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Amigdala – Maria Martinelli e Giuseppe Verga
L’enigmatico titolo della mostra (l’amigdala è la zona del cervello che attiva la memoria emotiva) è stato volutamente scelto dai due artisti come chiaro riferimento a ciò che accomuna la loro ricerca artistica orientata, seppur con mezzi tecnici distinti, sul funzionamento della memoria
Comunicato stampa
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Nei suoi lavori fotografici (elaborati in digitale dopo aver scattato la foto, stampati al plotter su tela e completati con olio, matita e carboncino) Maria Martinelli trasforma la realtà in surrealtà.
Attraverso il processo di elaborazione digitale dello scatto fotografico l’artista movimenta, ribalta, moltiplica e colora particolari delle immagini che ha scelto di evidenziare. Con il movimento inteso anche come processo “di moltiplicazione, materializzazione e smaterializzazione di un’immagine o meglio, di elementi dell’immagine” crea diverse copie dello stesso soggetto attraverso cui suggerire altri “suoi modi di essere, quindi altri aspetti, altre dimensioni e possibilità della sua vita.” Ribaltando le immagini, “induce uno stato di straniamento nello spettatore, che viene confuso dal fatto che l’immagine è capovolta.” Con il colore infine, evidenzia ciò che prende corpo a poco a poco alludendo in tal caso semplicemente “al venir fuori, al nascere, al manifestarsi” altre volte invece, lo usa per attirare l’attenzione su parti dell’immagine generalmente in rapporto tra loro. Con le sue opere Maria Martinelli realizza una sorta d diario di viaggio nel quale la foto “permette non tanto di ricordare momenti passati quanto piuttosto di vedere cose che forse, al momento dello scatto, l’occhio aveva registrato prima del cervello”.
Nelle tele di Giuseppe Verga foto-ricordo, illustrazioni, santini e scene di processioni rituali, si mischiano, come in un puzzle, in una composizione modulare (a riquadri in numero apri, da due in su) con personaggi del fumetto, scene underground e di vita notturna, icone prelevate dal linguaggio visivo del computer, graffiti urbani, brani da cover musicali. Il trasferimento sulla tela di queste immagini mnemoniche tratte dal suo “database interiore”avviene senza selezione di sorta e l’unione si compie unicamente attraverso la tecnica. Giuseppe Verga lavora ad olio su fondi beige di cotone non trattato per simulare il virato seppia delle foto d’epoca e con la pennellata “sbiadisce i contorni e propone solo un accenno di definizione” fino ad ottenere un’immagine “che risulta volutamente sfocata e imprecisa, smaterializzata come spesso accade alle immagini del nostro archivio mentale, difficili da recuperare interamente.” Nei suoi quadri la luce è “generatrice di immagini della memoria fisica” e il bagliore del bianco che “si contrappone talora al nero assoluto, un azzeramento visivo che funziona come pausa. Si ripete poi nuovamente per enfatizzare i vissuti, storie singolari solo nei ricordi intimo ma terribilmente comuni o sovrapponibili.” Attraverso la sua pittura Giuseppe Verga libera “la memoria colonizzata di ricordi, immagini e suoni.”
Attraverso il processo di elaborazione digitale dello scatto fotografico l’artista movimenta, ribalta, moltiplica e colora particolari delle immagini che ha scelto di evidenziare. Con il movimento inteso anche come processo “di moltiplicazione, materializzazione e smaterializzazione di un’immagine o meglio, di elementi dell’immagine” crea diverse copie dello stesso soggetto attraverso cui suggerire altri “suoi modi di essere, quindi altri aspetti, altre dimensioni e possibilità della sua vita.” Ribaltando le immagini, “induce uno stato di straniamento nello spettatore, che viene confuso dal fatto che l’immagine è capovolta.” Con il colore infine, evidenzia ciò che prende corpo a poco a poco alludendo in tal caso semplicemente “al venir fuori, al nascere, al manifestarsi” altre volte invece, lo usa per attirare l’attenzione su parti dell’immagine generalmente in rapporto tra loro. Con le sue opere Maria Martinelli realizza una sorta d diario di viaggio nel quale la foto “permette non tanto di ricordare momenti passati quanto piuttosto di vedere cose che forse, al momento dello scatto, l’occhio aveva registrato prima del cervello”.
Nelle tele di Giuseppe Verga foto-ricordo, illustrazioni, santini e scene di processioni rituali, si mischiano, come in un puzzle, in una composizione modulare (a riquadri in numero apri, da due in su) con personaggi del fumetto, scene underground e di vita notturna, icone prelevate dal linguaggio visivo del computer, graffiti urbani, brani da cover musicali. Il trasferimento sulla tela di queste immagini mnemoniche tratte dal suo “database interiore”avviene senza selezione di sorta e l’unione si compie unicamente attraverso la tecnica. Giuseppe Verga lavora ad olio su fondi beige di cotone non trattato per simulare il virato seppia delle foto d’epoca e con la pennellata “sbiadisce i contorni e propone solo un accenno di definizione” fino ad ottenere un’immagine “che risulta volutamente sfocata e imprecisa, smaterializzata come spesso accade alle immagini del nostro archivio mentale, difficili da recuperare interamente.” Nei suoi quadri la luce è “generatrice di immagini della memoria fisica” e il bagliore del bianco che “si contrappone talora al nero assoluto, un azzeramento visivo che funziona come pausa. Si ripete poi nuovamente per enfatizzare i vissuti, storie singolari solo nei ricordi intimo ma terribilmente comuni o sovrapponibili.” Attraverso la sua pittura Giuseppe Verga libera “la memoria colonizzata di ricordi, immagini e suoni.”
10
dicembre 2003
Amigdala – Maria Martinelli e Giuseppe Verga
Dal 10 dicembre 2003 al 14 febbraio 2004
arte contemporanea
Location
AL9E – ARTESTUDIO
Roma, Via Della Vetrina, 9, (Roma)
Roma, Via Della Vetrina, 9, (Roma)
Orario di apertura
dal martedì al sabato dalle 16h alle 19h30
Vernissage
10 Dicembre 2003, ore 18