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Marco Ambrosi – La serra oscura
Verranno presentate 16 opere di vari formati (da 70×70 cm a 125×125 cm) stampate su carta Ilford Ilfochrome e in seguito montate su alluminio con protezione anti-UV. Le fotografie di Marco Ambrosi ritraggono nature morte stranianti, levigate dal digitale e cristallizzate da una immaginifica imbalsamazione vegetale.
Comunicato stampa
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Le sue potrebbero essere le illustrazioni di un catalogo di botanica artificiale dove le piante sono ricoperte di resine, glassate o plastificate e i fiori, che sembrano opera di artigiani di Murano, diventano forme leggere di cartapesta e origami. Le foglie rosse sono come ritagliate da una lamina di rame, i baccelli lavorati in madreperla e le melegrane in cristallo, quasi fossero passati per le mani di un equivoco food stylist che con la sua illusoria cucina/scultura vuole confondere i sensi. Negli scatti di Ambrosi la sostanza della natura è l’immaterialità del digitale che seduce e nello stesso tempo mette a disagio perchè intoccabile.
Gli antichi chiamavano xenia le belle e buone cose che il bravo padrone di casa faceva trovare ai propri ospiti all’arrivo nelle loro stanze, così come oggi i grandi alberghi danno il benvenuto con sontuose ceste di frutta e fiori, dove le forme toniche e gli accostamenti cromatici contano ben più del gusto e del profumo.
La pubblicità allo stesso modo conquista il suo target con superfici perfette e colori sgargianti, perchè la seduzione nasce nello sguardo sulle cose e l’essere commestibile o meno passa in secondo piano: è così che gli spettatori diventano gli uccelli che vanno a beccare gli acini dell’uva dipinta nel quadro di Zeusi.
Lo still-life, d’altra parte, è un’antica menzogna fatta di luci innaturali e composizioni calibrate. La natura morta per secoli è stata il tema attraverso il quale investigare sul modo di intendere la rappresentazione, un territorio neutro, una sorta di soggetto-zero, banale e ripetitivo che ha permesso di spostare l’interesse sulle scelte pittoriche.
Altre volte è la stessa scelta degli elementi della composizione a determinare il progetto artistico. Dagli straordinari inventari di oggetti nelle bizzarre nature, tutt’altro che morte, dell’Arcimboldo fino ai paradossali accostamenti surrealisti. La grande scuola di luci e minuzie di Caravaggio e le fantasie meccaniche di Boccioni, il
riscatto “magico” dell’insignificanza dell’oggetto quotidiano in Casorati e le composizioni autobiografiche di Van Gogh…
Negli still-life di Ambrosi di autobiografico troviamo non tanto gli oggetti, quanto le stesse scelte fotografiche;
la sua professione, la sua consuetudine e maestranza, lo portano a far risaltare tutte le potenzialità di un oggetto piazzandolo in studio sotto le luci per la pubblicità. Mentre lo still-life commerciale deve dire tutto sul suo prodotto, descriverne ogni superficie e particolare, questi lavori vivono di una non-limpidezza, caricano emotivamente grazie allo spiazzamento dato proprio dal non-detto. Quanto ci attrae è ciò che resta fuori dai margini della fotografia: non ci è dato sapere chi viva, chi abbia voluto questa Serra oscura, a cosa serva e quale perversione stia gratificando.
Ambrosi riprende dall’alto i piani in cui sistema gli elementi di questo suo personale ikebana futuribile, fatto di sottili lastre di metallo, fogli di carta e piani traslucidi di laminato. Lo Still-Leven fiammingo, letteralmente “natura in quiete”, diviene nella Serra Oscura di Ambrosi inquieto, qualcosa si muove infatti dietro gli oggetti, come ingannevoli ombre in un thriller.
La fotografia ha sempre messo in gioco il problema della descrizione oggettiva della realtà e proprio alla natura morta questa deve gran parte della sua evoluzione.
Dai primordi della fotografia con i disegni fotogenici del botanico William Henry Fox Talbot, fino alla prima copertina Still-Life di Vogue nel ‘43 ad opera di Irving Penn, che dagli anni Settanta spiazzerà la consuetudine iconografica della natura morta fotografando esclusivamente rifiuti, mozziconi e ossa. I colori stranianti di Ambrosi potrebbero essere quelli di Madame Yevonde che si rovinò gli occhi con i raggi UVA continuando nonostante ciò a lavorare in una sua visione/cecità personalissima.
Negli scatti di Ambrosi ci sono molti elementi della natura morta contemporanea, come la rivelazione dell'oggetto anche in assenza del soggetto, presente nel lavoro di Carlo Benvenuto e nei set cinematografici di Gregory Crewdson che mettono in discussione la pace domestica. Nella Serra oscura vivono piante che non temono il clima, non risentono delle stagioni e, quando vengono innaffiate di luce, questa non è quella solare, bensì un bagliore artificiale o un’atmosfera innaturalmente colorata. E’ una vegetazione consueta ed insieme paradossale, come negli ecosistemi sotto-zero di Marc Quinn, eternati dallo stesso gelo che li ha trattenuti per sempre.
