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Cesare Viel
Cesare Viel presenta da pinksummer una mostra costituita da due progetti distinti. “Diario contemporaneo”, un work in progress di 41 disegni tutti del medesimo formato, in cui l’artista ripresenta, rimontandole, immagini diverse provenienti dal flusso onnivoro della cronaca nazionale e internazionale pubblicata su quotidiani e magazine.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Raramente i disegni si mostrano nudi e crudi, Viel li
accompagna con una frase scritta a mano, in corsivo.
Accanto al teatro dell'immagine aggiunge quello della
parola, facendo emergere il rapporto/scontro tra i due
linguaggi.
Là dove l'immagine si presenta come fatto
apparentemente oggettivo, la parola interviene
tracciando il solco emotivo in cui la si vuole
incanalare, ne indirizza la lettura o, più in
profondità, la stessa percezione. Talvolta si tratta
di vere e proprie didascalie descrittive, altre volte
sono frasi tratte da Susan Sontag, Virginia Woolf,
Peter Brook o Paul Auster. La scrittura a mano rimanda
al diario, alla soggettività che ripensa il mondo e
che, lo si voglia o meno, lo destruttura e lo
ristruttura.
Il messaggio è chiaro, preciso, senza orpelli,
semplice e riflessivo, in qualche modo politico.
L'intreccio tra rappresentazione visiva e verbale è
una costante del lavoro di Cesare Viel e connota
anche l'altra opera che l'artista presenta per la
prima volta da pinksummer. La scultura "Aladino è
stato catturato", dotata anche di un audio, evoca una
performance dal medesimo titolo presentata a "Fuori
Uso" a Pescara e successivamente a Milano. Durante la
performance, Viel rinchiuso per ore in una gabbia
leggeva e trascriveva i responsi dei tarocchi al
pubblico: così, catturato, lo intratteneva e si
intratteneva giocando all'oracolo.
COMUNICATO STAMPA IN FORMA DI INTERVISTA: PINKSUMMER/CESARE VIEL
ps: Nel tuo lavoro sembra centrale il fatto di affiancare l¹immagine alla
parola, ma muovendo dalla loro incompatibilità. Forse non si può dire ciò
che si vede, non che la parola sia inadeguata a descrivere le cose,
semplicemente sai che
sono irriducibili l¹una all¹altra. Il luogo del linguaggio non è quello che
vedono gli occhi, ma è quello definito dalla sintassi. Il linguaggio è un
principio maschile, è ciò che caratterizza il conoscere, non è vedere, ma
interpretare. In ³Diario² tu decomponi e ricomponi l¹immagine secondo la
legge di una tassonomia soggettiva?
cv: L'irriducibilità tra immagine e parola, il loro
muoversi su piani diversi e il metterli in reciproca
azione è una costante del mio lavoro. E' una pratica
di destrutturazione e ristrutturazione che m'intriga
perché rivela una scissione produttiva complessiva:
dal sentimento consapevole dell'incompatibilità tra i
linguaggi può nascere il desiderio di un rapporto tra
le parti che non sopraffaccia l'altro e non distrugga
le diversità. E' quando capisci che i conti non
tornano che accetti di contare. Il lavoro che espongo
in galleria, "Diario contemporaneo", è prima di tutto
un infinito intrattenimento. Inizia nell'ottobre del
2002 e arriva fino al gennaio del 2004, ma in sé è un
lavoro senza fine: proseguirà ancora nel tempo. Per il
momento sono 41 disegni su carta tutti dello stesso
formato (29,7 x 42 cm.). La dimensione identica dei
disegni è la prima regola che ho scelto per produrre
questo "work in progress". Poi, la scelta dominante
del bianco e nero (solo ogni tanto c'è del colore, ed
è sempre rosso) e del contorno preciso, netto, marcato
come quello del tracciato della scrittura. Le immagini
scelte derivano da fotografie pubblicate su
quotidiani, settimanali e riviste. Accanto a ciascuna
immagine la scritta a mano di una o più frasi che
funzionano come le didascalie pubblicate vicino alle
foto sui giornali. Determinante per lo svolgimento di
questo "Diario" è il rapporto strutturale tra immagine
e frase. Sulla carta stampata le immagini "parlano" al
lettore attraverso la didascalia riportata. Il senso
solo apparentemente denotativo della frase indica il
modo in cui dobbiamo "leggere" l'immagine. La frase
pubblicata condiziona l'immagine, la tradisce, la
svia, la giustifica, ecc. ecc. Nel mio "Diario" ho
voluto affrontare questo aspetto della comunicazione
quotidiana per immagini, nella quale siamo immersi.
L'uso e l'abuso reciproco che facciamo, e che ci viene
fatto, del linguaggio visivo e di quello verbale. Da
questa "gabbia" strutturale non si esce, ma possiamo
provare a giocarla, a rimetterla in una scena diversa
e farla "parlare" con altre voci e altre intonazioni.
