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Tu che mi guardi, tu che mi racconti
Tu che mi guardi, tu che mi racconti espone un’idea di ritratto che, spesso e, inevitabilmente si trasforma in un autoritratto e viceversa, creando uno spazio vuoto, un GAP dove si colloca la presenza di chi guarda. Il ritratto è qui un’immagine che invade il suo status, al di là della semplice rappresentazione: un oggetto che mette in evidenza la struttura del soggetto dentro e fuori sé.
Il ritratto, l’autoritratto, il “psico-ritratto”, è quell’approccio che consente di dar voce ai particolari del corpo e a un possibile e istantaneo racconto.
Non una semplice cronaca, ma un insieme di “affinità”, di convergenze, di interdipendenze con il mondo, l’artista e lo spettatore. Come se fosse possibile semplicemente attraverso l’immagine di un individuo cogliere i segni di una storia e di un’epoca.
Perché in questa visione il ritratto è anche un autoritratto e, perché il ritratto per apparire deve incarnarsi in più persone. A cura di Michela Arfiero.
Tu che mi guardi, tu che mi racconti
Bergamo, VIA BETTY AMBIVERI, 17, (Bergamo)