Ma gli scatti di Ambrosi si soffermano su quell’Altro che va al di là di una riflessione sull’esistenza, un qualcosa che forse potremmo chiamare mistero: è un’opera della e sulla bellezza, espressa in una seducente narrazione noir che fa capolino dentro e fuori i margini della fotografia.
Luca Beatrice
Gli antichi chiamavano xenia le belle e buone cose che il bravo padrone di casa faceva trovare ai propri ospiti all’arrivo nelle loro stanze, così come oggi i grandi alberghi danno il benvenuto con sontuose ceste di frutta e fiori, dove le forme toniche e gli accostamenti cromatici contano ben più del gusto e del profumo.
La pubblicità allo stesso modo conquista il suo target con superfici perfette e colori sgargianti, perchè la seduzione nasce nello sguardo sulle cose e l’essere commestibile o meno passa in secondo piano: è così che gli spettatori diventano gli uccelli che vanno a beccare gli acini dell’uva dipinta nel quadro di Zeusi.
Lo still-life, d’altra parte, è un’antica menzogna fatta di luci innaturali e composizioni calibrate. La natura morta per secoli è stata il tema attraverso il quale investigare sul modo di intendere la rappresentazione, un territorio neutro, una sorta di soggetto-zero, banale e ripetitivo che ha permesso di spostare l’interesse sulle scelte pittoriche.
Altre volte è la stessa scelta degli elementi della composizione a determinare il progetto artistico. Dagli straordinari inventari di oggetti nelle bizzarre nature, tutt’altro che morte, dell’Arcimboldo fino ai paradossali accostamenti surrealisti. La grande scuola di luci e minuzie di Caravaggio e le fantasie meccaniche di Boccioni, il
riscatto “magico” dell’insignificanza dell’oggetto quotidiano in Casorati e le composizioni autobiografiche di Van Gogh…
Negli still-life di Ambrosi di autobiografico troviamo non tanto gli oggetti, quanto le stesse scelte fotografiche;
la sua professione, la sua consuetudine e maestranza, lo portano a far risaltare tutte le potenzialità di un oggetto piazzandolo in studio sotto le luci per la pubblicità. Mentre lo still-life commerciale deve dire tutto sul suo prodotto, descriverne ogni superficie e particolare, questi lavori vivono di una non-limpidezza, caricano emotivamente grazie allo spiazzamento dato proprio dal non-detto. Quanto ci attrae è ciò che resta fuori dai margini della fotografia: non ci è dato sapere chi viva, chi abbia voluto questa Serra oscura, a cosa serva e quale perversione stia gratificando.
Ambrosi riprende dall’alto i piani in cui sistema gli elementi di questo suo personale ikebana futuribile, fatto di sottili lastre di metallo, fogli di carta e piani traslucidi di laminato. Lo Still-Leven fiammingo, letteralmente “natura in quiete”, diviene nella Serra Oscura di Ambrosi inquieto, qualcosa si muove infatti dietro gli oggetti, come ingannevoli ombre in un thriller.
La fotografia ha sempre messo in gioco il problema della descrizione oggettiva della realtà e proprio alla natura morta questa deve gran parte della sua evoluzione.
Dai primordi della fotografia con i disegni fotogenici del botanico William Henry Fox Talbot, fino alla prima copertina Still-Life di Vogue nel ‘43 ad opera di Irving Penn, che dagli anni Settanta spiazzerà la consuetudine iconografica della natura morta fotografando esclusivamente rifiuti, mozziconi e ossa. I colori stranianti di Ambrosi potrebbero essere quelli di Madame Yevonde che si rovinò gli occhi con i raggi UVA continuando nonostante ciò a lavorare in una sua visione/cecità personalissima.
Negli scatti di Ambrosi ci sono molti elementi della natura morta contemporanea, come la rivelazione dell'oggetto anche in assenza del soggetto, presente nel lavoro di Carlo Benvenuto e nei set cinematografici di Gregory Crewdson che mettono in discussione la pace domestica. Nella Serra oscura vivono piante che non temono il clima, non risentono delle stagioni e, quando vengono innaffiate di luce, questa non è quella solare, bensì un bagliore artificiale o un’atmosfera innaturalmente colorata. E’ una vegetazione consueta ed insieme paradossale, come negli ecosistemi sotto-zero di Marc Quinn, eternati dallo stesso gelo che li ha trattenuti per sempre.
Ma gli scatti di Ambrosi si soffermano su quell’Altro che va al di là di una riflessione sull’esistenza, un qualcosa che forse potremmo chiamare mistero: è un’opera della e sulla bellezza, espressa in una seducente narrazione noir che fa capolino dentro e fuori i margini della fotografia.
Luca Beatrice
23
aprile 2004
Marco Ambrosi – La serra oscura
Dal 23 aprile al 23 maggio 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA MYCOLLECTION
Verona, Via Sottoriva, 12, (Verona)
Verona, Via Sottoriva, 12, (Verona)
Vernissage
23 Aprile 2004, ore 18,00