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In sala siamo in 18, compresi gli amici. Un’intimità forzata e non guadagnata, come dirà, a fine spettacolo Valerio Malorni, attore e co-regista de “L’uomo nel diluvio”.
Effettivamente questa intimità non si addice allo spettacolo, pensato per essere urlato e accessibile anche ai crucchi, interpretato col cuore e recitato ai quattro venti.
Un grido nato da un ragazzo della mia generazione, padre e attore, che, come tutti i giovani, si domanda semplicemente: cosa faccio qui? Devo andare? Dove andare? Partire? Perché partire? Ma perché restare?
“Tutti a Berlino, Guida pratica per italiani in fuga” è il libro che l’attore inizia a leggere dopo essersi denudato. E, rimasto sulla scena in canottiera e mutande bianche, offre la soluzione. Berlino è la città idilliaca, dove anche George Clooney ha comprato casa, è la città del momento, è la Londra degli anni zero, la meta prediletta degli italiani in fuga, dove tutto è possibile. Ovviamente solo se ci si accontenta di lavori precari e sottopagati, come il lavapiatti in un ristorante di emigrati turchi. Ma questo dettaglio passa in secondo piano.
Prima della partenza si vede solo il desiderio dell’arrivo, del tutto realizzabile e dell’appannaggio dell’appagamento. Non si vede quanto assorbe di noi la sopravvivenza e le lacrime che non si riescono più a versare per la “fisarmonica della lontananza”. Si cerca di pensare alle lacrime versate prima, quando si era ancora là, senza futuro, senza soldi, senza speranza. I giorni passati nella disperazione del quotidiano, tra il bollo dell’auto e l’abbonamento a Sky. Poi arriva il Diluvio.
Noè fu chiamato da Dio, il giovane italiano no. Lui, il trentenne del belpaese, non ha bisogno di un’entità che sembra essersi dimenticata di lui. Ha solo bisogno dei soldi per arrivare alla fine del mese. Il Diluvio universale arriva. L’annegamento del vecchio, la sopravvivenza della speranza, la voglia di rinascita e anche di fortuna. Il diluvio è il motivo che spinge alla partenza e che ci tiene a galla, in attesa di capire e di vivere la nostra domenica, il nostro sabato del villaggio. Per piangere, finalmente, lacrime vere, di gioia.
Uno spettacolo triste, nonostante il lieto fine. Consigliato ai più. Ma soprattutto ai grandi, perché a volte è difficile spiegargli quel che sente il trentenne ancora in cerca della propria identità. Malorni, attraverso la poesia del suo emozionante tono di voce, lo fa benissimo. Ma anche ai ragazzi che partono in cerca della loro epifania senza vedere il buio che c’è tra una birra e l’altra e preferendo una sopravvivenza nella neve e nel rigore ad una vita al sole e nell’amore.
Mi rimane una domanda. Io, cosa metterei sulla mia arca?
Giulia Alonzo
spettacolo visto a Campo Teatrale, Milano, il 14 novembre 2014
2 e 3 dicembre 2014
L’uomo nel diluvio
Idea, testo e regia
Simone Amendola e Valerio Malorni
Teatro India, Roma
Info: www.teatrodiroma.net