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Dal 21.V.2000 al 23.VII.2000 Il nomadismo fantastico di Carol Rama Ferrara, Palazzo Massari – Padiglione d’Arte Contemporanea
bologna
In occasione della IX Biennale Donna è presentata a Ferrara una bella antologica di Carol Rama, figura di grande rilievo dell’arte del ‘900. Di quel secolo Carol porta in sé e nella sua opera la genialità, l’entusiasmo e lo spirito pionieristico di un universo che ha fatto dello sperimentalismo tecnico e della difformità filosofica le proprie bandiere. Olga Carol Rama (n. 1918) vive a Torino da mezzo secolo e dipinge da settant’anni (prima mostra nel ‘45), da autodidatta. Il suo è stato un cammino a marce forzate, fatto di tappe sperimentali che hanno vissuto un loro ciclo, al termine del quale la genialità di Carol sembra rinascere come fenice dalle ceneri...
di redazione
Le tappe di questo cammino vanno dai primi lavori alle esposizioni alla Quadriennale (‘47, ‘51 e ‘57) e alla Biennale (‘48 e ‘50, ‘58); dall’adesione al MAC, negli anni ’50, all’ Exposition du Group Espace de Saint Cloud di Parigi, al periodo dei bricolages; dalle ricerche sugli oggetti e le realizzazioni in gomma e cuoio, ai riconoscimenti degli anni ’80, fino alla dedicazione di una sala Personale alla Biennale del ’93.
Parlare di Carol in maniera esaustiva è difficile perché la sua opera sfugge ad ogni tentativo di inquadramento all’interno di movimenti e correnti artistici. L’artista ha sì vissuto le passioni e le ideologie novecentesche da protagonista, ma con un atteggiamento “nomadico” (Crispolti), e cioè piegando, di volta in volta, le tecniche e il fare artistico delle correnti cui aderiva alla propria arte. In ciò si possono leggere, a seconda dei punti di vista, sia la levatura qualitativa di Carol, sia quella certa titubanza, da parte di alcuni critici, di inserire l’artista nella cerchia dei nomi di prim’ordine del secolo scorso.
Questa apparente contraddizione si spiega se si considerino la capacità di Carol di appropriarsi delle tecniche delle correnti artistiche più varie, cosa che le ha permesso di interpretare in maniera eclettica il proprio immaginario, rappresentandone i più svariati aspetti ontologici e sociali, e la conseguente mancanza di univocità di scelta nell’indirizzo stilistico e programmatico: ciò ha condotto i critici ad una lettura della sua opera mai compiutamente determinata e circoscritta, mai realmente tradotta nell’attribuzione definita a questa o quella corrente. Nel secolo dei gruppi e dei movimenti Carol si identifica solo in sé stessa, non si potrà mai attribuirle una posizione di rilievo in qualità di volano o soggetto motore di un pensare ed agire artistico programmatico. Guardare le opere in mostra è come osservare il mondo attraverso un caleidoscopio che muta di continuo. Spesso ricorre, nell’opera di Carol il tema erotico: un immaginario erotico naturale, estraneo ad ogni relazione peccaminosa e anzi visto nella sua sensualità più genuina e infantile. Di qui inizia la visita, dall’originale surrealismo dei primi anni, dove però la tipica rappresentazione onirica lascia luogo alle visioni inquietanti della vita dell’artista vissuta nella concretezza della sofferenza e della malattia (Appassionata, 1939 e 1940); eppure in quest’epoca convive la figurazione materica e bidimensionale degli autoritratti (1937 e 1938). Negli anni ’40 l’artista si confronta con la filosofia Dubuffettiana dell’Art Brut (I Pissoir, 1941) aprendo le porte alla peregrinazione nel quotidiano, visto in un’ottica eccentrica e trasgressiva. E’ degli anni ’50 l’adesione al M.A.C. (Composizione, 1959), nell’ambito del quale però realizza opere che attengono ad una visione ritmica e melodica della forma cromatica, secondo un registro musicale quasi di nenia infantile. E tale connotazione infantile è continua nella storia di Carol, come nelle divagazioni che rimandano all’immaginario del gruppo Cobra di Alechinsky (Opera n. 18, 1939). Negli anni ’60 e ’70 si riavvicina al movimento surrealista, ma alla corrente che si espresse attraverso l’object trouvé (Contessa, 1963, Perdonami le congiunzioni, 1969). Le sue opere si riempiono di oggetti, cristalli, fili, occhi di vetro, gomme (Presagi di Birnam, 1970, L’isola degli occhi, 1967), è l’epoca dei bricolages.
In tempi più recenti Carol si rigenera di nuovo: il supporto non è più bianco ma è una carta tecnica sulla quale giacciono figure a metà tra i ricordi d’infanzia e figure umane stilizzate su modelli etnici, aztechi o maya. Non c’è contraddizione: entrambe appartengono ad una dimensione collettiva della memoria, manifestano un desiderio di raggiungere l’estrema sintesi della rappresentazione figurativa. E questo era anche il mito di Picasso.
Ho scoperto in Carol Rama le origini della transavanguardia.
Mostra: IX Biennale Donna “Carol Rama. Opere 1936 – 2000”, Ferrara, Palazzo Massari, Padiglione d’Arte Contemporanea, dal 21/05/2000 al 23/07/2000. Orari: Tutti i giorni 9.00-13.00 e 15.00-18.00. Ingresso gratuito. Tel. 0532/206233 o 0532/202520. Fax 0532/247440 o 0532/205035. E-mail udifer@global.it o artemoderna@comune.fe.it Catalogo a cura di Vittoria Coen, £ 25.000 (in mostra).
Alfredo Sigolo
[exibart]