Le frasi che riporto accanto o sotto i disegni
appartengono, a volte, al livello della didascalia "
denotativa", altre volte provengono da un altro campo
discorsivo e possono essere frammenti di pensiero di
autori come Susan Sontag, Paul Auster, Virginia Woolf,
Adolf Loos, Peter Brook. In questo modo si amplia la
possibilità di lettura e di osservazione delle
immagini, allontanando la didascalia dalla sua pretesa
di "compatibilità" descrittiva e aumentando il livello
di "scissione" tra testo e immagine. Proprio per
questo però, nello stesso tempo, l'immagine alla fine
si avvicina di più a noi in termini emotivi. Da qui il
titolo del lavoro: "Diario contemporaneo", che
inserisce elementi di soggettività.
ps: L¹io generico che caratterizzava il concettuale degli anni Œ60
incentrato sui procedimenti piuttosto che sull¹opera finita, metteva in
discussione il concetto di autore smaterializzando l¹opera. Pur recuperando
la disamina razionale dura e pura, tu insieme a molti artisti della tua
generazione
avete reintrodotto il concetto di autore e con esso quello di emotività.
cv: Dal concettuale ho ereditato la pratica della
consapevolezza che tutti gli strumenti che usiamo non
sono innocenti o neutri, ma sono il frutto di una
costruzione culturale, di un'elaborazione linguistica
che si mostra, si fa vedere. Nello stesso tempo, la
purificazione, la smaterializzazione concettuale
dell'arte ha prodotto in fondo il desiderio e la
consapevolezza del suo contrario: intervenire sugli
aspetti impuri, ingombranti e non eliminabili
dell'identità, della realtà e dell'emotività di
ciascuno. Ci sono voci, sentimenti, conflitti e limiti
alla docilità dei corpi (come diceva Foucault).
Esiste l'impossibilità di una completa svaporizzazione
dell'io, il rapporto inevitabile e forte tra l'io e il
tu, l'attrazione del dialogo tra le soggettività.
Tutto questo ha prodotto nella mia generazione la
tendenza ad affrontare un'arte che sia capace di uno
sguardo plurale, personale e complesso, anonimo e
individuato al contempo. Uno sguardo che tenga insieme
la deriva e la concentrazione dell'io. Una
soggettività, intesa non in termini strettamente
autobiografici, che non venga rimossa da una supposta
"neutra" progettualità, ma che tenga conto della sua
posizione e delle condizioni della sua esistenza. In
questo senso intendo anche la pratica della
performance.
ps: Per l¹invito della mostra hai scelto l¹immagine della morte di Marat di
David. Argan afferma che nel caso di David il neoclassicismo applicato
alla cronaca assume un carattere etico piuttosto che poetico. Si dice che
David andasse spesso a vedere i condannati mentre venivano condotti alla
ghigliottina e li ritraesse con pochi tratti di estrema intensità, di quei
ritratti è rimasto solo quello di Maria Antonietta. Parla di questa scelta.
cv: Prima di tutto ho scelto quest'immagine perché mi
piace molto. Proviene dalla rivoluzione: un momento in
cui si attraversano e si compenetrano tra loro
elementi contrari, vita e morte, entusiasmo e
disperazione, felicità e dolore. Non l'ho scelta per
una "nostalgia" della forma o per mera provocazione,
ma per i possibili intrecci con il mio lavoro: la
relazione complessa con gli eventi sociali
contemporanei (David è stato in fondo il primo
artista-cronista politico della modernità); la sua
lucida consapevolezza della messa in scena del
rapporto tra teatro, immagine e scrittura (Marat tiene
ancora una lettera nella mano sinistra e una penna
d'oca nella mano destra, il calamaio e un'altra
lettera sono ben visibili sulla base di legno dove
sono riportate anche la dedica e la firma, due nomi,
quello del soggetto rappresentato e quello
dell'autore); il rapporto tra la violenza
dell'incidente, del fatto, e il rigore del disegno; la
presenza di un corpo politico e l'asciutta modalità
del linguaggio compositivo utilizzato per mostrarlo.
Tutto questo produce, secondo me, una profonda
emozione mentale, ed è molto contemporaneo, anche se
il quadro è abissalmente lontano nel tempo. Per
l'esattezza, sono passati 211 anni da quest'opera
laica e "contemporanea". Poi, è vero, mi interessa
lavorare anche sull'aspetto etico del nostro rapporto
con il visibile, anche se non mi piace dichiararlo.
