Fabrizio Bellanca

Fabrizio Bellanca è uno sperimentatore infaticabile. Componendo in mosaico visivo le tessere di un mondo frastagliato, dimostra di conquistare almeno una verità: la ricerca non è mai libera. Per funzionare, ha bisogno di regole e di limiti. Nel suo caso, sono i materiali e le scelte espressive che ne derivano, giorno dopo giorno.
Bellanca è figlio d’arte. E si sente. È grafico di professione. E si vede. Proviene da un antico sogno, il graffito urbano. Tipico della sua come di molte altre generazioni, anche se ormai è genere tramontato, non più documento di poesia ma di banale violenza.
Da tempo Bellanca ha accantonato il pennino e l’aerografo, per approdare a più maturi livelli di conoscenza e di esperienza. Mantenendo inalterata, per sua fortuna, una vivace curiosità, che lo porta ad esplorare le tecniche artistiche di varie epoche e, di conseguenza, i loro strumenti. Si va dal pixel del computer – nelle sue varie modalità di trattamento – alla candeggina, dai colori per vetro alle lastre di metallo per uso edilizio e industriale, spesso incise con la fresa e con il trapano.
Lo angustia, in questa fase, sentirsi diviso tra due poli. Allo stesso tempo affascinato dal realismo della figurazione e dagli slanci metafisici dell’astratto. Ma non dovrebbe preoccuparsene più di tanto, perché nel suo atelier la varietà dei risultati contraddice ampiamente qualsiasi manicheismo. E lo si nota in questa mostra, che intende sintetizzare cinque anni di percorsi creativi. Un lustro, nella vita di un artista, può rappresentare molto ma anche poco. Dipende dalla prospettiva di chi osserva, e più ancora dalle ambizioni di opere che, in piena autonomia, vanno per il mondo lasciandosi alle spalle i progetti dell’autore.
In particolare, qui si passa dalla forma definita alla sua matrice geometrica primaria, dai toni notturni a quelli solari. C’è un Gesù del terzo millennio con tatuaggi alla moda e uno Spirito Santo in forma naif. E, poco oltre, un’inquietante testa di Medusa che scruta e giudica chi osserva. Salvata dal delirio per forza di pittura e dall’oblio grazie a internet – ha origine, rivela il pittore, dalla fortunata casualità di una chat-line.
Nel suo viaggio alla ricerca di uno stile, per superare il narcisismo proprio di ogni artista, Fabrizio usa con molta libertà gli strumenti di cui dispone. Ma non lasciatevi ingannare, è solo un’apparenza. In effetti il suo tormento (e, per ora, la sua estasi) è raggiungere finalmente una disciplina ferrea. Che faccia assumere ad ogni singola pagina del racconto – finita o dichiarata come tale – il senso e il ruolo di una carta d’identità.
Lorenzo Morandotti

 
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17 luglio 2003

Fabrizio Bellanca

Dal 17 luglio al 05 agosto 2003
Location
GALLERIA LOPEZ
Como, Via Vitani, 26, (Como)

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