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Alessandro La Motta – Prima che io bussassi
In questa serie di ultimi lavori, la sua azione pittorica sviluppa sulla tela – qualunque dimensione l’artista abbia scelto pur nella dominanza del quadrato – una ricercata serie di immagini, forme e relazioni.
Comunicato stampa
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La mostra presenta la produzione recente e ancora inedita dell’artista con oltre venti opere di medio e grande formato e altrettante di formato medio-piccolo.
Il catalogo è supportato da un testo critico di Daniela Del Moro ed una poesia di Dylan Thomas che scorre sotto le immagini(testi in allegato), sarà disponibile presso l'Editore Raffaelli e le Gallerie Rosini.
Le prime cento copie saranno poste in vendita con un’ opera originale dell’artista ad un prezzo eccezionale di € 30,00.
Alessandro La Motta
“…sotto l’armatura”
L’arte non è mai distruttiva. Si possono cancellare con una vernice bianca una miriade di segni sulla tela, ed essi non scompariranno, ma vivranno al di sotto di quella superficie, e saranno in qualche modo sulla superficie…
Questo per sottolineare che l’arte conosce e riconosce soprattutto ogni segno, ogni gesto che venga usato con intenzionalità nella costruzione di un’opera: nulla va perduto, tutto è scritto. In questo senso Alessandro La Motta non ha paura di raccogliere segni nelle sue tele, di sovrapporre colore o materia in una pittura che ritorna, oggi, ad un nuovo confronto con le sue origini. Contagiato dalla dominante informale naturalista propria della sua terra, ne apprende le tecniche e le rielabora privilegiando materia e colore, senza mai separarle da un confronto visivo e concettuale con l’altra grande passione per il mondo della poesia, della scrittura, che “gestualmente” viene dipinta sovrapponendo idee, ricordi, sentimenti.
Questa assoluta ricerca lo porta dunque a “riempire” lo spazio, ad allontanare quell’horror vacui che può venire dalla pratica minimalista della contemplazione, a stratificare cumuli di informazioni visive, senza la preoccupazione di un rumore di fondo eccessivo, soverchiante.
L’arte può anche essere il contrario dell’informazione: può, cioè, aspettare a darsi, celarsi dietro una corazza, una leggera e lucente armatura, e rivelarsi ad esempio attraverso la forma metaforica dell’arabesco – e non quella informativa della freccia – o nel movimento apparente di un profilo o ancora nello sguardo abbassato di un volto.
Quindi, per il linguaggio dell’arte, non c’è fretta. A questa però si sostituisce spesso la voglia di dire, di raccontare senza tralasciare nulla, senza nulla dimenticare, omaggiando le memoria dell’arte e dell’anima: La Motta appartiene a questo tipo di artisti.
In questa serie di ultimi lavori, la sua azione pittorica sviluppa sulla tela - qualunque dimensione l’artista abbia scelto pur nella dominanza del quadrato – una ricercata serie di immagini, forme e relazioni, nessuna delle quali va perduta nell’osservazione di un altro “segno”, anzi contribuisce ad aumentare la complessità visiva e la ricerca di riconoscimenti concettuali dell’opera. Così avvolti da simboli, figure ed espressioni, cerchiamo anche nell’arte di La Motta alcuni punti fermi, dei nuclei interpretativi che riconducono ad una ragione o forse a un sentimento: la pittura, la sua ricerca dell’anima, elabora una dimensione espressiva che nasconde il soggetto agente e privilegia ancora il linguaggio, che vela il sé e svela il mondo.
In questo senso vanno considerati i suoi cicli pittorici, che rispondono in continuo apprendimento alle sollecitazioni del mondo, trovando nel medium espressivo della pittura, i modi più felici e disinvolti dell’espressione artistica. Anche se la disinvoltura del fare è vicina alla leggerezza, a quella virtù post-moderna così apparentemente distante dalle stratificazioni della ricerca di La Motta, di fatto, leggerezza e disinvoltura possono benissimo convivere con un’idea di pittura stratificata, soprattutto se questa viene da un flusso continuo e facile di sollecitazioni come “luogo” di possibili accadimenti concettuali e visivi. Se la “topologia” è lo studio delle forme che non variano neppure se sottoposte a deformazioni estreme, e che quindi stabiliscono relazioni tra figure anche diversissime tra loro, una sorta di “topologia” pittorica può essere il luogo dove le immagini dell’artista stabiliscono relazioni pur essendo differenti e dove si scoprono somiglianze altrimenti invisibili.
Così un movimento di materia e di colore ha il “contorno” di una mano o la flessuosità di un corpo, o ancora volti accennati, occhi inquietanti o inaspettatamente sognanti: sono questi i “luoghi” e le figure simboliche che animano l’immaginario pittorico di La Motta. Egli, cioè, utilizza una sorta di repertorio di “forme” archetipe, per esprimere una varietà di relazioni, per indagare emotivamente il mondo: esse sono formalmente semplici e poco numerose, come sono di solito gli archetipi collettivi, ma è dalle varianti formali del loro trattamento pittorico, dalla vicinanza di segni e significati che scaturisce la molteplicità e la complessità dello scenario. Quasi una composizione musicale di “variazioni sul tema” dove tema e variazioni sono dati nello stesso momento, sono offerti allo sguardo simultaneamente. Poi, naturalmente, la fantasia si “muove” nei rimandi e nei significati di forme archetipe: così testa e “impronte” potrebbero essere il femminile, corpo e “segno” il maschile, in un gioco a ritroso nell’oscurità del vivere e del sentire ove la luce si anima solo nel riflesso di un’armatura.
