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Didascalici esempi di archeologia industriale riqualificata, i padiglioni ottocenteschi dell’ex mattatoio di Testaccio conservano – ormai addomesticate a mansueti orpelli esornativi – le truculente infrastrutture a memoria delle trascorse mattanze. Il Padiglione 9A ospita, in questi giorni, la mostra del pittore cinese Lu Song (Pechino, 1982), formatosi artisticamente all’Università di Wolverhampton ed al Wimbledon College of Art di Londra – si tratta della prima personale in uno spazio istituzionale europeo – per la curatela di Ludovico Pratesi. Le opere, apprendiamo dall’agile pieghevole illustrativo, provengono per lo più dalle precedenti esposizioni presso la galleria Massimo De Carlo nelle due sedi di Hong Kong (Combe) e di Londra (The Room Upstairs), ma alcune di esse sono state realizzate proprio per l’occasione romana. “Per questa mostra ho collezionato una serie di immagini di interni ma a volte dipingo immagini di ricordi personali – spiega Lu Song interrogato dal curatore sulla varietà delle sue fonti d’ispirazione -…spesso parto da fotografie, a volte da memorie personali o da immagini inventate. In alcuni casi mi ispiro ad opere letterarie”. E tra i romanzi che lo hanno stimolato cita 1984 di George Orwell e Venerdì o il limbo del pacifico di Michel Tournier.
Lu Song, Interni Romani, vista della mostra
Insomma la matrice europea sembra giocare un ruolo di primo piano nel bagaglio culturale dell’artista cinese che guarda con simpatia anche ai paesaggisti del Romanticismo tedesco (in particolare a Caspar David Friedrich), come rileva Pratesi nel testo critico del pieghevole. Tra le cui righe troviamo, virgolettata, una sorta di dichiarazione d’intenti: “Un dipinto non dovrebbe rappresentare la realtà; al contrario la funzione della pittura è di alterare la trama della realtà”. Percorriamo l’ampio perimetro del padiglione assecondando le fluide e brumose visioni che Lu Song traduce ad acrilico e ad olio sulle grandi tele. Scorci di foreste che ricordano a tratti la jungla del nostro immaginario infantile, dettagli di fogliame ingranditi come scrutati dall’occhio di una telecamera (il cinema, altra frequente fonte ispirativa), profili umani coinvolti in una vaporosa atmosfera pluviale, frammenti di interni domestici che rimandano ad un’umanità sempre soltanto allusa. Lo sfocamento, l’incompletezza, la frammentazione delle immagini è ricorrente, verrebbe da dire, ossessiva. Come fosse un espediente, una metafora, il traslato di uno stato d’animo o, più radicalmente, di una Weltanschauung o di una condizione esistenziale. Ma -sembra un paradosso- la pennellata è sempre ampia, unitiva e a volte, verrebbe da dire, “sgocciolata” -quasi una citazione pollockiana -; confonde e insieme abbraccia la realtà franta, sincopata – come secreta da un pensiero in bilico – donandole una nuova, più matura visione, quasi il presagio estetico di una redenzione.
Luigi Capano
mostra visitata il 1 dicembre
Dal 31 ottobre 2018 al 6 gennaio 2019
Lu Song, Interni romani
Mattatoio Padiglione 9A
Piazza Orazio Giustiniani 4, Roma
Orari: dal martedì alla domenica dalle 14.00 alle 20.00
Info: www.mattatoioroma.it