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Il Consiglio di amministrazione scaligero ha deciso: nel board non ci saranno rappresentanti sauditi ma il teatro resterà aperto a possibili collaborazioni.
Si concludono così le polemiche che nell’ultimo periodo avevano coinvolto la Scala di Milano, trasformando in un vero e proprio caso l’ipotesi dell’ingresso dell’Arabia Saudita nel suo cda, in cambio di una consistente donazione di fondi: un totale di 15 milioni di euro (3 milioni all’anno, per cinque anni) a cui si sarebbero aggiunti 100mila euro di finanziamenti destinati all’Accademia, che si occupa della formazione dei nuovi artisti. La proposta si mostra in linea con i 96 obiettivi del “Saudi Vision 2030” – piano di sviluppo socioeconomico a lungo termine, approvato il 25 aprile 2016 – con cui l’Arabia progetta di aprirsi al mondo occidentale, a partire proprio dal piano culturale. Fra i candidati a rappresentare il paese arabo come socio fondatore del Teatro, infatti, vi sarebbe stato il principe Badr, dirigente d’azienda e Ministro della cultura nel governo di Riad, strettamente coinvolto nel progetto.
I contrasti erano iniziati quando il senatore Maurizio Gasparri aveva chiesto al ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli, quali fossero le valutazioni del governo sulla questione, visto che si trattava di far entrare nel cuore del più importante teatro lirico italiano un paese come l’Arabia che, nel rispetto dei diritti umani, politici e civili, si mostra ancora arretrato, rispetto all’Occidente.
Vera protagonista della polemica è stata la contesa fra il sovraintendente del Teatro alla Scala, Alexander Pereira, e il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana – tanto favorevole all’annessione saudita il primo, quanto contrario il secondo – il cui antagonismo è esploso quando, a inizio marzo, sul conto escrow di un notaio milanese sono stati versati dall’Arabia i primi 3 milioni previsti dall’accordo, non solo senza che questo fosse mai stato firmato, ma anche prima che il cda si fosse riunito per discuterne. La riunione straordinaria del consiglio di amministrazione, infatti, era stata fissata per il 18 marzo. Subito dopo la scoperta, il governatore ha usato parole molto dure nei confronti di Pereira, reo di aver accettato l’acconto: «L’attuale sovrintendente della Scala confonde le tardive e superficiali informazioni che mi ha dato con un presunto consenso, né richiesto, né tanto meno dato. Una cosa di tutta questa vicenda è chiara: l’attitudine di Pereira a creare confusione per coprire la preoccupante disinvoltura con cui ha gestito la politica culturale della Scala e la sua immagine nel mondo. Ancora più grave è il fatto di aver comunque accettato dei fondi a prescindere dalle decisioni del cda e addirittura prima che questo si riunisse. In qualunque cda, a qualsiasi latitudine, questo comportamento provocherebbe il suo licenziamento». Pereira, dal canto suo, si è difeso dicendo che, invece, tutti ne erano al corrente, che nessuno si era opposto e fornendo la documentazione completa dei movimenti.
Eccoci dunque arrivati al 18 marzo e alla riunione che ha messo un punto a questa storia. La scelta di restituire i fondi ha fatto cadere, di conseguenza, tutte le eventuali possibilità di un ingresso saudita nel consiglio scaligero. Al riguardo, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha dichiarato che la decisione è stata presa all’unanimità, anche perché è stato notato che i bonifici ricevuti non rispettavano le linee guida per le donazioni alla Scala, non riportando causale.
Con la stessa fermezza, il sindaco ha dichiarato che Pereira resterà al suo posto fino alla scadenza del suo mandato, prevista nel 2020, e ha voluto sottolineare che la conclusione di questa vicenda non deve essere letta come una chiusura nei confronti dell’Arabia Saudita, con la quale, anzi, si augura di poter avere altre occasioni di relazione in futuro: «Se qualcuno ritiene che coi sauditi non si debba parlare non siede in questo cda. La Scala ha sempre parlato con tutti i Paesi del mondo». (Lucrezia Cirri)