Daniela Del Moro (Marzo 2004)
Il catalogo è supportato da un testo critico di Daniela Del Moro ed una poesia di Dylan Thomas che scorre sotto le immagini(testi in allegato), sarà disponibile presso l'Editore Raffaelli e le Gallerie Rosini.
Le prime cento copie saranno poste in vendita con un’ opera originale dell’artista ad un prezzo eccezionale di € 30,00.
Alessandro La Motta
“…sotto l’armatura”
L’arte non è mai distruttiva. Si possono cancellare con una vernice bianca una miriade di segni sulla tela, ed essi non scompariranno, ma vivranno al di sotto di quella superficie, e saranno in qualche modo sulla superficie…
Questo per sottolineare che l’arte conosce e riconosce soprattutto ogni segno, ogni gesto che venga usato con intenzionalità nella costruzione di un’opera: nulla va perduto, tutto è scritto. In questo senso Alessandro La Motta non ha paura di raccogliere segni nelle sue tele, di sovrapporre colore o materia in una pittura che ritorna, oggi, ad un nuovo confronto con le sue origini. Contagiato dalla dominante informale naturalista propria della sua terra, ne apprende le tecniche e le rielabora privilegiando materia e colore, senza mai separarle da un confronto visivo e concettuale con l’altra grande passione per il mondo della poesia, della scrittura, che “gestualmente” viene dipinta sovrapponendo idee, ricordi, sentimenti.
Questa assoluta ricerca lo porta dunque a “riempire” lo spazio, ad allontanare quell’horror vacui che può venire dalla pratica minimalista della contemplazione, a stratificare cumuli di informazioni visive, senza la preoccupazione di un rumore di fondo eccessivo, soverchiante.
L’arte può anche essere il contrario dell’informazione: può, cioè, aspettare a darsi, celarsi dietro una corazza, una leggera e lucente armatura, e rivelarsi ad esempio attraverso la forma metaforica dell’arabesco – e non quella informativa della freccia – o nel movimento apparente di un profilo o ancora nello sguardo abbassato di un volto.
Quindi, per il linguaggio dell’arte, non c’è fretta. A questa però si sostituisce spesso la voglia di dire, di raccontare senza tralasciare nulla, senza nulla dimenticare, omaggiando le memoria dell’arte e dell’anima: La Motta appartiene a questo tipo di artisti.
In questa serie di ultimi lavori, la sua azione pittorica sviluppa sulla tela - qualunque dimensione l’artista abbia scelto pur nella dominanza del quadrato – una ricercata serie di immagini, forme e relazioni, nessuna delle quali va perduta nell’osservazione di un altro “segno”, anzi contribuisce ad aumentare la complessità visiva e la ricerca di riconoscimenti concettuali dell’opera. Così avvolti da simboli, figure ed espressioni, cerchiamo anche nell’arte di La Motta alcuni punti fermi, dei nuclei interpretativi che riconducono ad una ragione o forse a un sentimento: la pittura, la sua ricerca dell’anima, elabora una dimensione espressiva che nasconde il soggetto agente e privilegia ancora il linguaggio, che vela il sé e svela il mondo.
In questo senso vanno considerati i suoi cicli pittorici, che rispondono in continuo apprendimento alle sollecitazioni del mondo, trovando nel medium espressivo della pittura, i modi più felici e disinvolti dell’espressione artistica. Anche se la disinvoltura del fare è vicina alla leggerezza, a quella virtù post-moderna così apparentemente distante dalle stratificazioni della ricerca di La Motta, di fatto, leggerezza e disinvoltura possono benissimo convivere con un’idea di pittura stratificata, soprattutto se questa viene da un flusso continuo e facile di sollecitazioni come “luogo” di possibili accadimenti concettuali e visivi. Se la “topologia” è lo studio delle forme che non variano neppure se sottoposte a deformazioni estreme, e che quindi stabiliscono relazioni tra figure anche diversissime tra loro, una sorta di “topologia” pittorica può essere il luogo dove le immagini dell’artista stabiliscono relazioni pur essendo differenti e dove si scoprono somiglianze altrimenti invisibili.
Così un movimento di materia e di colore ha il “contorno” di una mano o la flessuosità di un corpo, o ancora volti accennati, occhi inquietanti o inaspettatamente sognanti: sono questi i “luoghi” e le figure simboliche che animano l’immaginario pittorico di La Motta. Egli, cioè, utilizza una sorta di repertorio di “forme” archetipe, per esprimere una varietà di relazioni, per indagare emotivamente il mondo: esse sono formalmente semplici e poco numerose, come sono di solito gli archetipi collettivi, ma è dalle varianti formali del loro trattamento pittorico, dalla vicinanza di segni e significati che scaturisce la molteplicità e la complessità dello scenario. Quasi una composizione musicale di “variazioni sul tema” dove tema e variazioni sono dati nello stesso momento, sono offerti allo sguardo simultaneamente. Poi, naturalmente, la fantasia si “muove” nei rimandi e nei significati di forme archetipe: così testa e “impronte” potrebbero essere il femminile, corpo e “segno” il maschile, in un gioco a ritroso nell’oscurità del vivere e del sentire ove la luce si anima solo nel riflesso di un’armatura.
Daniela Del Moro (Marzo 2004)
13
marzo 2004
Alessandro La Motta – Prima che io bussassi
Dal 13 marzo al 04 aprile 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA ROSINI & CO.
Rimini, Corso Papa Giovanni XXIII, 12/14, (RIMINI)
Rimini, Corso Papa Giovanni XXIII, 12/14, (RIMINI)
Orario di apertura
9.30/12.30 – 15.30/19.30
Vernissage
13 Marzo 2004, ore 18.00