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08
aprile 2019
CURATORIAL PRACTICES
rubrica curatori
Veniamo tutti da qualche parte; la Tate Exchange di Liverpool ce lo ricorda. Intervista a Marina Moreno
di Camilla Boemio
di Camilla Boemio
“We All Come From Somewhere” è un progetto che celebra e rispetta le diverse ragioni per cui le persone migrano, siano esse politiche, economiche o personali. Difende la necessità di rispettare le migrazioni ponendole come un diritto umano insindacabile, stimola e funziona come modello di arte partecipativa. Curato da ArteMotion si è sviluppata in modo relazionale con il pubblico, dal 25 al 31 di Marzo, alla Tate Exchange di Liverpool. Ne parlo con Marina Moreno, la co-fondatrice di ArteMotion, spaziando dal memorabile percorso portato avanti dalla Tate Exchange ed indagando nella sua visione dell’arte che prende forma nella responsabilità politica e nella partecipazione collettiva.
Molti artisti oggi vivono la loro carriera in modo meno dipendente dall’azione del curatore. Secondo te qual è il futuro di questa figura?
«La figura dell’artista diventerà sempre più polivalente, alternandosi a lavori molteplici come autore, project manager, producer, collaboratore, curatore e gallerista. Ma sopratutto, cambierà la maniera in cui ci rivolgiamo all’arte divenendo strumento essenziale di collaborazione e di integrazione nella società. Ormai penso che stia diventando obsoleto pensare all’arte come promotore di quadri esposti in una galleria dove solo in pochi sono interessati; si avverte già un grosso cambiamento in cui sia molti artisti, curatori e professionisti si dedicano a un nuovo movimento artistico che è quello della socially engaged arts, collocando l’audience al centro della realizzazione artistica e capovolgendo il senso stesso che l’arte può creare ed inventare in un contesto sociale contemporaneo. Ritengo la figura del curatore; pur rimanendo importante possa cambiare il modo di lavorare con l’artista, contribuendo a collocare l’opera sempre più in un contesto sociale».
Marina Moreno, Fashion Victim, Venice Vending Machine, Tate Exchange alla Tate Modern di Liverpool, Agosto 2018, foto realizzata da AAC.
Cosa hanno realizzato le istituzioni in Gran Bretagna per soddisfare le esigenze di un pubblico sempre più esigente? Quali sono le tue preferenze metodologie e i modelli utilizzati dalle istituzioni? Puoi fornirci degli esempi che reputi virtuosi?
«La Tate Exchange è un vero progetto rivoluzionario e un nuovo modello sperimentale su come si possa coinvolgere direttamente il pubblico e le persone che normalmente non frequentano le gallerie d’arte.
Fin dalla sua nascita la Tate Liverpool ha collocato la comunità locale al centro dello sviluppo nel relazionarsi con la città, andando verso le persone, piuttosto che aspettare che la comunità venisse in Galleria. Il Learning Team di Tate Liverpool diretto da Lindsey Fryer, Head of Interpretation e Education, è stato uno dei primi ad usare questa metodologia di apertura verso il pubblico iniziando ad esplorare con la gente locale nuove soluzioni per connettersi con la Galleria, l’arte e con gli artisti riconosciuti nei circuiti.
Sin dall’inizio i rapporti con gli artisti che vivono e lavorano localmente è stata una caratteristica fondamentale dei programmi educativi, in tandem con gli artisti noti, nelle mostre speciali e nel coinvolgimento nelle commissioni scientifiche. Tate Liverpool ha fatto parte di Collaborative Arts Partnership, un progetto finanziato dall’UE di quattro anni, guidato da Create Ireland, che ha potuto creare delle commissioni per artisti la cui pratica è collaborativa. Caap inoltre sostiene i giovani a sviluppare conoscenze e competenze curatoriali. La “Palestra dell’arte/Tate Gym” nel 2016 è stata una collaborazione tra Tate Collective, composta da giovani dai quindici ai venticinque anni, e Assemble, che ha creato un progetto innovatore. Tate Gym ha esplorato come l’arte possa avere un impatto sulla salute e il benessere.
I giovani hanno progettato lo spazio della galleria ed hanno commissionato gli artisti per ospitare opere interattive, presentazioni e workshops. Raggiungendo la somma di oltre 10mila visitatori in sole tre settimane l’Art Gym ha sfidato sia processi curatoriali all’interno dell’istituzione stessa ma anche quello che il pubblico potrà in futuro aspettarsi da Tate Liverpool. Durante la primavera seguente, attraverso una call out aperta a tutti per una commissione artistica, Tate Liverpool ha lavorato con l’artista americano, residente a Berlino, Christopher Kline per il suo progetto “O.K. the Musical” che ha esplorato nel 2017 le storie micro, i miti e le leggende della sua città natale. In partnership con Super Slow Way in Lancashire; questo progetto ha connesso la gente proveniente dalla zona dei Pennine nel Lancashire con diversi gruppi della città di Liverpool collaborando tutti assieme con Christopher Kline per la produzione di un musical. Esplorando storie locali del Lancashire e di Liverpool e collaborando con Kline sulla storia di Kinderhook in America si è creata una vera connessione tra le due comunità che hanno potuto così condividere e sperimentare le loro storie. Un altro modello interessante è quello che sta sperimentando Janine Sykes attraverso la sua ricerca presso la Sunderland University. Janine è artista e course leader di Ma Curation Practice all’università di Leeds, e la sua ricerca “Curation as a blended practice” colloca i cittadini al centro della partecipazione, performance, Live, process-based, e New Media Art. Un’altra organizzazione che propone dei modelli artistici diversi è East Street Arts che è stata fondata da due artisti, Karen Watson and Jon Wakeman, prendendo come punto di riferimento la ricca storia del movimento artistico inglese Artist-LED Practice e rispondendo ai precedenti storici ed al clima politico nel momento in cui l’organizzazione è emersa. Attraverso l’ideologia dell’alternativa, questa organizzazione è nata con l’obiettivo di contestare il posto per l’arte ed il ruolo dell’artista ed ha sostenuto artisti a livello locale e internazionale per oltre venticinque anni. Utilizzando piattaforme artistiche familiari per esplorare la pratica artistica come ad esempio lo studio, lo spazio per progettare e la pubblicazione ha inoltre sviluppato nuovi concetti di luoghi non-Art e ha collegando gli artisti e il pubblico attraverso il quotidiano ad esempio usando la casa come luogo d’incontro e di sperimentazione».
Camilla Boemio