Per me l'etica dev' essere soprattutto un'emozione,
una conseguenza del comportamento, non un programma.
ps: I disegni che presenterai da pinksummer ci appaiono come una sorta di
trompe l¹oeil, di fatto si organizzano intorno a un oggetto, la cronaca, ma
tale oggetto si organizza intorno al tuo sguardo. Nancy afferma che
dipingere, disegnare è uscire da se stessi, dall¹occhio esce lo sguardo, lo
sguardo dell¹occhio ed è attraverso di esso che il soggetto diventa
soggetto. Il ritratto è l¹infinito dilatarsi dell¹uno, non a caso questo
progetto potenzialmente infinito si chiama diario, il diario non è l'
autoritratto letterario?
cv: Parto dalla cronaca del presente per ricavare una
possibile iconografia contemporanea, forzando le
immagini a dirci qualcos'altro, e la forma del diario
mi permette di non produrre gerarchie di valori o di
contenuti. Il criterio orizzontale e pubblico di
questo progetto diaristico porta in realtà ad una
negazione dell'idea di diario come autoritratto
privato. O meglio, se un autoritratto affiora è a mia
insaputa, costituendo caso mai un autoritratto anonimo
e plurale.
ps: Sempre Nancy afferma che Il ritratto è in absentia, nel senso che è
fatto per conservare la presenza, è costruito sull¹idea di somiglianza e
riconoscibilità che differisce dall¹idea di copia o riproduzione per il
valore di approssimazione. Il ritratto evocando immortala cioè sottrae alla
morte. Perché hai sentito il bisogno di sottrarre al flusso questi fatti,
presentarli nel medesimo décor, indipendentemente da valore e merito?
cv: Ho sentito prima di tutto il desiderio di disegnare
queste immagini, queste notizie, per trasformarle, per
distoglierle da qualcosa, non so se per sottrarle alla
morte (questo è già uno scopo etico e non mi sento di
dichiararlo). E' certo però che rimontandole come
pagine smembrabili di un diario, esse si distaccano
dal flusso delle informazioni per ritrovarsi in un
contesto che le fa apparire ancora riconoscibili ma
diverse, frammentarie e soprattutto fragili perché
fatalmente destinate ad un uso indiscriminato. Tutte
le immagini si rivelano dunque per quello che sono:
mezzi utilizzati per qualsiasi scopo, che possono
significare qualsiasi cosa a seconda delle più diverse
intenzioni. Questa è la loro straordinaria potenza e
"tenerezza". Questo mio progetto è infinito perché
credo che sia senza fine il desiderio soggettivo di
ricontestualizzare le immagini riprodotte che abbiamo
quotidianamente intorno a noi.
ps: Oltre a ³Diario² presenterai da pinksummer una scultura, che richiama
una tua
performance in cui chiuso in una gabbia leggevi i tarocchi, facevi il
veggente. Una rappresentazione della rappresentazione. Parlaci di questa
scultura e della performance e anche della performance come pratica,
esercizio, all'interno del tuo lavoro in maniera più esaustiva.
cv: La scultura, "Aladino è stato catturato", ha lo
stesso titolo della performance dalla quale è
scaturita come un perturbante e ironico doppio.
Durante la performance (eseguita per la prima volta
nell'edizione 2000 di "Fuori Uso" a Pescara, e poi
ripresentata nell'aprile del 2003 in occasione del
primo evento pubblico organizzato e promosso
dall'associazione Ida, Isola dell'Arte, della quale
faccio parte, per la difesa dell'edificio della Stecca
a Milano a rischio di demolizione per via di un
progetto molto discutibile di riqualificazione urbana)
rimanevo rinchiuso, seduto in una cassa-gabbia di
legno per diverse ore, a leggere e interpretare i
tarocchi trascrivendo su fogli di carta le improbabili
e bizzarre sentenze che le carte mi comunicavano. Il
tema favolistico di riferimento ( Aladino, la lampada
magica, il tappeto volante) era un pretesto per
affrontare con ironia la dimensione di un soggetto
che, trovandosi letteralmente rinchiuso, ha perso
momentaneamente la propria forza e, per far passare
il tempo, cerca di trovare una possibile soluzione
attraverso i responsi contraddittori delle carte da
gioco. L'azione della lettura e della scrittura
medianica, la presenza di un corpo esposto allo
sguardo degli altri, la presenza stessa degli altri
attorno alla gabbia, e la destabilizzazione
percettiva dovuta all' apparente normalità della mia
condizione di rinchiuso, erano gli elementi messi in
gioco da questa performance. Ho sentito ben presto
però che l'energia scaturita da quell'azione non aveva
intenzione di concludersi con l'evento performativo,
c'era una parte ostinata che non accettava di rimanere
"rinchiusa" e risolta solo nella dimensione della
performance, da qui è nata la necessità di farne una
scultura: un 'opera autonoma. Adesso questa
performance ha trovato la sua collocazione e forma
definitiva. Come ho accennato in una risposta
precedente, per me la pratica della performance è
importante proprio perché permette di affrontare nella
sua concretezza il delicato aspetto della
posizionalità e della relazionalità di un soggetto.
