La mostra, curata da Luca Beatrice e da Gianfranco Rossi, è composta da un’ampia selezione di opere realizzate negli ultimi dieci anni e consente di analizzare in maniera approfondita la figura della Pezzi ripercorrendo gran parte del suo percorso artistico.

Paola Pezzi nasce a Brescia nel 1963. Allieva dell’Accademia di Brera di Milano, segue i corsi di Luciano Fabro e Zeno Birolli assorbendo e personalizzando direttamente la lezione dell’arte povera che la spinge velocemente a capire le avanguardie artistiche contemporanee.

Tra la metà degli anni ’80 e quella degli anni ’90 Paola Pezzi si dedica alla scultura realizzando una serie di opere con materiali sintetici come il polistirolo, ricoperti da grossi grani di terriccio e materie naturali (bende, stoffe colorate e vecchie passamanerie) ottenendo delle sculture che sembravano reperti archeologici dissotterrati dopo lungo tempo, frammenti decorativi scoperti durante una campagna di scavo, frutto della maualità di civiltà sepolte.
Nella seconda metà degli anni Novanta passa alla pittura dando vita ad una sorta di diario della sua esperienza quotidiana, di trasposizione fiabeca del proprio vissuto, di censimento decorativo della sua casa-studio.

In esposizione i lavori degli ultimi anni: sculture soft, in pannolenci e sughero, e hard, fatte di cannucce, matite colorate, biro, pastelli a cera.
Un universo leggero, metamorfico, ironico, lirico e scanzonato che conserva la forte valenza coloristica della precedente esperienza pittorica. Ogni opera è dialogo tra forma e colore, è magia che si ricrea attraverso se stessa in un gioco che trasforma l’ovvio in una nuova realtà simbolica.
L’oggetto di consumo quotidiano che usiamo e poi gettiamo si disambienta e, perdendo la sua funzione banale, diventa opera d’arte. Le matite colorate o le cannucce sono raccolte a mazzo, fissato nello spazio, come se si congelasse il lancio del gioco mikado: è il gesto stesso che produce la composizione ritmica, creando un ordine astratto.