Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Hiroshi Sugimoto
L’emozione di fronte a una fotografia di Hiroshi Sugimoto non viene dalla bellezza o dalla perfezione dei dettagli o dal mistero dell’immagine, ma dall’idea che l’ha suscitata.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Hiroshi Sugimoto crea, senza le stampelle di tecnologie ed effetti speciali, opere che contengono e comunicano allo spettatore l'idea che lo guida, il concetto che lo ha illuminato e che in quell'immagine ha trovato la sua espressione.
La mostra, che rientra nell’ambito del programma degli Annali delle Arti - ideato e diretto da Achille Bonito Oliva e curato da Eduardo Cicelyn - è promossa dalla Regione Campania in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale di Napoli ed è curata da Danilo Eccher.
Hiroshi Sugimoto è nato nel 1948 in Giappone dove ha compiuto studi di economia e politica ma, non nutrendo interesse per alcun tipo di vita professionale tradizionale, nel 1970 ha lasciato il paese e si è trasferito in California dove ha seguito i corsi dell'Art Central College. Dal 1974 Sugimoto si è trasferito a New York, da allora divenuta la sua base, anche se ha uno studio in Giappone e per natura e necessità viaggia molto. Le sue fotografie sono originate e realizzate nei luoghi più diversi e lontani ma è a New York che sono stampate, quelle di dimensioni medie nello studio in West Chelsea, le altre in un'altro studio downtown.
La sua formazione artistica dunque, avviene negli Stati Uniti, in un periodo in cui l’Arte Concettuale e il Minimalismo dominano la scena e
avranno una decisiva influenza sullo stesso artista giapponese. Interessato a tali fenomeni, Sugimoto recupera alcuni motivi ricorrenti nelle opere di Carl Andre o Dan Flavin come le forme rettangolari, il bianco, la luce come “materiale” artistico, rivisitandoli con l’uso della fotografia. Alla fine degli anni Settanta nasce così la serie dei “cinema” che, ispirata, dal desiderio di poter fotografare l’intera durata di un film, si traduce in immagini di schermi bianchi, pura luce contenuta nei rettangoli che campeggiano nella penombra delle sale di proiezione. Sugimoto rivela fin dagli esordi una grande attenzione formale per le proprie opere, il desiderio di combinare l’arte concettuale con la seduzione estetica, pur continuando a pensare la fotografia come un mero strumento per tradurre visivamente le proprie idee.
“Ritengo, però, che i concetti più profondi possano esprimersi solo con l’ausilio di una tecnica ben padroneggiata”. Sugimoto, con simili dichiarazioni, sembra volere arginare una possibile deriva dell’arte verso il privilegio del concetto a discapito delle soluzioni formali e, come a sottolineare tale aspetto della propria ricerca, lavora quasi sempre “in serie”, con cicli che lo portano a insistere per diversi anni sullo stesso tema, magari elaborando minime variazioni come nel caso dei “seascapes”. Le onde del mare gli si offrono come un paesaggio che, pur essendo in continuo movimento, resta invariato nei secoli, “l’ultima visione che possiamo condividere con gli antichi”, un naturale pretesto per una rappresentazione che tenda al “classicismo”. Il desiderio di corrispondere alle scene viste o immaginate da altri motiva anche la sua scelta di studiare e fotografare “fuori fuoco” diversi edifici modernisti, collocandosi nello scarto tra il progetto originale dell’architetto e la sua realizzazione, offrendo una scena generale in cui i dettagli spariscono nel gioco di ombre ottenuto dall’artista. Sugimoto sembra sempre cercare delle immagini il cui nitore e la cui bellezza non possano essere scalfiti dal passare del tempo o da dettagli. La sua ricerca tende al “classico” perché ha di mira “rappresentazioni” che rivelino un’essenza immutabile, non condizionata dalla contingenza, come l’artista sembra confermare anche nel confrontarsi con il genere del ritratto. Non fotografa persone, ma modelli in cera, forme immutabili, scene fisse, magari sul modello di visioni altrui come i quadri di maestri del passato, in modo simile a quanto avviene in un’altra sua celebre serie: quella dei “diorami”, ossia fotografie di scene pensate, costruite e già fissate invariabilmente nel tempo.
