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Francesco Barilli – Dipingere è amare ancora
L’individualissimo surrealismo metafisico di Francesco Barilli, pittore prestato al cinema, parmigiano di casa a Roma, sarà esposto in una mostra antologica di estrema completezza che si inaugura a Parma il 13 gennaio 2004.
Comunicato stampa
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Poltrone e divani. Rivestimenti in pelli esotiche. Finestre come diaframmi, come cornici o come specchi. Stanze piene di oggetti-simbolo. Umani zoocefali. Città atopiche. Giungle e autobus. Sale cinematografiche. L’individualissimo surrealismo metafisico di Francesco Barilli, pittore prestato al cinema, parmigiano di casa a Roma, sarà esposto in una mostra antologica di estrema completezza che si inaugura a Parma il 13 gennaio 2004.
L’esposizione, organizzata dall’Assessorato alle attività culturali e teatrali del Comune di Parma e dalla Fondazione Monte di Parma, ha per titolo “Dipingere è amare ancora”, e si terrà presso la Galleria S. Ludovico.
Francesco Barilli è un noto regista cinematografico. Ma le sue origini artistiche, che hanno poi informato programmaticamente e visivamente la sua esperienza nella settima arte, sono pittoriche. E questo indipendentemente dall’inevitabile influenza di un clima familiare permeato a tutti i livelli dall’arte, pittura in primis: la famiglia parmigiana dei Barilli (cui la città di Parma ha dedicato una mostra di grande successo tra il 1997 e il 1998) rappresenta infatti un unicum per coerenza di passione, di qualità e per la varietà di esperienze artistiche attraverso quattro generazioni successive di pittori, scrittori, musicisti.
Francesco si appropria del suo stile già nei primi anni ’60, scegliendo la soluzione riformista del ritorno alla “figurazione nuova”, come reazione e ulteriore sviluppo rispetto alle esperienze astratte e informali allora imperanti nell’arte occidentale. Ma l’accostamento alla realtà in lui non è mai oggettivo: simboli e proiezioni concrete di astrazioni e scomposizioni fantastiche sono la sua cifra tematica caratteristica.
Il suo approccio non è ideologico, ma comunque fortemente critico e di denuncia rispetto all’estraniazione e allo svuotarsi dei valori della nostra società. Per questo, la quiete apparente della sua pittura trasuda ovunque un’ironia consapevole, così come l’irrequietezza della ricerca di una soluzione, di una ricomposizione oggettiva mai trovata.
Metafisica, surrealismo e neo-pop-art in lui si compenetrano in forme e significati nuovi e originali: perché se gli esseri umani con teste zoomorfe richiamano la metafisica sarcastica di Savinio, le campiture cromaticamente intense e compatte di oggetti-simbolo sospesi in dimensioni interiori rimandano intertestualmente al surrealismo magrittiano e la feticizzazione delle “cose” e degli arredi d’uso quotidiano si collegano criticamente a Domenico Gnoli, è anche vero che l’alienazione che trapela da certi atopici paesaggi urbani è genuinamente hopperiana, così come la ricerca sul segno, la contorsione plastica di certe prove e la sperimentazione sulla scomposizione dell’immagine si rifanno al cuore più vitale del neo-espressionismo, mentre la grande abilità tecnica espressa nel sistema modulare seriale è intrinsecamente legato alla pop-art, ma con un tanto aggiuntivo di amarezza nella denuncia dei gridati stilemi grafici della nostra società.
La sua denuncia dell’apparenza sfuma in una originale meditazione sul rapporto tra realtà e visione, tra interno ed esterno, dove il diaframma può essere una finestra o lo schermo vuoto di un cinema deserto, o la tela stessa, e dove la poetica dell’oggetto abbandonato si associa al simbolismo iconico di forme e idee. Quasi che l’irrequietezza della memoria, e il legame emotivo che per il suo tramite ci avvince all’universo esterno, possa rappresentare l’unico rifugio dalla rapina del tempo, l’unica possibile ricomposizione - solo interiore - di una realtà frammentata, inquieta, sfuggente.
