Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Celeste, grato. Sono aggettivi senza nome, come se di una presenza restasse solo una qualità assoluta.
Questo transitare della presenza, dal nome all’aggettivo, esprime una mancanza e una assenza, irrimediabili.
Così Marcella Vanzo interpreta la memoria impossibile, suscitata a distanza di cento anni, da un monumento che è al tempo stesso solenne, splendido, imbarazzante, vergognoso. Nato per celebrare la memoria dei caduti della Grande Guerra a Redipuglia, il monumento è una intera montagna di pietra, un Golgota artificiale e geometrico che non dice altro se non l’assenza al mondo di vite giovani, partite e mai più tornate, in quella che è stata la più grande carneficina della storia militare. L’intenzione del monumento di celebrare la presenza militare del sacrificio è trasformata dal lavoro dell’artista nella pietà per la qualità del cielo, dell’acqua, della pioggia, del suono, dell’assenza senza rimedio.
Marcella Vanzo (vive e lavora a Milano, ma ha studiato anche a Londra oltre che all’Accademia di Brera, dove si è formata oscillando fra antropologia e arti visive) indaga uno spazio rimosso, quello del conflitto, della memoria patria, servendosi di un video e di fotomontaggi che lavorano per spostamento e sottrazione, realizzando un’opera sintetica, non retorica, radicale. Non senza sorprendere, facendo irrompere, nell’orizzonte simbolico di una marcia per il patibolo o per la gloria, un assolo di batteria, selvaggio e senza commenti.
Marcella Vanzo, To wake up the living, to wake up the dead
In questo assolo vive la qualità del suono di una folla compatta e disperata di battiti cardiaci persi, travolti dalla storia, in un sacrificio che oggi appare sempre di più inutile e vuoto.
Ai tempi delle comunità che rivendicano il suolo per micro-appartenenze, questo appello suona come un urlo per la libertà e la ribellione, un ricordo vitale senza ideologia e retorica, paradossalmente consolante. E proprio per questo, l’unica presenza possibile di queste vite mai vissute è nella qualità rimossa di chi forse può rivivere solo nell’aria, nella pioggia e nel vento che non smettono di corrodere il bronzo delle iscrizioni, il calcare della roccia della città friulana, come il nostro oblio sta facendo.
Queste sono le ultime settimane per visitare una installazione al tempo stesso minimale e rumorosa, fastidiosa e delicata, a Venezia, nella sede della Fondazione Berengo a Palazzo Cavalli Franchetti, curata da Matteo Bergamini. L’opera è intensa, interpreta lo spazio anche della fondazione con delicatezza e precisione, è il momento aurorale di una ricerca più lunga – a proposito di memoria, storia, patria, appartenenza, ai tempi dell’oblio e dell’individualismo cannibale, – che merita di essere seguita.
Giovedì 11 aprile, dalle 17.30, l’artista e il curatore saranno in dialogo in un talk promosso dalla Fondazione, nella sede della mostra.
Irene Guida
Mostra visitata l’8 marzo 2019
Dall’8 marzo al 13 aprile 2019
Marcella Vanzo
To wake up the living, to wake up the dead
(seconda mostra del ciclo “Radical”, a cura di Penzo+Fiore)
Venezia, Palazzo Cavalli Franchetti
San Marco 2847 (Ponte dell’Accademia) Venezia