08 gennaio 2015

Siamo tutti Charlie

 
Difficile scrivere qualcosa sotto l’effetto dello shock per la strage di Charlie Hebdo. É necessario riflettere, cercando di evitare le paludi generaliste dell’islamofobia e del nazionalismo. E pensando, sempre, alla libertà

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Nei minuti successivi all’attentato alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo la Mairie de Paris ha adottato, e twittato, un’icona che diverrà simbolo del 7 gennaio 2015: “Je suis Charlie”. Io sono Charlie. 
Un messaggio che poi è stato variato e adottato anche per la prima pagina di Liberation di oggi: “Nous somme tous Charlie”: Siamo tutti Charlie. Tutti coloro che nella vita quotidiana, sul lavoro, nei rapporti personali, perseguono l’idea della giustizia, la verità, una libertà di espressione basilare  e non cedibile al prezzo di promesse di vite eterne e giardini di vergini, se proprio la si vuole buttare sul piano del fanatismo religioso. 
Lasciando da parte cronaca e polemiche sulla mancanza di sicurezza intorno alla bollente redazione di Charlie Hebdo il rischio, all’indomani di questo episodio, è che si faccia di tutta l’erba un fascio e che la fede islamica, ancora una volta, diventi il capro espiatorio dei mali dell’Occidente, supportata dalla politica di Marie Le Pen, giusto per citare una figura. 
Parigi, nelle ultime ore, ha reagito al terrore e al lutto con la compostezza che si addice alla città più “culturale” d’Europa, basti pensare alla manifestazione silenziosa di Place de la République, quando al tramonto di ieri sera una folla di migliaia di persone si è radunata con un foglio bianco e una matita in mano.
Su quel foglio bianco i vignettisti di “Charlie”, come lo chiamavano i francesi, avevano disegnato anarchicamente, libertariamente, in modo anche strafottente politici, papi, capi di stato e anche terroristi, senza distinzioni – viene da citare la Costituzione  – di razza, sesso e religione. Per Charlie contava la satira. Al vetriolo, spietata, sempre e comunque. Per esorcizzare paure, per aprire gli occhi, per ridimensionare ideologie e formare idee.
Quelle idee che ieri, i tre uomini incappucciati, hanno ucciso con la freddezza con cui hanno sparato al poliziotto agonizzante sul marciapiede davanti agli uffici di rue Richard-Lenoir, in un filmato allucinante che ha fatto il giro del mondo, urlando “Abbiamo ucciso Charlie Hebdo”. Ma come sempre accade, a fronte a questi episodi, i Charlie oggi non sono solo duplicati: sono cresciuti esponenzialmente, sono diventati milioni, in tutto il mondo, anche in quello musulmano che ha subito condannato l’atto. 
Effetto social media, certamente, ma anche una sorta di movimento delle coscienze che non deve per forza dare la caccia all’untore, anche se i responsabili di questo gesto andranno duramente condannati. Altan, grande vignettista italiano, nel ricordare la sua amicizia con Georges Wolinski, disegnatore ucciso tra gli altri insieme al direttore Stephane Charobonnier, ha spiegato che sarà impossibile replicare a questo folle gesto con una serie di disegni, di qualsiasi genere essi siano. Serve silenzio. Serve la possibilità di poter perseverare nel credere che sia ancora vera, e più forte che mai, la vera Trinità della vita umana, che in Francia – specialmente in quella città dove si è più scritto, letto e pensato negli ultimi secoli – ha preso i nomi di Liberté, Egalité e Fraternité. Facendo crollare Dèi fondamentalisti e mistificazioni.  A futura memoria, e per il futuro della civiltà. Libera. (MB) 

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