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02
marzo 2015
L’intervista/Giacinto Di Pietrantonio
Personaggi
L'ALTRA METÀ DEL PREMIO
Il Premio Furla raccontato da una delle sue colonne portanti. E da una mostra. In cui, da curatore, anticipa un cambio di rotta
Il Premio Furla raccontato da una delle sue colonne portanti. E da una mostra. In cui, da curatore, anticipa un cambio di rotta
Direttore della GAMeC di Bergamo, docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Brera, critico e curatore d’arte. Ma a noi Giacinto di Pietrantonio interessa soprattutto perché occupa un posto saldo nel comitato scientifico di uno dei premi più cool (e lo diciamo in senso buono) d’Italia: il Premio Furla. Che quest’anno festeggia i suoi quindici anni aprendo la mostra Premio Furla 2000-2015, curata dallo stesso Di Pietrantonio assieme a Chiara Bertola e Yuko Hasegawa.
Uno insomma che di Furla se ne intende. Lo abbiamo intercettato a pochi giorni dall’inaugurazione, fissata per il prossimo 5 marzo a Palazzo Reale a Milano, per avere la sua versione di questi quindici anni, e qualche indiscrezione su una retrospettiva che si preannuncia particolarmente interessante.
Era il 2000 e oggi siamo al 2015. E lei il premio Furla l’ha visto praticamente nascere, passando da giurato a membro del comitato scientifico. Tempo di bilanci, oppure pensa che sia ancora troppo presto per farne?
«Si, Chiara Bertola, ideatrice del Premio, mi ha voluto fin dall’inizio nella prima giuria per alcuni anni e soprattutto nel comitato fondatore e comitato scientifico e per questa fiducia ringrazio molto Chiara. Dopo quindici anni qualche bilancio si può fare direi che è stata una bellissima esperienza che ha aiutato a far conoscere molti giovani artisti italiani e quindi ne è valsa la pena».
Sislej Xhafa il Furla se l’è aggiudicato per primo, Maria Iorio e Raphaël Cuomo sono gli ultimi in ordine di tempo. In mezzo abbiamo ad esempio personalità come Massimo Grimaldi, Luca Trevisani e Alberto Tadiello. Specifiche poetiche a parte, che distanza c’è – ammesso che esista – tra un vincitore del 2000 e uno del 2015? Qualcosa è cambiato nel frattempo?
«Intanto direi che c’è una costante come ho messo in evidenza nel saggio in catalogo che è quello dell’intercettare le necessità del tempo. Voglio dire che proprio la prima e l’ultima edizione si sono aperte e chiuse all’insegna dello straniero e quindi di una delle questioni cruciali di questi anni. Per cui direi che non è cambiato molto, perché nella nostra società alcune tematiche come quelle della migrazione non sono affatto cambiate, ma anzi si sono acuite e quindi ecco una risposta alla necessità dell’arte. Comunque tu fai notare, attraverso altri nomi, diverse questioni cruciali come la necessità dell’arte e della sua storia, e dunque Roccasalva; cosa e chi attribuisce valore all’arte: Grimaldi e Favaretto; l’interdisciplinarietà con Tadiello e Trevisani; la relazione con gli altri di Rubbi, cosa ne è e cosa ne facciamo del nostro corpo: Sissi e Fumai. Insomma, come sempre, l’arte agisce sulla totalità delle questioni».
Negli ultimi cinque lustri i premi in Italia sono cresciuti un po’ come funghi. In generale, e parlando anche molto francamente, oltre a far allungare il suo curriculum in che misura un premio dovrebbe incidere sull’artista vincitore?
«È un’occasione per un giovane di far conoscere il proprio lavoro. Sono del parere che le occasioni è sempre meglio che ci siano».
Il Furla fa l’artista? Ovvero, oltre a dare spinta mediatica e visibilità indubbie permette anche una crescita tangibile, coerente con le origini dell’artista stesso?
«Diciamo che dà una mano, quasi tutti i vincitori al momento della loro vittoria erano quasi sconosciuti e la vincita del Premio li ha portati sicuramente all’attenzione, anche se questo da solo non basta. Ma questo vale per qualunque premio. Comunque, il Premio Furla non va visto solo in relazione ai vincitori, ma a tutti i partecipanti, perché al Premio e alla sua vittoria si arriva attraverso una selezione che soprattutto negli ultimi anni viene fatta da un curatore italiano unito ad uno straniero che visitano diversi studi prima di sceglierne uno da segnalare. Quindi la struttura del premio aiuta a far conoscere gli artisti italiani, insomma fa quello che all’estero fanno istituzioni come il British Council, Ghoete Institute e che da noi dovrebbero fare gli Istituti di Cultura Italiani che notoriamente non fanno».
Venezia, Bologna e ora Milano, dove s’inaugurerà anche la mostra Premio Furla 2000-2015, nella sede di Palazzo Reale. Il capoluogo lombardo è da leggere come un punto d’arrivo per il Premio o si tratta di normale fisiologia, uno dei tanti affinamenti e “cambi pelle” cui il Furla ci ha abituati in questi quindici anni?