La mostra, che rientra nell’ambito del programma degli Annali delle Arti - ideato e diretto da Achille Bonito Oliva e curato da Eduardo Cicelyn - è promossa dalla Regione Campania in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale di Napoli ed è curata da Danilo Eccher.
Hiroshi Sugimoto è nato nel 1948 in Giappone dove ha compiuto studi di economia e politica ma, non nutrendo interesse per alcun tipo di vita professionale tradizionale, nel 1970 ha lasciato il paese e si è trasferito in California dove ha seguito i corsi dell'Art Central College. Dal 1974 Sugimoto si è trasferito a New York, da allora divenuta la sua base, anche se ha uno studio in Giappone e per natura e necessità viaggia molto. Le sue fotografie sono originate e realizzate nei luoghi più diversi e lontani ma è a New York che sono stampate, quelle di dimensioni medie nello studio in West Chelsea, le altre in un'altro studio downtown.
La sua formazione artistica dunque, avviene negli Stati Uniti, in un periodo in cui l’Arte Concettuale e il Minimalismo dominano la scena e
avranno una decisiva influenza sullo stesso artista giapponese. Interessato a tali fenomeni, Sugimoto recupera alcuni motivi ricorrenti nelle opere di Carl Andre o Dan Flavin come le forme rettangolari, il bianco, la luce come “materiale” artistico, rivisitandoli con l’uso della fotografia. Alla fine degli anni Settanta nasce così la serie dei “cinema” che, ispirata, dal desiderio di poter fotografare l’intera durata di un film, si traduce in immagini di schermi bianchi, pura luce contenuta nei rettangoli che campeggiano nella penombra delle sale di proiezione. Sugimoto rivela fin dagli esordi una grande attenzione formale per le proprie opere, il desiderio di combinare l’arte concettuale con la seduzione estetica, pur continuando a pensare la fotografia come un mero strumento per tradurre visivamente le proprie idee.
“Ritengo, però, che i concetti più profondi possano esprimersi solo con l’ausilio di una tecnica ben padroneggiata”. Sugimoto, con simili dichiarazioni, sembra volere arginare una possibile deriva dell’arte verso il privilegio del concetto a discapito delle soluzioni formali e, come a sottolineare tale aspetto della propria ricerca, lavora quasi sempre “in serie”, con cicli che lo portano a insistere per diversi anni sullo stesso tema, magari elaborando minime variazioni come nel caso dei “seascapes”. Le onde del mare gli si offrono come un paesaggio che, pur essendo in continuo movimento, resta invariato nei secoli, “l’ultima visione che possiamo condividere con gli antichi”, un naturale pretesto per una rappresentazione che tenda al “classicismo”. Il desiderio di corrispondere alle scene viste o immaginate da altri motiva anche la sua scelta di studiare e fotografare “fuori fuoco” diversi edifici modernisti, collocandosi nello scarto tra il progetto originale dell’architetto e la sua realizzazione, offrendo una scena generale in cui i dettagli spariscono nel gioco di ombre ottenuto dall’artista. Sugimoto sembra sempre cercare delle immagini il cui nitore e la cui bellezza non possano essere scalfiti dal passare del tempo o da dettagli. La sua ricerca tende al “classico” perché ha di mira “rappresentazioni” che rivelino un’essenza immutabile, non condizionata dalla contingenza, come l’artista sembra confermare anche nel confrontarsi con il genere del ritratto. Non fotografa persone, ma modelli in cera, forme immutabili, scene fisse, magari sul modello di visioni altrui come i quadri di maestri del passato, in modo simile a quanto avviene in un’altra sua celebre serie: quella dei “diorami”, ossia fotografie di scene pensate, costruite e già fissate invariabilmente nel tempo.
19
dicembre 2003
Hiroshi Sugimoto
Dal 19 dicembre 2003 al 29 febbraio 2004
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
MUSEO DI CAPODIMONTE
Napoli, Via Di Miano, 2, (Napoli)
Napoli, Via Di Miano, 2, (Napoli)
Biglietti
intero €7.50, ridotto €3.75, dalle 14.00 intero €6.50; ridotto €3.75
Orario di apertura
tutti i giorni ore 10.00-18.00; lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima
Vernissage
19 Dicembre 2003, ore 18
Editore
ELECTA NAPOLI
Ufficio stampa
CIVITA
Autore
Curatore