la sua storia confusa, fatta di richiami e memorie, citazioni di Sorrisi e Canzoni e voci di rione, modi di dire e stralci di biografie.
Lei che nell’immaginario collettivo è la classica donna del sud. Lei che si presenta trasandata con le ciabatte e una sottoveste nera, Lei che ascolta solo canzoni di genere amore, Lei che si è istruita leggendo i settimanali di gossip. Lei che nasce già rifiutata dalla mamma perché femmina, Lei che cresce con un padre muratore scomparso troppo presto, Lei che piange davanti all’indifferenza della madre. Lei che la domenica mattina cerca marito fuori dalla chiesa e lo seleziona solo con “un’occhiata lontana veloce”, che se diventa lunga sei considerata una ragazza facile. Lei che aspetta che il fidanzato le chieda la mano, che la sposi e che la metta incinta. Lei che viene abbandonata dal proprio sangue a causa del matrimonio, ripudiata dal paese per il trasferimento nella fredda Milano. Lei non più desiderata dal marito perché, ormai, routine.
La colonna sonora, rigorosamente anni ’80, detta le regole di questo intenso monologo. I piedi si muovono in cerca del ritmo e la bocca si apre per sostenere le note cantate da Giuni Russo. La musica è specchio dell’anima di Letizia, manifesta il suo inconscio, perché lei la ama, la musica, e canterebbe a squarciagola. Ma il regolamento va rispettato e la voce dei suoi miti non è più valvola di sfogo con la quale sognare il matrimonio che non è mai stato e fughe d’amore poco loquaci. No, la musica funge solo da accompagnamento, da incentivo per liberare il vero io di Letizia. Le note diventano mera colonna sonora della terapia di Letizia, la terapia della canzone, come la chiama lei.
Ma non funziona, perché le lacrime scrosciano ancora, il pulsante Pause è schiacciato troppe volte e la narrazione non è fluida, perché alla fine Letizia non è Lei. Non più o forse non lo è mai stata.
Alzarmi dalla poltrona, giusta giusta per i miei chili, risulta difficile. Lo spettacolo è finito e forse non ho capito. O forse ho capito, ma semplicemente vorrei che avesse una conclusione, un finale diverso. Avere una risposta ad una domanda che non ho fatto in tempo a formulare. Che Letizia Musso possa avere o essere una rivincita e anche una rinascita, e non una fine.
Andando a casa in bicicletta non mi resta che cantare Pupo, immaginando quello che Letizia ha sempre sognato, cercato ed intonato, ma non ha mai ricevuto. L’amore.
Giulia Alonzo
Dal 20 al 23 novembre 2014
Letizia Forever
Testo e Regia Rosario Palazzolo
Attore Salvatore Nocera
Teatro della Contraddizione
Via della Braida, 6 20122 Milano