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20
febbraio 2015
I fantasmi nell’avvenire di Rossella Biscotti
Progetti e iniziative
Di scena a Museion di Bolzano la prima personale dell’artista pugliese. Che si concentra sul rapporto tra l’individuo e l’istituzione. Indagandolo con il piglio dell’archeologa
di Sara Candidi
Il Museion di Bolzano apre l’anno espositivo con due artiste: Rossella Biscotti (Molfetta, 1978, vive e lavora a Bruxelles) e Chiara Fumai (Roma, 1978, vive e lavora Bruxelles). “L’avvenire non può che appartenere ai fantasmi” è il titolo della prima personale italiana di Biscotti (fino al 25 maggio), già presente al Museion nel 2008 con la performance Everything is somehow related to everything else, yet the whole is terrifying unstable e poi nuovamente invitata nel 2010, da Rein Wolfs alla collettiva “The New Public”.
Come afferma Letizia Ragaglia, direttrice del museo e curatrice della mostra, Biscotti «si muove come una sorta di archeologa del contemporaneo» e nelle sue ricerche recupera oggetti, ricordi e situazioni del passato cercando di trovare in essi un punto di contatto con il presente per considerarli da una nuova prospettiva. La mostra espone alcune delle opere che hanno segnato la riflessione artistica di Biscotti, ma anche nuovi lavori realizzati appositamente per l’occasione come le Teste in oggetto, calchi in silicone azzurro di teste in bronzo di Benito Mussolini. Gli originali delle sculture, insieme a quelli del Re Vittorio Emanuele III, furono già esposti nel 2009, quando l’artista le scovò nei depositi del Palazzo degli Uffici dell’EUR a Roma e, sfidando la burocrazia, riuscì a presentarli per la prima volta al pubblico alla Nomas Foundation. Ampia parte della mostra è dedicata al progetto sul carcere Santo Stefano, unico esempio italiano costruito secondo il modello del panoptico descritto e progettato da Jeremy Bentham nel 1791: la riflessione sull’isolamento carcerario si concretizza con la realizzazione di calchi in piombo di alcuni tratti dei pavimenti della prigione. In parallelo, un video mostra il processo di spostamento delle lastre dalla terraferma all’isola e ritorno, creando una metafora simbolica del passaggio dei detenuti dalla libertà alla prigionia.
La questione dei detenuti è particolarmente cara all’artista: in occasione della 55. Biennale di Venezia, Biscotti aveva realizzato il progetto I dreamt that you changed into a cat… gatto… ha ha ha in cui aveva coinvolto le detenute del carcere della Giudecca durante il periodo precedente l’esposizione vera e propria. L’artista aveva infatti organizzato una conferenza in cui mostrava e spiegava il suo lavoro alle detenute, da quell’incontro scaturì quello che è stato definito laboratorio onirico, un momento di incontro all’interno del carcere in cui le recluse raccontavano i loro sogni. Questo percorso confluì nelle due opere finali presentate all’Arsenale: la serie di architetture in compost realizzate con l’organico raccolto dalle detenute e un audio della durata di un’ora in cui si udivano le voci delle donne che raccontavano i propri sogni, messo in onda simbolicamente ogni giorno alle ore 16 (orario di inizio del laboratorio onirico).
L’idea alla base del lavoro di Biscotti è quella di indagare dall’interno il rapporto tra l’individuo e l’istituzione e il carcere è la struttura che meglio rappresenta questo dualismo/antagonismo. Per l’artista non è tanto importante l’opera finita in sé, immobile e costante nel tempo, un oggetto estetico che può al massimo comunicare un messaggio o essere testimonianza di un’esperienza, ma ciò che ha davvero valore per Biscotti è proprio quell’esperienza che precede il lavoro esposto e le implicazioni emotive e sociali che ne conseguono. Per questo la sua ricerca va oltre la pratica strettamente artistica e si veste di reale impegno socio-politico il quale, sulla questione della prigionia, ed in particolare sull’incostituzionalità dell’ergastolo, è stato tradotto nel movimento Liberi dall’ergastolo, (liberidallergastolo.wordpress.com/about).
Storia, memoria e impegno civile si incrociano nelle opere di Rossella Biscotti ed è qui che risiede il suo spirito archeologico, un lavoro incessante di ricerca e analisi, scavo e riflessione, che viene lasciato e ripreso perché ad ogni nuova visione si può scoprire qualcosa sfuggito in precedenza.
La Project Room di Museion è invece dedicata al progetto “Der Hexenhammer” di Chiara Fumai (a cura di Frida Carazzato), che si compone di un grande wall painting e di una performance che verrà replicata periodicamente fino al termine della mostra. La rappresentazione muraria si ispira alla figura dell’anarchica tedesca Ulrike Meinhof e cita scene dal Malleus Maleficarum, trattato medievale contro la stregoneria, mentre la performance entra in dialogo con la mostra di Rossella Biscotti invadendone gli spazi e guidando gli spettatori in un’inaspettata visita all’interno di Museion. Fumai, attraverso lo studio di rilevanti figure storiche ribelli femminili, vuole ribaltare la visione patriarcale che per secoli ha dominato e forse ancora oggi domina la società.
Sara Candidi
Continua questa forma di archeologia tra scienza e fiction. Rossella Biscotti è un esempio squisito di “Giovane Indiana Jones”. In realtà tutto potrebbe andare bene perchè tutto è basato sulle pubbliche relazioni. Il museo difende queste cose come in un ghetto, sopra torri d’avorio.
La retorica della storia è ormai il grimaldello per essere accettati in un “paese per vecchi”, e non andare a fare un lavoro normale (semmai anche in olanda) ma fare l’artista. Questo desiderio è comprensibile, ma non esageriamo con questi esercizi retorici fini a se stessi. Il rischio è di perdere un’opportunità e vedere sempre la stessa cosa. Rasentiamo anche la presa in giro.
Quando la Biscotti fece questo progetto (le teste in oggetto) la cosa poteva essere interessante (parliamo di diversi anni fa), poi ha capito che funzionava e ha iniziato a elaborare di tutto e di più (anarchici, base nucleare, processo anni 70, problema delle carceri, ecc), fino ad arrivare oggi a fare i calchi di quelle teste in oggetto.
Il Giovane Artista è imprigionato nella gabbia della storia e tenuto in ostaggio da un paese per vecchi (che applaudono, senza poi fare nulla, questa stessa retorica), e spesso è costretto all’esilio (olanda). Io vedo gli artisti italiani che vivono all’estero come esiliati volontari.