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Fernanda Sanna – Opere 1998 – 2003
La Galleria Sottopiano, dopo la pausa estiva, riapre il ciclo di esposizioni con la prima mostra personale dell’artista Fernanda Sanna, curata da Roberta Vanali. In galleria saranno esposti sette dipinti di grandi dimensioni eseguiti ad acrilico su tela che rappresentano una selezione delle opere più significative del percorso dell’artista dal 1998 fino ad oggi.
La multiforme ricerca estetica di Fernanda Sanna è una riflessione sul senso dell’esistenza. Essa si muove sul filo dell’impossibilità espressiva della condizione umana, della mancata realizzazione dell’individuo davanti alla caducità del destino. Il suo linguaggio spazia dal citazionismo medievale al recupero della tradizione rinascimentale e del Novecento italiano attraverso la rappresentazione di un’umanità sofferente che passivamente accetta il proprio destino. L’artista, pur limitandosi al solo tratto di contorno, conferisce volume alla figura umana la cui espressione è resa con penetrante semplicità, rilevata dal rigore assoluto del disegno. Di fondamentale importanza l’elemento cardine attorno al quale ruota gran parte della sua ricerca artistica: la maschera.
Fernanda Sanna nasce a Cagliari il 19 marzo 1974, consegue la maturità artistica presso il Liceo Artistico di Cagliari. E’ attualmente iscritta alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Cagliari. Ha partecipato ad alcune mostre collettive a livello regionale e questa è la sua prima mostra personale.
Il più importante strumento che, con la pratica costante,
l’artista forgia per se stesso è la capacità di compiere miracoli
al momento opportuno. I quadri devono essere miracolosi.
Nell’istante in cui un quadro è terminato,
ha fine l’intimità tra la creazione e il creatore.
Il creatore diventa esterno alla sua stessa opera.
Per lui, come per chiunque altro,
il quadro dovrà essere una rivelazione,
la soluzione inattesa e inedita
di un problema che da sempre gli urge dentro.
Mark Rothko
La multiforme ricerca estetica di Fernanda Sanna è una riflessione sul senso dell’esistenza. Essa si muove sul filo dell’impossibilità espressiva della condizione umana, della mancata realizzazione dell’individuo davanti alla caducità del destino. La necessità di esprimere il disagio esistenziale converge nell’opera dell’artista attraverso l’oggettivazione del sentimento che si riscontra fin dalla prima incisiva opera: La Sposa. Il suo volto scuro è una grottesca maschera d’ispirazione goyesca dallo sguardo sommesso. Immobile, silenziosa, essa si concede all’amato consapevole dell’indissolubilità dell’unione e del sacrificio che dal vincolo scaturisce. Con gesti lenti e suadenti, il suo corpo nudo si contorce per tendere l’esile filo che precariamente sostiene un canestro colmo di melegrane, i cui vermigli chicchi sancirono l’unione tra Proserpina e Plutone.
La linea pura conferisce nitore ed evidenzia l’atteggiamento simbolico della figura mollemente adagiata, immersa in un’atmosfera sospesa, surreale. La stessa che si respira nell’Attesa - palese riferimento a Casorati - dove la stilizzazione della figura si fa più rigida e l’ambiente circostante spoglio ed inquietante. In una silenziosa immobilità di stampo metafisico, l’attesa di possibili eventi è negata dal filo attorno alle dita tanto esile quanto determinante emblema di rassegnazione di fronte all’ineluttabilità del divenire.
L’arte di Fernanda Sanna spazia dal citazionismo medievale al recupero della tradizione rinascimentale e del Novecento italiano attraverso la rappresentazione di un’umanità sofferente che passivamente accetta il proprio destino. L’artista pur limitandosi al solo tratto di contorno conferisce volume alla figura umana la cui espressione è resa con penetrante semplicità, rilevata dal rigore assoluto del disegno. La ricerca di una luce avvolgente, che rispecchia un profondo senso di spiritualità, incarna l’equilibrio tra razionalità e sensibilità, restituendo un’atmosfera fortemente onirica. Le figure conservano monumentalità, sobrio classicismo e sintesi stilistica tipicamente sironiani nonché quei valori allusivi che determinano una visione pessimistica dell’esistenza, tra cui un elemento cardine attorno al quale ruota gran parte del suo linguaggio artistico: la maschera.
Essa non si pone come un problema del rapporto tra essere ed apparire bensì come perdita d’identità, metafora di una forma che imprigiona e condiziona l’esistenza umana. Persino Gli Amanti, che appaiono come avvolti da un’aura mistica in balia di un vortice di passione, che tanto li accosta agli amanti danteschi, indossano un’impercettibile maschera. Elevato all’universo simbolico dell’eros, l’amore rientra in una dimensione magica, in uno spazio indefinito, che la maschera rende ambiguo. Indossata dai lascivi amanti, essa diviene simbolo dell’incomunicabilità della coppia, della complessa precarietà dell’esistenza e della dicotomia tra l’inesorabile divenire dell’uomo e le sue aspirazioni.
In Mestruo, opera di transizione nel percorso dell’artista, è evidente un’evoluzione scandita da un linguaggio estetico dove la linea rigorosa perde fluidità e il dato prospettico s’infrange. Perfino la maschera subisce una profonda mutazione divenendo un elemento quasi meccanico dalle fattezze comparabili al robot di Rotwang in Metropolis. La visione dell’artista esplicita un’identità femminile, impenetrabile ed ambigua, vissuta come sacrificio esistenziale. La donna nimbata si accovaccia a tracciare Il Grande Cerchio che “tende a trattenere qualsiasi cosa nasca in esso e circondarlo della sua eterna sostanza” come sostiene Neuman in relazione ai principi dell’inconscio collettivo.
In Identità il colore dato per campiture piatte acquisisce tonalità stridenti definite da contorni incisivamente marcati che rievocano la maniera cloisonnè degli smalti medievali. La regola prospettica è oramai dissolta e la totalità della rappresentazione avviene su un unico piano. Fortemente semplificato il dato formale si fa geometrico ed assume una fredda stilizzazione nella quale è facile leggervi una sorta di primitivismo non lontano dal protocubismo picassiano. La maschera, protagonista silenziosa, svanisce all’improvviso.
Autoritratto costituisce una conferma di questa scelta stilistica e si pone al culmine della sua evoluzione. Apparentemente lontana dalle prime rappresentazioni, ad una lettura più approfondita si rivela ancora addentro alla tematica del disagio esistenziale ma stavolta è indubbia la volontà di riscatto. L’esistenza diviene metafora di un viaggio iniziatico, anelito di purificazione, alla ricerca della più alta dimensione spirituale. Sintesi, scomposizione formale e cromatismi sferzanti si configurano come uno strumento concettuale atto a scandagliare gli aspetti più reconditi della psiche e ad immergere l’anima in una sorta di catarsi per giungere ad esiti vicini alla citazione junghiana che recita: “L’inconscio non è soltanto male, ma è anche la sorgente del bene più alto; non è solo buio ma è anche luce, non solo bestiale, semi-umano, demoniaco, ma sovraumano, spirituale e, nel senso classico del termine divino”. (da Catalogo FERNANDA SANNA Opere 1998 2003 a cura di Roberta Vanali)
Fernanda Sanna – Opere 1998 – 2003
Cagliari, Via Antonio Scano, 92, (Cagliari)