Sinteticamente posso dire che all'interno del mio
lavoro la pratica della performance è un fondamentale
momento di rilancio e di verifica dei linguaggi e
delle questioni legate all'esposizione della
soggettività e dell'identità tra altre presenze umane.
Si tratta della condivisione pubblica di un momento
intensamente emotivo che diventa anche politico, nel
senso più ampio del termine.
ps: Angela Vettese in un articolo su Il sole-24 ore del Œ98 parlava della
³sfortuna² dei giovani artisti italiani affermando che anche i giovani più
promettenti deperiscano di fronte a una mancanza di adeguato riconoscimento.
Le cause secondo l¹autore dell¹articolo potevano essere determinate dalla
posizione economica italiana, troppo povera per i paesi ricchi, troppo ricca
per i paesi poveri; per mancanza di strutture ³e là dove ci sono rette da
piccoli egocentrismi locali e da normale ignoranza²; ma soprattutto
imputava tale mancanza d'incidenza all¹amore per la forma, che facendo
grande la nostra moda e design, non ha mai aiutato gli artisti italiani:
³l¹obiettivo di dare forma a un pensiero appare all¹estero, spesso, come
segno di scarsa attenzione per i contenuti². Infine in quell¹articolo si
affermava che in Italia² i ³vecchi artisti, timorosi di perdere posizione ,
sbarrano la strada ai propri allievi². Tu insegni all¹Accademia Ligustica di
belle Arti, come ti poni di fronte ai tuoi allievi?
cv: E' vero, in Italia le condizioni generali
dell'attenzione nei confronti dell'arte contemporanea
non sono buone anche se negli ultimi anni qualcosa è
cambiato in positivo. Quando ho iniziato ad esporre
alla fine degli anni Ottanta la situazione di vuoto e
di indifferenza era ancora più pesante. Si sentiva
ancora di più la presenza dei "vecchi" maestri, i
pochi musei sembravano fortezze inespugnabili e le
istituzioni pubbliche erano completamente immerse in
una gestione tutta autoconservativa. Da qualche anno
insegno all'Accademia e intrattengo un rapporto molto
positivo con colleghi e allievi. Ovviamente non mi
sento un "maestro", sarebbe ridicolo per come la
penso. Cerco di stimolare il più possibile negli
studenti la curiosità critica e lo spirito libero e
dinamico della ricerca, non do ricette a priori e non
intendo pormi come un modello (della mia pratica
artistica non parlo mai e odio il narcisismo). E'
molto interessante quando senti che hai contribuito a
far nascere delle domande e ad aprire una porta o uno
spiraglio. E' a quel punto che anche tu impari
qualcosa da loro e scopri la bellezza di trovarti in
mezzo a soggetti attivi. La cultura e l'insegnamento
sono fenomeni di vita fortemente radicati
nell'esperienza e nella qualità emotiva e
intellettuale dell'esperienza. Credo sia questo
l'aspetto più importante del rapporto di trasmissione
del sapere.
ps: Ci ricordiamo di un lavoro di Boetti della fine degli anni '80, disegni
come semplici ricalchi delle copertine di newsmagazine di un definito e
limitato periodo. Panorama, L'Espresso, L'Europeo. Matita su foglio bianco.
Conosci questo lavoro? Ci sono dei rimandi con il tuo diario quotidiano?
cv: Conosco e apprezzo il lavoro di Boetti, e lo
considero uno dei più interessanti artisti italiani
della seconda metà del Novecento. Qualche anno fa ho
realizzato un lavoro fotografico che era anche un
omaggio esplicito ai suoi "Gemelli" del 1968. In
questo caso però questo mio lavoro ("Diario
contemporaneo") ha un rimando con il suo in termini
solo evocativi. E' piuttosto un'aria di famiglia (per
dirla alla Wittgenstein), nel senso che in fondo
un'opera d'arte ne richiama sempre almeno un'altra, e
questo è bello che accada. "Diario contemporaneo",
però, non è un lavoro sul ricalco oggettivo delle
copertine di alcune riviste popolari di un periodo ben
circoscritto (Boetti scelse l'ottobre del 1983), ma è
un rimontaggio selezionato e parziale che produce uno
slittamento, a volte anche molto esplicito, delle
fotografie e della loro lettura. Il procedimento non è
basato sul meccanismo della
serializzazione/registrazione oggettiva, ma sul
rimontaggio manipolatorio e conflittuale tra immagini
e linguaggio verbale aggiunto. E' un procedimento
soggettivo di ricontestualizzazione più vicino, caso
mai, all'atteggiamento operativo situazionista, sempre
nel senso evocativo di un' altra "aria di famiglia".
Ho voluto manipolare immagini che abbiamo tutti i
giorni sotto gli occhi proprio perché, avendole tutti
i giorni sotto gli occhi, tendiamo a non vederle più
come un problema.
accompagna con una frase scritta a mano, in corsivo.