«Un punto di arrivo e una diversa ripartenza di cui si stanno definendo ancora i contorni per poterne parlare».
Questione Expo a parte, relativamente alla voce “arte contemporanea” Milano ha una reale marcia in più rispetto ad altre grandi città italiane (ad esempio Roma e Napoli), o sono queste semmai ad averne una in meno?
«Sì, Milano sembra essere la città dell’arte contemporanea in Italia, ma anche le altre non scherzano. Tuttavia in una nazione non è che ci possono essere così tanti centri d’arte. In Inghilterra c’è solo Londra, come in Francia Parigi, Berlino in Germania e in America, che è così grande solo due: New York e Los Angels e allora non si capisce perché l’Italia dovrebbe averne due, o addirittura tre. Certo, l’Italia ha delle specificità che gli vengono dalla sua storia: a Roma sono concentrate cinque riviste d’arte contemporanea, c’è il MAXXI, fondazioni come Giuliani e Nomas, VOLUME! alcune gallerie come Magazzino, Lorcan O’Neill, a Napoli il Madre con Viliani che fa un buon lavoro, così alcune gallerie come Lia Rumma, Artiaco, T293. A Milano c’è più mercato e anche gli artisti vi sono maggiormente concentrati. Ma c’è anche Torino che è un centro molto attivo. Quindi sono quattro, ma si sa a noi italiani piace strafare».
Veniamo alla mostra-retrospettiva. Domanda di rito per un curatore: cosa c’è da aspettarsi? Può darci delle anticipazioni?
«Una bella mostra molto contemporanea con opere vecchie e nuove che racconta la storia di questi quindici anni e non solo del premio. Ma le opere vanno viste e quindi vi aspettiamo a Palazzo Reale dal 5 marzo, o all’inaugurazione il 4 pomeriggio ore 18».
Dieci artisti, ognuno con una sala dedicata. Fare arte contemporanea è anche questione di piena autonomia. Ma non solo. Com’è nata questa scelta espositiva, cosa comporta e, al contrario, che valore dà al confronto diretto tra artisti?
«Alla fine abbiamo pensato fosse meglio non dare a ognuno una sala, ma mescolare le opere, farle interagire tra loro, sicuramente più interessante. Vedrete».
In qualche modo esiste un comune denominatore per gli artisti esposti? Detto in altre parole, secondo lei un vincitore del Premio Furla è…
«Un artista molto bravo e molto interessante.»
Crede che questa mostra possa o voglia rappresentare una sorta di “quadratura del cerchio” per il Premio?
«Non è che ho capito bene la domanda, ma provo a rispondere. Visto che siamo a Milano città di Leonardo che con l’Uomo Vitruviano ha fatto la quadratura del cerchio, direi che la metafora è molto bella e calzante. Se mi avesse fatto l’intervista prima l’avrei inserita nel testo che ho scritto per il catalogo».
Alla luce della “bagarre” – chiamiamola così – consumatasi lo scorso novembre, in occasione della (sofferta) proclamazione dei vincitori dell’edizione 2015: Iorio e Cuomo incoronati, Gian Maria Tosatti dal canto suo si è preso una menzione d’onore creata ad hoc, “coccolato” da Vanessa Beecroft. E tra i partecipanti ad esempio Francesco Fonassi, votato ad una ricerca coerente e di tutto rispetto. Davvero “l’importante è partecipare”? Premiare qualcuno è un’azione che oggi ha ancora senso pieno?
«Premetto che né io, né Chiara Bertola abbiamo voce in capitolo nella decisione del vincitore. Noi assistiamo la giuria solo se essa ci chiede delle informazioni, chiarimenti sugli artisti visto che è sempre quasi tutta straniera e poco sa dell’arte italiana. Ma con la sua domanda a cui rispondo volentieri, citando Fonassi, sta facendo come la Beecroft che vorrebbe avesse vinto un altro e non rispetti le decisioni della giuria. Questo è una cosa molto italiana in cui la democrazia è un optional. All’estero chi vince governa e l’opposizione non mette i bastoni tra le ruote, ma lascia che chi è al governo realizzi il programma per cui è stato votato. I vincitori sono Iorio e Cuomo e questo basta. La decisone della Beecroft è una cosa sua a cui, per democrazia, non si poteva impedire di parlare, infatti lei ha menzionato Tosatti, ospita Tosatti, o chi altro avesse voluto e lei pagherà semmai volo, alloggio e via dicendo. Da Furla in quella direzione non va niente, perché è una cosa di Vanessa Beecroft e basta».
A questo punto finiamo con una domanda un pizzico “politically incorrect”, indirizzata al Di Pietrantonio curatore: come l’avrebbe visto Tosatti in mostra?
«Avrei visto bene chiunque la giuria avesse votato, perché questa non è una mia mostra, ma del Premio Furla, una mostra i cui artisti sono quelli del Premio. Altra cosa è sia per Tosatti che per i vincitori che per gli altri artisti la presenza in una delle mie mostre al di là del Premio Furla. Ma per questo basta guardare chi dei partecipanti alle dieci edizioni del premio, premiati o meno, sono stati invitati negli anni passati e/o verranno invitati negli anni a venire da me nelle mie mostre».