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20
dicembre 2018
Cent’anni prima, Capri
altrecittà
Esce nelle sale il nuovo film di Mario Martone, ma è l’isola che trionfa nella sua natura selvatica e pagana, e le atmosfere sui dialoghi. Nonostante la maestria del regista
La scuola di Posillipo e le sue pastorelle dal volto innocente, le vedute del Golfo di Filippo Palizzi e Giacinto Gigante, il naturismo di Karl Diefenbach, l’arte ecologica di Joseph Beuys e i riti neopagani di Herman Nitsch. Ma la vera protagonista del nuovo film di Mario Martone Capri-Revolution è una Capri selvaggia, che nei primi decenni del Ventesimo Secolo attira artisti e intellettuali da tutto il mondo. Chi se la ricorda al cinema, immortalata dalle scogliere intorno a villa Malaparte nel film Il disprezzo di Jean Luc Godard, tratto dal romanzo di Moravia, la rivede colta dall’obiettivo di Martone, che ne esalta la dimensione magica e mediterranea, per coglierne il genius loci in maniera magistrale, orchestrando il film sulla differenza culturale tra una famiglia di pastori che vive sull’isola da generazioni e la comunità di nordeuropei riunita intorno al pittore simbolista tedesco Karl Diefenbach, morto a Capri nel 1913. Capri-Revolution è invece ambientato nel 1914, alla vigilia delle Prima Guerra Mondiale, ma in realtà sembra riguardare la storia dell’isola fin dalla seconda metà dell’Ottocento. La figura del medico di ideali socialisti Carlo, interpretato da Angelo Folletto, potrebbe essere ispirata dal medico svedese Axel Munthe, che visse a Capri buona parte della sua vita nella villa ad Anacapri, protagonista nel suo romanzo La storia di San Michele.
Mario Martone, Capri Revolution
La dimensione internazionale della comune di Diefenbach riecheggia la presenza sull’isola dello scrittore russo Maxime Gor’kij con la sua compagna, l’attrice Marija Andreeva, arrivato nel 1906 (vi rimarrà fino al 1913) e polo di attrazione di una serie di ospiti del calibro di Sibilla Aleramo o Alexandr Bogdanov, mentre i riti orgiastici notturni ricordano le feste pagane organizzate dal barone francese Jacques Fersen, proprietario di Villa Lysis, dove si suicida nel 1923, mentre la crocifissione della ragazza nuda imbrattata di sangue è direttamente ispirata a 45.aktion, la performance dell’artista austriaco Hermann Nitsch presso lo studio Morra a Napoli nel 1974. Senza dimenticare la figura di Joseph Beuys, dal quale Martone aveva tratto il primo titolo del film, Capri-batterie, dal nome di un’opera dell’artista, composta da una lampadina accesa inserita in un limone, eseguita da Beuys nel 1985 sull’isola, durante la malattia che lo avrebbe portato alla morte l’anno seguente.
Mario Martone, Capri Revolution
Santone, sciamano, ecologista ante litteram, Beuys era sedotto dalla Campania, una terra dove il popolo era presente con la sua anima appassionata. Molti i riferimenti dunque per il cinema di Mario Martone, che non riesce però a convincere fino in fondo, nonostante l’indubbia bravura della pastorella Marianna Fontana (più debole Seybu, interpretato dall’olandese Reinout Scholten Van Aschat: un santone naturista troppo new age). La narrazione, pur colta e profonda, mantiene un taglio televisivo, senza riuscire a scavare nella psicologia dei personaggi principali, che rimangono distanti e privi di passione. Forse per il desiderio di raccontare troppo, il tono del film risulta raffinato ma poco penetrante, cedendo alla tentazione della descrizione e non all’interpretazione della vicenda. Capri invece è meravigliosa e magica, così come le riprese nel paese semiabbandonato di San Mauro Cilento. I luoghi vincono sugli attori, le atmosfere sui dialoghi, e l’isola trionfa nella sua natura selvatica e pagana, che Martone riesce a cogliere con grande maestria e indubbio talento.
Ludovico Pratesi