Accanto al teatro dell'immagine aggiunge quello della
parola, facendo emergere il rapporto/scontro tra i due
linguaggi.
Là dove l'immagine si presenta come fatto
apparentemente oggettivo, la parola interviene
tracciando il solco emotivo in cui la si vuole
incanalare, ne indirizza la lettura o, più in
profondità, la stessa percezione. Talvolta si tratta
di vere e proprie didascalie descrittive, altre volte
sono frasi tratte da Susan Sontag, Virginia Woolf,
Peter Brook o Paul Auster. La scrittura a mano rimanda
al diario, alla soggettività che ripensa il mondo e
che, lo si voglia o meno, lo destruttura e lo
ristruttura.
Il messaggio è chiaro, preciso, senza orpelli,
semplice e riflessivo, in qualche modo politico.
L'intreccio tra rappresentazione visiva e verbale è
una costante del lavoro di Cesare Viel e connota
anche l'altra opera che l'artista presenta per la
prima volta da pinksummer. La scultura "Aladino è
stato catturato", dotata anche di un audio, evoca una
performance dal medesimo titolo presentata a "Fuori
Uso" a Pescara e successivamente a Milano. Durante la
performance, Viel rinchiuso per ore in una gabbia
leggeva e trascriveva i responsi dei tarocchi al
pubblico: così, catturato, lo intratteneva e si
intratteneva giocando all'oracolo.
COMUNICATO STAMPA IN FORMA DI INTERVISTA: PINKSUMMER/CESARE VIEL
ps: Nel tuo lavoro sembra centrale il fatto di affiancare l¹immagine alla
parola, ma muovendo dalla loro incompatibilità. Forse non si può dire ciò
che si vede, non che la parola sia inadeguata a descrivere le cose,
semplicemente sai che
sono irriducibili l¹una all¹altra. Il luogo del linguaggio non è quello che
vedono gli occhi, ma è quello definito dalla sintassi. Il linguaggio è un
principio maschile, è ciò che caratterizza il conoscere, non è vedere, ma
interpretare. In ³Diario² tu decomponi e ricomponi l¹immagine secondo la
legge di una tassonomia soggettiva?
cv: L'irriducibilità tra immagine e parola, il loro
muoversi su piani diversi e il metterli in reciproca
azione è una costante del mio lavoro. E' una pratica
di destrutturazione e ristrutturazione che m'intriga
perché rivela una scissione produttiva complessiva:
dal sentimento consapevole dell'incompatibilità tra i
linguaggi può nascere il desiderio di un rapporto tra
le parti che non sopraffaccia l'altro e non distrugga
le diversità. E' quando capisci che i conti non
tornano che accetti di contare. Il lavoro che espongo
in galleria, "Diario contemporaneo", è prima di tutto
un infinito intrattenimento. Inizia nell'ottobre del
2002 e arriva fino al gennaio del 2004, ma in sé è un
lavoro senza fine: proseguirà ancora nel tempo. Per il
momento sono 41 disegni su carta tutti dello stesso
formato (29,7 x 42 cm.). La dimensione identica dei
disegni è la prima regola che ho scelto per produrre
questo "work in progress". Poi, la scelta dominante
del bianco e nero (solo ogni tanto c'è del colore, ed
è sempre rosso) e del contorno preciso, netto, marcato
come quello del tracciato della scrittura. Le immagini
scelte derivano da fotografie pubblicate su
quotidiani, settimanali e riviste. Accanto a ciascuna
immagine la scritta a mano di una o più frasi che
funzionano come le didascalie pubblicate vicino alle
foto sui giornali. Determinante per lo svolgimento di
questo "Diario" è il rapporto strutturale tra immagine
e frase. Sulla carta stampata le immagini "parlano" al
lettore attraverso la didascalia riportata. Il senso
solo apparentemente denotativo della frase indica il
modo in cui dobbiamo "leggere" l'immagine. La frase
pubblicata condiziona l'immagine, la tradisce, la
svia, la giustifica, ecc. ecc. Nel mio "Diario" ho
voluto affrontare questo aspetto della comunicazione
quotidiana per immagini, nella quale siamo immersi.
L'uso e l'abuso reciproco che facciamo, e che ci viene
fatto, del linguaggio visivo e di quello verbale. Da
questa "gabbia" strutturale non si esce, ma possiamo
provare a giocarla, a rimetterla in una scena diversa
e farla "parlare" con altre voci e altre intonazioni.
