06 febbraio 2015

Uno, nessuno, centomila Regni d’Italia

 
Un saggio di Giuseppe Galasso riapre la questione: nord e sud Italia sono ancora divisi? E da quando? E quanto ci resteranno? Davvero possiamo ancora parlare di due mondi distinti o dovremmo perseguire quell'unità che non c'è mai stata?

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Fate come volete, verrebbe da dire. E date la colpa a chi volete, soprattutto: Savoia o Annibale, crociate o Medioevo. Tanto la verità è una sola: nord e sud della penisola sono ancora fratturati. Ed è un bel problema, visto che viviamo nell’epoca che ben conosciamo e ancora non si è riusciti a portare l’alta velocità a Reggio Calabria o Bari (ma neanche a Genova), per dire. 
Sarà colpa di tutti quegli stereotipi meridionali che aveva messo in scena anche il padanissimo Claudio Bisio nel suo film Benvenuti al Sud? Peccato che poi, nemmeno alla fine della storia, il suo protagonista si era dovuto ricredere. Eppure le divergenze restano, e lo dice chiaro e tondo il saggio di Giuseppe Galasso Alle origini del dualismo italiano. Certo che però, per una volta, viene proprio da girare la frittata: quale altro posto al mondo può offrire nell’arco di un’ora di volo paesaggi, natura e cultura così differenti? Lingue (dialetti) che mai si sono incontrati prima di un’unità che – d’accordo, sarà pure fasulla – ma ha avuto il pregio di “fare” uno stato invidiato dal mondo per le sue bellezze e sbeffeggiato per la sua classe politica? 
C’è qualcosa in Italia, in quel nord e sud che oggi da più parti in realtà si intendono benissimo che è, ed è stata, un’unione sotterranea fatta di continui scambi anche commerciali, come ricorda anche Galasso, e che ci ha dato il privilegio – aggiungiamo noi – di doverci rapportare sempre come se ci rapportassimo allo “straniero” tout court che, da buoni padroni di casa, abbiamo accolto. A volte con fatica, con diffidenza, ma sono state questioni passeggere: negli anni ’60 a Torino o Milano poteva capitare di vedere fuori dai portoni cartelli che recavano la scritta “Non si affitta ai meridionali”. Poi sono arrivati i nordafricani, poi gli albanesi, poi i cittadini dell’est Europa. Capri espiatori a turno. Non è un discorso buonista, affatto. È che il tempo, oltre a invecchiare la vita dell’uomo, ha anche il grande pregio di poter sviluppare conoscenza, cultura, approfondimento. 
Il sud, abbandonato dallo stato italiano, come spiegava egregiamente Ernesto De Martino, è stata la parte mancante del nord industriale, e viceversa. Uno ying-yang italiano, di cui oggi si parla poco ma che potrebbe costituire nuova ricchezza: un po’ come i beni archeologici trafugati da Napoli in giù, e destinati ai mercati esteri. Dovrebbero paradossalmente venderli al nord allora, se siamo così stranieri e spaccati. E invece la storia è stata “globale”, soprattutto quella dell’Italia. Con gli artisti passati dalle corti di Mantova o Milano a Roma e Napoli, da Ferrara a Firenze. 
Quanto sembra stupido, ancora, parlare di divisioni. Specie che ora anche la Lega ha mollato l’idea del federalismo – forse l’unica praticabile – per darsi ad un nazionalismo che, per fortuna, non ci sarà mai. Perché siamo tutti diversamente milanesi, romani, triestini e palermitani, prima ancora che italiani. Ma, in barba alle teorie separatiste, tutti della stessa penisola. 
Con paradossi e problematiche, come la mancanza di uno spirito unitario come può essere quello francese o statunitense, ma è anche vero che siamo un Paese giovanissimo, nato poco più di 150 anni fa, unendo i tasselli di un mosaico in grado di virare dal bianco al nero, dal nord al sud, e viceversa. E per questo, cari signori, da maneggiare con tutta la cura possibile se non vorrete fratturare ancora di più.

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