19 febbraio 2015

E se l’Eur si vendesse davvero?

 
Ne sono state dette tante a riguardo, ma quel che è vero è che un acquirente multimilionario e di larghe vedute, forse potrebbe trasformare l'Eur in quello che Roma sogna: un museo urbano vero. Riflettiamoci un po' sopra

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Il quartiere costruito sotto l’ultimo fascismo per l’Esposizione Universale che avrebbe dovuto esserci a Roma nel 1942, è gestito da una S.p.A: l’EUR S.p.A.
Nata nel 2000 da una partecipazione 90 per cento Ministero dell’Economia e 10 per cento Roma Capitale, come ultima forma dell’originario Ente Autonomo Esposizione Universale di Roma, ha in gestione il patrimonio immobiliare del quartiere EUR, le strade, i parchi, i marciapiedi, e ovviamente i palazzi monumentali e i musei. Da un lato deve conservare e tutelare i beni del quartiere, dall’altro deve trarne profitto. In breve è la sua mission, sì una mission impossible.
A questo punto arriva la famosa Nuvola di Fuksas, foriera di guai tanto quanto quella di Fantozzi lo era di pioggia. Doveva essere la punta di diamante del nuovo polo congressuale, insieme alla famosa lama, un mega hotel per congressisti, e al vicino Acquario.
Invece il palazzone di vetro e acciaio, assemblato secondo arditi e futuristici dinamismi, si è rivelato essere il solito buco nero mangia soldi pubblici, fenomeno frequentissimo e tipico qui nella Capitale, quasi quanto i monsoni in India. Risultato: un piccolo baratro di 133 milioni di euro necessari a terminare i lavori e che ovviamente nessuno sa da dove tirar fuori. Senza utilizzare trucchi o giochi di prestigio ovviamente.
Da qui l’idea malvagia di vendere alcuni edifici per poter finalmente concludere i lavori del Centro Congressi. Ma non edifici qualsiasi: l’Archivio di Stato (che contiene le carte d’archivio dell’Italia post-unitaria, nonché una nutrita biblioteca); il Museo Pigorini (dove è conservata una notevole collezione etnografica e preistorica il cui nucleo originario era la collezione di Athanasius Kircher); il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari (collezione etnografica ottocentesca di Lamberto Loria, ingrandita con gli oggetti della grande mostra Etnografica all’Esposizione Universale romana del 1911); e infine il Museo dell’Alto Medioevo (nelle cui collezioni sono conservati manufatti, tardo-antichi, longobardi, medievali). 
Possibile? Sì, perché lo statuto sociale di Eur S.p.A. è stato recentemente modificato all’articolo 4 per volere dei soci onde cavarsi dal cul-de-sac finanziario. La società EUR dunque persegue «La valorizzazione del complesso di beni di cui e’ titolare, anche attraverso l’attività di costruzione ed alienazione di singoli beni, anche se vincolati e di particolare interesse storico e artistico, nel rispetto della normativa vigente in materia di tutela dei beni culturali e nella misura necessaria per reperire le risorse occorrenti per il perseguimento degli scopi sopraindicati». Et voilà! Semplicissimo.
Poi è arrivato Franceschini a bloccare tutto e ieri il summit tra il Sindaco Ignazio Marino e il Ministro dell’Economia Padoan, ha fondato un tavolo interistituzionale permanente, e gettato le basi per una più accorta gestione dell’affaire: non si venderanno i musei, ma si dovrà chiudere al più presto la questione Nuvola. Tutto bello. Mancano sempre i soldi però!
La morale è sempre quella. Bisogna sempre tenere gli occhi aperti nelle situazioni in cui le parole “profitto” e “beni culturali” siano troppo vicine, onde evitare promiscue aberrazioni. Quanto all’Eur è un gran peccato per esempio che questi musei non siano adeguatamente promossi (non li conoscono in molti) e che regolarmente rischino di restare chiusi, senza personale, senza fondi. Ed è un peccato che, come qualcuno ha notato, gli esterni, i portici siano lasciati nell’incuria, terra di nessuno, dormitori per senzatetto (anch’essi dimenticati, come i musei). Resta quasi il dubbio, ed è durissima da ammettere, che forse venduti a una brava azienda privata o a una multinazionale per bene forse avrebbero fatto un’esistenza migliore, magari tra una sfilata di moda e l’altra.
La paura esiste, la paura che il rischio non sia stato disinnescato definitivamente ma che sia solo rinviato. Resta il dubbio che, chissà quando e chissà in quale forma, l’incanto del profitto travolga le menti degli azionisti Eur a discapito della tutela dei beni. Mentre forse potrebbe, con un poco di sforzo in più, pazienza e lungimiranza, configurare uno scenario in cui profitto e tutela convivano armoniosamente, anzi rafforzandosi a vicenda.
Si spera effettivamente che il completamento del polo congressuale porti nuove risorse, umane, economiche, e ciò si rifletta in modo sano anche sui beni culturali, magari potenziando quello che potrebbe essere un prestigioso polo museale di Roma alternativo ai soliti circuiti. (Mario Finazzi)

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