Le frasi che riporto accanto o sotto i disegni
appartengono, a volte, al livello della didascalia "
denotativa", altre volte provengono da un altro campo
discorsivo e possono essere frammenti di pensiero di
autori come Susan Sontag, Paul Auster, Virginia Woolf,
Adolf Loos, Peter Brook. In questo modo si amplia la
possibilità di lettura e di osservazione delle
immagini, allontanando la didascalia dalla sua pretesa
di "compatibilità" descrittiva e aumentando il livello
di "scissione" tra testo e immagine. Proprio per
questo però, nello stesso tempo, l'immagine alla fine
si avvicina di più a noi in termini emotivi. Da qui il
titolo del lavoro: "Diario contemporaneo", che
inserisce elementi di soggettività.
ps: L¹io generico che caratterizzava il concettuale degli anni Œ60
incentrato sui procedimenti piuttosto che sull¹opera finita, metteva in
discussione il concetto di autore smaterializzando l¹opera. Pur recuperando
la disamina razionale dura e pura, tu insieme a molti artisti della tua
generazione
avete reintrodotto il concetto di autore e con esso quello di emotività.
cv: Dal concettuale ho ereditato la pratica della
consapevolezza che tutti gli strumenti che usiamo non
sono innocenti o neutri, ma sono il frutto di una
costruzione culturale, di un'elaborazione linguistica
che si mostra, si fa vedere. Nello stesso tempo, la
purificazione, la smaterializzazione concettuale
dell'arte ha prodotto in fondo il desiderio e la
consapevolezza del suo contrario: intervenire sugli
aspetti impuri, ingombranti e non eliminabili
dell'identità, della realtà e dell'emotività di
ciascuno. Ci sono voci, sentimenti, conflitti e limiti
alla docilità dei corpi (come diceva Foucault).
Esiste l'impossibilità di una completa svaporizzazione
dell'io, il rapporto inevitabile e forte tra l'io e il
tu, l'attrazione del dialogo tra le soggettività.
Tutto questo ha prodotto nella mia generazione la
tendenza ad affrontare un'arte che sia capace di uno
sguardo plurale, personale e complesso, anonimo e
individuato al contempo. Uno sguardo che tenga insieme
la deriva e la concentrazione dell'io. Una
soggettività, intesa non in termini strettamente
autobiografici, che non venga rimossa da una supposta
"neutra" progettualità, ma che tenga conto della sua
posizione e delle condizioni della sua esistenza. In
questo senso intendo anche la pratica della
performance.
ps: Per l¹invito della mostra hai scelto l¹immagine della morte di Marat di
David. Argan afferma che nel caso di David il neoclassicismo applicato
alla cronaca assume un carattere etico piuttosto che poetico. Si dice che
David andasse spesso a vedere i condannati mentre venivano condotti alla
ghigliottina e li ritraesse con pochi tratti di estrema intensità, di quei
ritratti è rimasto solo quello di Maria Antonietta. Parla di questa scelta.
cv: Prima di tutto ho scelto quest'immagine perché mi
piace molto. Proviene dalla rivoluzione: un momento in
cui si attraversano e si compenetrano tra loro
elementi contrari, vita e morte, entusiasmo e
disperazione, felicità e dolore. Non l'ho scelta per
una "nostalgia" della forma o per mera provocazione,
ma per i possibili intrecci con il mio lavoro: la
relazione complessa con gli eventi sociali
contemporanei (David è stato in fondo il primo
artista-cronista politico della modernità); la sua
lucida consapevolezza della messa in scena del
rapporto tra teatro, immagine e scrittura (Marat tiene
ancora una lettera nella mano sinistra e una penna
d'oca nella mano destra, il calamaio e un'altra
lettera sono ben visibili sulla base di legno dove
sono riportate anche la dedica e la firma, due nomi,
quello del soggetto rappresentato e quello
dell'autore); il rapporto tra la violenza
dell'incidente, del fatto, e il rigore del disegno; la
presenza di un corpo politico e l'asciutta modalità
del linguaggio compositivo utilizzato per mostrarlo.
Tutto questo produce, secondo me, una profonda
emozione mentale, ed è molto contemporaneo, anche se
il quadro è abissalmente lontano nel tempo. Per
l'esattezza, sono passati 211 anni da quest'opera
laica e "contemporanea". Poi, è vero, mi interessa
lavorare anche sull'aspetto etico del nostro rapporto
con il visibile, anche se non mi piace dichiararlo.