L’esposizione, organizzata dall’Assessorato alle attività culturali e teatrali del Comune di Parma e dalla Fondazione Monte di Parma, ha per titolo “Dipingere è amare ancora”, e si terrà presso la Galleria S. Ludovico.
Francesco Barilli è un noto regista cinematografico. Ma le sue origini artistiche, che hanno poi informato programmaticamente e visivamente la sua esperienza nella settima arte, sono pittoriche. E questo indipendentemente dall’inevitabile influenza di un clima familiare permeato a tutti i livelli dall’arte, pittura in primis: la famiglia parmigiana dei Barilli (cui la città di Parma ha dedicato una mostra di grande successo tra il 1997 e il 1998) rappresenta infatti un unicum per coerenza di passione, di qualità e per la varietà di esperienze artistiche attraverso quattro generazioni successive di pittori, scrittori, musicisti.
Francesco si appropria del suo stile già nei primi anni ’60, scegliendo la soluzione riformista del ritorno alla “figurazione nuova”, come reazione e ulteriore sviluppo rispetto alle esperienze astratte e informali allora imperanti nell’arte occidentale. Ma l’accostamento alla realtà in lui non è mai oggettivo: simboli e proiezioni concrete di astrazioni e scomposizioni fantastiche sono la sua cifra tematica caratteristica.
Il suo approccio non è ideologico, ma comunque fortemente critico e di denuncia rispetto all’estraniazione e allo svuotarsi dei valori della nostra società. Per questo, la quiete apparente della sua pittura trasuda ovunque un’ironia consapevole, così come l’irrequietezza della ricerca di una soluzione, di una ricomposizione oggettiva mai trovata.
Metafisica, surrealismo e neo-pop-art in lui si compenetrano in forme e significati nuovi e originali: perché se gli esseri umani con teste zoomorfe richiamano la metafisica sarcastica di Savinio, le campiture cromaticamente intense e compatte di oggetti-simbolo sospesi in dimensioni interiori rimandano intertestualmente al surrealismo magrittiano e la feticizzazione delle “cose” e degli arredi d’uso quotidiano si collegano criticamente a Domenico Gnoli, è anche vero che l’alienazione che trapela da certi atopici paesaggi urbani è genuinamente hopperiana, così come la ricerca sul segno, la contorsione plastica di certe prove e la sperimentazione sulla scomposizione dell’immagine si rifanno al cuore più vitale del neo-espressionismo, mentre la grande abilità tecnica espressa nel sistema modulare seriale è intrinsecamente legato alla pop-art, ma con un tanto aggiuntivo di amarezza nella denuncia dei gridati stilemi grafici della nostra società.
La sua denuncia dell’apparenza sfuma in una originale meditazione sul rapporto tra realtà e visione, tra interno ed esterno, dove il diaframma può essere una finestra o lo schermo vuoto di un cinema deserto, o la tela stessa, e dove la poetica dell’oggetto abbandonato si associa al simbolismo iconico di forme e idee. Quasi che l’irrequietezza della memoria, e il legame emotivo che per il suo tramite ci avvince all’universo esterno, possa rappresentare l’unico rifugio dalla rapina del tempo, l’unica possibile ricomposizione - solo interiore - di una realtà frammentata, inquieta, sfuggente.
13
gennaio 2004
Francesco Barilli – Dipingere è amare ancora
Dal 13 gennaio all'otto febbraio 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA SAN LUDOVICO
Parma, Borgo Del Parmigianino, 2/b, (Parma)
Parma, Borgo Del Parmigianino, 2/b, (Parma)
Orario di apertura
h. 10-13 e 16-19 Tutti i giorni tranne il martedì
Vernissage
13 Gennaio 2004, ore 18