03 aprile 2000

La «Leggenda della vera Croce» torna a splendere dopo 15 anni

 
Solfatazione: questo il nome del male, per fortuna conosciutissimo, che rischiava di compromettere definitivamente la salute di uno dei cicli pittorici più belli dell’intera storia dell’arte

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La solfatazione è la trasformazione del carbonato di calcio (l’intonaco che ingloba il colore) in solfato di calcio, cioè gesso (per sali solfati nelle murature contenuti in acque inquinate e per l’anidride solforosa di polveri penetrate dall’esterno).
La leggenda della «Vera Croce », il ciclo di affreschi dipinto fra il 1452 e il 1466 da Piero della Francesca rappresenta una pietra miliare della pittura. Un presupposto fondamentale, un punto di frattura, spart8acque tra quanto c’era prima e tutto quello che dopo venne.
Per 15 anni intorno al ciclo di affreschi si sono coagulate le migliori energie e le tecnologie più avanzate nel tentativo di riparare ai danni del tempo e delle intemperie.
Alla fine la battaglia è stata vinta:ma quanta fatica!
La «Leggenda» era in imminente «effettivo pericolo di vita». Il suo salvataggio può essere paragonato a quello che è stato realizzato nei confronti del Cenacolo di Leonardo.
Tutti soddisfatti oggi.
Anche perché, grazie al restauro, si è potuto conoscere meglio la tecnica pittorica di Piero.
Egli era solito usare il modo del «buon fresco», ma anche molte altre tecniche dei dipinti su tavola.
Piero ha applicato a secco sul muro tempere grasse, biacche, verderame, lacche, oltre all’azzurrite.
Una varietà di tecniche che testimonia la straordinaria abilità del maestro. Il suo genio indiscusso.

Quello che vediamo finalmente completato è dunque uno dei massimi esempi di restauro moderno, eseguito con l’approccio filologico e con il supporto di tecnicnologia modernissima.
Eppure la durata dell’intervento, e la tensione che ha comportato, sono stati tali che oggi Anna Maria Maetzke, la soprintendente di Arezzo, si dice finalmente sollevata di un enorme peso: quello di anni ed annui di studi, analisi, di ricerca della strada giusta; ma anche di fallimenti, di prove e di attesa dei risultati. Una fatica ed una responsabilità enorme.
Del resto la documentazione ha provato che i guai cominciarono ancor prima che Piero cominciasse a dipingere il suo ciclo.
Guai che derivavano dalle più diverse cause: dalla natura instabile del terreno, alla statica della chiesa che poggiava in parte su strutture medievali.
Piero «dovette dipingere su pareti già dissestate, sulle quali intervenne con risanamento e stuccature prima di potervi stendere sopra l’intonaco».
Senza contare che mentre Piero lavorava la sua arte dovette confrontarsi anche con un nemico inatteso e pericolosissimo: il terremoto.

Sconfitta e decapitazione di CosroeCon questo che si è concluso da poco siamo arrivati al quarto restauro degli ultimi due secoli.
I primi tre furono in realtà interventi abbastanza sciagurati.
Nel 1858 alla «Leggenda» lavorò un famoso pittore-restauratore che integrò le parti mancanti come già aveva fatto con Giotto a Firenze. Nel 1915-16 si passò al cemento: ne venne messo in abbondanza dietro gli intonaci che si staccavano e nelle murature (il danno più grave fu la quantità di sali nell’acqua del cemento.
Nel 1960-65, infine, un altro intervento che, riconosciute le cause del disastro (solfatazione, polveri inquinate, surriscaldamento in estate), non riusciva ad essere efficace a causa delle carenze tecnologiche.
Nel 1980 e ancora prima, la soprintendenza di Arezzo, allora guidata da Margherita Lenzini Moriondo, «si pose in allarme per il progressivo degrado che si intuiva a un semplice esame visivo».
Finalmente nel 1985 inizia il ’Progetto Piero della Francesca’ che avrebbe mobilitato per 15 anni una squadra di storici dell’ arte, restauratori, chimici, fisici, biologi, geologi, ingegneri strutturisti, esperti di analisi, informatici, fra soprintendenza, Istituto centrale del restauro, Opificio delle pietre dure, università.
Un dispiegamento di forze e di conoscenze quantomai complesso e completo che si è avvalso del finanziamento dello Stato, ma anche di contributi privati: soprattutto i dieci miliardi della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio.

Per riferimenti: Banca popolare dell’Etruria e del Lazio

Domenico Guarino

[exibart]

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