Per me l'etica dev' essere soprattutto un'emozione,
una conseguenza del comportamento, non un programma.
ps: I disegni che presenterai da pinksummer ci appaiono come una sorta di
trompe l¹oeil, di fatto si organizzano intorno a un oggetto, la cronaca, ma
tale oggetto si organizza intorno al tuo sguardo. Nancy afferma che
dipingere, disegnare è uscire da se stessi, dall¹occhio esce lo sguardo, lo
sguardo dell¹occhio ed è attraverso di esso che il soggetto diventa
soggetto. Il ritratto è l¹infinito dilatarsi dell¹uno, non a caso questo
progetto potenzialmente infinito si chiama diario, il diario non è l'
autoritratto letterario?
cv: Parto dalla cronaca del presente per ricavare una
possibile iconografia contemporanea, forzando le
immagini a dirci qualcos'altro, e la forma del diario
mi permette di non produrre gerarchie di valori o di
contenuti. Il criterio orizzontale e pubblico di
questo progetto diaristico porta in realtà ad una
negazione dell'idea di diario come autoritratto
privato. O meglio, se un autoritratto affiora è a mia
insaputa, costituendo caso mai un autoritratto anonimo
e plurale.
ps: Sempre Nancy afferma che Il ritratto è in absentia, nel senso che è
fatto per conservare la presenza, è costruito sull¹idea di somiglianza e
riconoscibilità che differisce dall¹idea di copia o riproduzione per il
valore di approssimazione. Il ritratto evocando immortala cioè sottrae alla
morte. Perché hai sentito il bisogno di sottrarre al flusso questi fatti,
presentarli nel medesimo décor, indipendentemente da valore e merito?
cv: Ho sentito prima di tutto il desiderio di disegnare
queste immagini, queste notizie, per trasformarle, per
distoglierle da qualcosa, non so se per sottrarle alla
morte (questo è già uno scopo etico e non mi sento di
dichiararlo). E' certo però che rimontandole come
pagine smembrabili di un diario, esse si distaccano
dal flusso delle informazioni per ritrovarsi in un
contesto che le fa apparire ancora riconoscibili ma
diverse, frammentarie e soprattutto fragili perché
fatalmente destinate ad un uso indiscriminato. Tutte
le immagini si rivelano dunque per quello che sono:
mezzi utilizzati per qualsiasi scopo, che possono
significare qualsiasi cosa a seconda delle più diverse
intenzioni. Questa è la loro straordinaria potenza e
"tenerezza". Questo mio progetto è infinito perché
credo che sia senza fine il desiderio soggettivo di
ricontestualizzare le immagini riprodotte che abbiamo
quotidianamente intorno a noi.
ps: Oltre a ³Diario² presenterai da pinksummer una scultura, che richiama
una tua
performance in cui chiuso in una gabbia leggevi i tarocchi, facevi il
veggente. Una rappresentazione della rappresentazione. Parlaci di questa
scultura e della performance e anche della performance come pratica,
esercizio, all'interno del tuo lavoro in maniera più esaustiva.
cv: La scultura, "Aladino è stato catturato", ha lo
stesso titolo della performance dalla quale è
scaturita come un perturbante e ironico doppio.
Durante la performance (eseguita per la prima volta
nell'edizione 2000 di "Fuori Uso" a Pescara, e poi
ripresentata nell'aprile del 2003 in occasione del
primo evento pubblico organizzato e promosso
dall'associazione Ida, Isola dell'Arte, della quale
faccio parte, per la difesa dell'edificio della Stecca
a Milano a rischio di demolizione per via di un
progetto molto discutibile di riqualificazione urbana)
rimanevo rinchiuso, seduto in una cassa-gabbia di
legno per diverse ore, a leggere e interpretare i
tarocchi trascrivendo su fogli di carta le improbabili
e bizzarre sentenze che le carte mi comunicavano. Il
tema favolistico di riferimento ( Aladino, la lampada
magica, il tappeto volante) era un pretesto per
affrontare con ironia la dimensione di un soggetto
che, trovandosi letteralmente rinchiuso, ha perso
momentaneamente la propria forza e, per far passare
il tempo, cerca di trovare una possibile soluzione
attraverso i responsi contraddittori delle carte da
gioco. L'azione della lettura e della scrittura
medianica, la presenza di un corpo esposto allo
sguardo degli altri, la presenza stessa degli altri
attorno alla gabbia, e la destabilizzazione
percettiva dovuta all' apparente normalità della mia
condizione di rinchiuso, erano gli elementi messi in
gioco da questa performance. Ho sentito ben presto
però che l'energia scaturita da quell'azione non aveva
intenzione di concludersi con l'evento performativo,
c'era una parte ostinata che non accettava di rimanere
"rinchiusa" e risolta solo nella dimensione della
performance, da qui è nata la necessità di farne una
scultura: un 'opera autonoma. Adesso questa
performance ha trovato la sua collocazione e forma
definitiva. Come ho accennato in una risposta
precedente, per me la pratica della performance è
importante proprio perché permette di affrontare nella
sua concretezza il delicato aspetto della
posizionalità e della relazionalità di un soggetto.
Sinteticamente posso dire che all'interno del mio
lavoro la pratica della performance è un fondamentale
momento di rilancio e di verifica dei linguaggi e
delle questioni legate all'esposizione della
soggettività e dell'identità tra altre presenze umane.
Si tratta della condivisione pubblica di un momento
intensamente emotivo che diventa anche politico, nel
senso più ampio del termine.
ps: Angela Vettese in un articolo su Il sole-24 ore del Œ98 parlava della
³sfortuna² dei giovani artisti italiani affermando che anche i giovani più
promettenti deperiscano di fronte a una mancanza di adeguato riconoscimento.
Le cause secondo l¹autore dell¹articolo potevano essere determinate dalla
posizione economica italiana, troppo povera per i paesi ricchi, troppo ricca
per i paesi poveri; per mancanza di strutture ³e là dove ci sono rette da
piccoli egocentrismi locali e da normale ignoranza²; ma soprattutto
imputava tale mancanza d'incidenza all¹amore per la forma, che facendo
grande la nostra moda e design, non ha mai aiutato gli artisti italiani:
³l¹obiettivo di dare forma a un pensiero appare all¹estero, spesso, come
segno di scarsa attenzione per i contenuti². Infine in quell¹articolo si
affermava che in Italia² i ³vecchi artisti, timorosi di perdere posizione ,
sbarrano la strada ai propri allievi². Tu insegni all¹Accademia Ligustica di
belle Arti, come ti poni di fronte ai tuoi allievi?
cv: E' vero, in Italia le condizioni generali
dell'attenzione nei confronti dell'arte contemporanea
non sono buone anche se negli ultimi anni qualcosa è
cambiato in positivo. Quando ho iniziato ad esporre
alla fine degli anni Ottanta la situazione di vuoto e
di indifferenza era ancora più pesante. Si sentiva
ancora di più la presenza dei "vecchi" maestri, i
pochi musei sembravano fortezze inespugnabili e le
istituzioni pubbliche erano completamente immerse in
una gestione tutta autoconservativa. Da qualche anno
insegno all'Accademia e intrattengo un rapporto molto
positivo con colleghi e allievi. Ovviamente non mi
sento un "maestro", sarebbe ridicolo per come la
penso. Cerco di stimolare il più possibile negli
studenti la curiosità critica e lo spirito libero e
dinamico della ricerca, non do ricette a priori e non
intendo pormi come un modello (della mia pratica
artistica non parlo mai e odio il narcisismo). E'
molto interessante quando senti che hai contribuito a
far nascere delle domande e ad aprire una porta o uno
spiraglio. E' a quel punto che anche tu impari
qualcosa da loro e scopri la bellezza di trovarti in
mezzo a soggetti attivi. La cultura e l'insegnamento
sono fenomeni di vita fortemente radicati
nell'esperienza e nella qualità emotiva e
intellettuale dell'esperienza. Credo sia questo
l'aspetto più importante del rapporto di trasmissione
del sapere.
ps: Ci ricordiamo di un lavoro di Boetti della fine degli anni '80, disegni
come semplici ricalchi delle copertine di newsmagazine di un definito e
limitato periodo. Panorama, L'Espresso, L'Europeo. Matita su foglio bianco.
Conosci questo lavoro? Ci sono dei rimandi con il tuo diario quotidiano?
cv: Conosco e apprezzo il lavoro di Boetti, e lo
considero uno dei più interessanti artisti italiani
della seconda metà del Novecento. Qualche anno fa ho
realizzato un lavoro fotografico che era anche un
omaggio esplicito ai suoi "Gemelli" del 1968. In
questo caso però questo mio lavoro ("Diario
contemporaneo") ha un rimando con il suo in termini
solo evocativi. E' piuttosto un'aria di famiglia (per
dirla alla Wittgenstein), nel senso che in fondo
un'opera d'arte ne richiama sempre almeno un'altra, e
questo è bello che accada. "Diario contemporaneo",
però, non è un lavoro sul ricalco oggettivo delle
copertine di alcune riviste popolari di un periodo ben
circoscritto (Boetti scelse l'ottobre del 1983), ma è
un rimontaggio selezionato e parziale che produce uno
slittamento, a volte anche molto esplicito, delle
fotografie e della loro lettura. Il procedimento non è
basato sul meccanismo della
serializzazione/registrazione oggettiva, ma sul
rimontaggio manipolatorio e conflittuale tra immagini
e linguaggio verbale aggiunto. E' un procedimento
soggettivo di ricontestualizzazione più vicino, caso
mai, all'atteggiamento operativo situazionista, sempre
nel senso evocativo di un' altra "aria di famiglia".
Ho voluto manipolare immagini che abbiamo tutti i
giorni sotto gli occhi proprio perché, avendole tutti
i giorni sotto gli occhi, tendiamo a non vederle più
come un problema.
13
febbraio 2004
Cesare Viel
Dal 13 febbraio al 31 marzo 2004
arte contemporanea
Location
PINKSUMMER – PALAZZO DUCALE
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 28r, (Genova)
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 28r, (Genova)
Orario di apertura
martedì-sabato 16.30-19.30 o su
appuntamento
Vernissage
13 Febbraio 2004, H. 18.30